CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 ottobre 2020, n. 21740
Contratto di appalto – Accertamento dell’illecita intermediazione di manodopera – Equiparazione ai lavoratori “in nero” – Differenze retributive e responsabilità per premi e contributi – Maxi-sanzione applicabile anche per i lavoratori oggetto dell’illecita interposizione di manodopera – Dichiarazione di emersione
Fatti di causa
1. l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Brescia nella parte in cui questa – dopo aver respinto le contestazioni della società M.I. s.r.l. in liquidazione (già B.I. s.r.l.) avverso le pretese per premi e contributi INPS e INAIL che presupponevano l’accertamento dell’illecita intermediazione di manodopera ai sensi della l. n. 1369 del 1960 e il ricorso a contratti di appalto che celavano interposizioni di manodopera, accertando la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra la B.I. s.r.l. e i dipendenti delle società S., S. ed E. – aveva però dichiarato infondata la pretesa della suddetta Agenzia delle Entrate volta ad ottenere il pagamento delle sanzioni amministrative previste dall’art. 3 comma 3 del d.l. n. 12 del 2002, conv. in l. n. 73 del 2002.
2. La decisione in tal senso della Corte territoriale muoveva dall’assunto che non potessero essere equiparati ai lavoratori «in nero» previsti dalla disposizione richiamata i lavoratori oggetto dell’interposizione fittizia, in quanto la loro mancata iscrizione non era in tal caso frutto della volontà di occultarne la prestazione, ma della violazione dell’obbligo di ritenerli ab origine propri dipendenti, con le conseguenti eventuali differenze retributive spettanti e la responsabilità per premi e contributi.
3. Il ricorso dell’Agenzia delle Entrate è affidato ad un unico motivo, cui hanno resistito con controricorso M.I. s.r.l. in liquidazione e B.G., in proprio e quale ex legale rappresentante della B.I. s.r.l., nonché l’INAIL e l’INPS.
4. B.G. ha depositato anche memoria ex art. 380 bis. 1. c.p.c., in cui i difensori riferiscono che il Tribunale di Busto Arsizio ha dichiarato con sentenza n. 255 del 2014 il fallimento di M.I. s.r.l.
Ragioni della decisione
5. l’intervenuto fallimento della società controricorrente non comporta l’interruzione del giudizio di legittimità, posto che in quest’ultimo, in quanto dominato dall’impulso d’ufficio, non trovano applicazione le comuni cause di interruzione del processo previste in via generale dalla legge (v. ex aliis Cass. n. 27143 del 15/11/2017).
6. L’Agenzia delle Entrate deduce la violazione e falsa applicazione dell’articolo 3 del d.l. n. 12 del 2002 e dell’articolo 1 della l. n. 1369 del 1960. Sostiene che la maxi sanzione prevista dalla disposizione richiamata dovrebbe applicarsi anche per i lavoratori oggetto dell’illecita interposizione di manodopera, venendo anche in tal caso realizzata la violazione dell’obbligo di impiegare lavoratori senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro.
7. Il ricorso non è fondato.
Il D.L. 22/02/2002, n. 12, all’art. 3, come modificato dalla legge di conversione 23 aprile 2002 n. 73, ha dettato le modifiche alle disposizioni in materia di lavoro irregolare già contenute nella l. n. 383 del 2001. Ai primi due commi ha quindi ridisciplinato la c.d. dichiarazione di emersione, da presentarsi da parte di coloro che hanno fatto ricorso a lavoro irregolare, non adempiendo in tutto o in parte gli obblighi previsti dalla normativa vigente in materia fiscale e previdenziale, cui sono correlati incentivi sul piano fiscale e previdenziale.
8. Al terzo comma, ha previsto poi che «Ferma restando l’applicazione delle sanzioni previste, l’impiego di lavoratori dipendenti non risultanti dalle scritture o altra documentazione obbligatorie, è altresì punito con la sanzione amministrativa dal 200 al 400 per cento dell’importo, per ciascun lavoratore irregolare, del costo del lavoro calcolato sulla base dei vigenti contratti collettivi nazionali, per il periodo compreso tra l’inizio dell’anno e la data di constatazione della violazione».
9. Tale norma è stata dichiarata incostituzionale, per lesione del diritto di difesa garantito dall’art. 24 Cost., con la sentenza 12 aprile 2005 n. 144, «nella parte in cui non consente al datore di lavoro di provare che il rapporto di lavoro irregolare ha avuto inizio successivamente al primo gennaio dell’anno in cui è stata constatata la violazione».
10. Il testo è stato dapprima modificato con l’art. 36 bis del d.l. n. 223 del 2006, nel seguente modo: «Ferma restando l’applicazione delle sanzioni già previste dalla normativa in vigore, l’impiego di lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria è altresì punito con la sanzione amministrativa da euro 1.500 a euro 12.000 per ciascun lavoratore, maggiorata di euro 150 per ciascuna giornata di lavoro effettivo. L’importo delle sanzioni civili connesse all’omesso versamento dei contributi e premi riferiti a ciascun lavoratore di cui al periodo precedente non può essere inferiore a euro 3.000, indipendentemente dalla durata della prestazione lavorativa accertata». L’ultimo periodo del testo come riportato è stato dichiarato incostituzionale dalla Corte Costituzionale, con la sentenza del 13 novembre 2014, n. 254.
11. La 4 novembre 2010 n. 183, ha disposto poi (con l’art. 4, comma 1, lettera a)) una nuova modifica, nel senso che «Ferma restando l’applicazione delle sanzioni già previste dalla normativa in vigore, in caso di impiego di lavoratori subordinati senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro da parte del datore di lavoro privato, con la sola esclusione del datore di lavoro domestico, si applica altresì la sanzione amministrativa da euro 1.500 a euro 12.000 per ciascun lavoratore irregolare, maggiorata di euro 150 per ciascuna giornata di lavoro effettivo. L’importo della sanzione è da euro 1.000 a euro 8.000 per ciascun lavoratore irregolare, maggiorato di euro 30 per ciascuna giornata di lavoro irregolare, nel caso in cui il lavoratore risulti regolarmente occupato per un periodo lavorativo successivo. L’importo delle sanzioni civili connesse all’evasione dei contributi e dei premi riferiti a ciascun lavoratore irregolare di cui ai periodi precedenti è aumentato del 50 per cento».
12. Il D.lgs. 14 settembre 2015, n. 151 ha infine introdotto con l’art. 22 comma 1, il seguente testo: «Ferma restando l’applicazione delle sanzioni già previste dalla normativa in vigore, in caso di impiego di lavoratori subordinati senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro da parte del datore di lavoro privato, con la sola esclusione del datore di lavoro domestico, si applica altresì la sanzione amministrativa pecuniaria: a) da euro 1.500 a euro 9.000 per ciascun lavoratore irregolare, in caso di impiego del lavoratore sino a trenta giorni di effettivo lavoro; b) da euro 3.000 a euro 18.000 per ciascun lavoratore irregolare, in caso di impiego del lavoratore da trentuno e sino a sessanta giorni di effettivo lavoro; c) da euro 6.000 a euro 36.000 per ciascun lavoratore irregolare, in caso di impiego del lavoratore oltre sessanta giorni di effettivo lavoro». Gli importi indicati stati maggiorati ai sensi dell’ art. 1, comma 445, lett. d), n. 1), L. 30 dicembre 2018, n. 145, a decorrere dal Io gennaio 2019.
13. Le Sezioni Unite di questa Corte nell’arresto del 13/01/2010, n. 356, pronunciandosi sulla formulazione originaria della disposizione, che qui opera ratione temporis, hanno chiarito che l’art. 3, terzo comma, del suddetto d.l. 22 febbraio 2002, n. 12, conv. nella legge 23 aprile 2002, n. 73 è stato introdotto per inasprire ulteriormente il trattamento sanzionatorio per coloro che continuino ad impiegare lavoratori irregolarmente, nonostante le agevolazioni di varia natura volte ad incentivare l’emersione del lavoro sommerso.
14. Hanno quindi in tal modo chiarito il nesso, ricavabile dal testo complessivo della norma, che intercorre tra la sanzione amministrativa e la natura irregolare del rapporto di lavoro, che quindi non deve risultare dalle scritture contabili o da altra documentazione obbligatoria, con la conseguente mancata regolarizzazione a fini fiscali e previdenziali.
15. Esorbitano quindi dall’ambito di applicazione della sanzione le ipotesi dell’interposizione illecita, della somministrazione irregolare o fraudolenta e dell’appalto fittizio o illecito, quando il rapporto di lavoro risulti dalle scritture contabili del datore di lavoro interposto o dell’appaltatore: in tal caso, infatti, non si verte nella suddetta ipotesi di lavoro irregolare, ma in quella di imputazione del rapporto di lavoro a soggetto diverso da quello effettivo, per la quale sono state previste nel tempo apposite sanzioni, anche di natura penale, sin dall’art. 2 della l. n. 1369 del 1960 e dall’art. 18 del d.lgs. n. 276 del 2003, e da ultimo dall’art. 38 bis del D.Lgs. 15/06/2015, n. 81, inserito dall’art. 2, comma 1 -bis, D.L. 12 luglio 2018, n. 87, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 agosto 2018, n. 96.
16. Né a diverso avviso induce la clausola di salvaguardia contenuta nella norma, che fa salva «l’applicazione delle sanzioni già previste dalla normativa in vigore», considerato che comunque si deve trattare di sanzioni previste per la medesima fattispecie sanzionata dal comma
17. Che la volontà del legislatore sia stata in tal senso risulta
confermato dalla modifica del comma 4 dell’articolo 3 del d.l. n. 12 del 2002 operata dalla l. n. 183 del 2010, che ha specificato che «Le sanzioni di cui al comma 3 non trovano applicazione qualora, dagli adempimenti di carattere contributivo precedentemente assolti, si evidenzi comunque la volontà di non occultare il rapporto, anche se trattasi di differente qualificazione».
18. Segue coerente il rigetto del ricorso.
19. Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza in favore di s.r.l. M.I. e B.G..
20. Non sussistono i presupposti per la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese in favore di Inail e Inps, considerato che nei loro confronti la notifica del ricorso ha valore di mera «litis denuntiatio», sicché questi ultimi non diventano, per ciò solo, parti del giudizio ed atteso che, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., la condanna alle spese presuppone la qualità di parte nonché la soccombenza (v. Cass. n. 5508 del 21/03/2016, Cass. n. 2208 del 16/02/2012).
21. Non può trovare applicazione l’obbligo della parte soccombente di versare, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della I. 24 dicembre 2012, n. 228), un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, trattandosi di Amministrazione dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, è esente dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (ex plurimis: Cass. sez. Cass. sez. 6-4, 29/01/2016, n. 1778; Cass. sez. 6-4, 05/11/2014, n. 23514; Cass. sez. 3, 14/03/2014, n. 5955).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore di s.r.l. MF impianti e B.G., che liquida in complessivi € 10.000,00 per compensi professionali, oltre ad € 200,00 per esborsi, rimborso delle spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
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