CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 settembre 2020, n. 18666
Violazione della normativa in materia di sicurezza sul lavoro – Risarcimento dei danni biologico, morale ed alla vita di relazione – Assenza di nesso eziologico tra le patologie lamentate e l’ambiente di lavoro
Rilevato che
Con ricorso depositato in data 7.7.07; diretto al Tribunale di Cassino, A.M. conveniva in giudizio la S.G. P.a s.p.a., di cui era stata dipendente dal 1.3.06 al 31.1.07, chiedendone la condanna, ai sensi degli artt. 2043 e 2087 c.c. e della normativa in materia di sicurezza sul lavoro, al risarcimento di tutti i danni (biologico, morale ed alla vita di relazione) quantificati in € 700.000, da essa ricorrente in tesi patiti a causa della violazione, da parte della società, delle norme in materia di tutela della salute.
La società restava contumace, sicché il Tribunale, istruita la causa ed espletata c.t.u. medico legale, con sentenza del 13.2.13, respingeva la domanda per assenza di nesso eziologico tra le patologie lamentate e l’ambiente di lavoro.
Avverso la predetta decisione proponeva appello la M. lamentandone l’erroneità e chiedendo l’accoglimento delle proprie domande convenendo in giudizio la P. C. and M.A. s.p.a.
La società appellata si costituiva in giudizio resistendo al gravame ed in particolare eccependo l’inammissibilità dell’impugnazione per difetto assoluto di legittimazione passiva trattandosi di soggetto giuridico del tutto differente rispetto alla S.G. P.a s.p.a. (pur cessionaria di ramo d’azienda della PCMA, ma in epoca successiva (1/08) allorquando la M. non era più dipendente della SGP (31.1.07).
Con sentenza depositata l’11.12.15, la Corte d’appello di Roma dichiarava per tale ragione l’appello inammissibile.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la M., affidato a due motivi, cui resiste la società con controricorso.
Considerato che
Con il primo motivo la ricorrente denuncia la nullità della sentenza e/o del procedimento per inesistenza e/o nullità del mandato ad litem della società, evidenziando che la società P.C.M.A., costituitasi in appello per via telematica senza detta procura al difensore, riconducibile ad un periodo anteriore alla costituzione ih giudizio, non aveva neppure depositato l’atto notarile con cui il l.r. della società (Z.) sarebbe stato investito del potere di conferire la procura ad litem ai difensori. Il motivo è infondato.
Dalla documentazione in atti risulta infatti che la C.P.M.A. depositò per via telematica il ricorso in appello notificatole e la procura ad litem che può configurarsi, ex art. 83 c.p.c. e art. 18, co.5., d.m. n.44/11, nel processo civile cd. telematico, come atto autonomo, che dunque e peraltro non consente di dubitare dell ‘ anteriorità della procura rispetto alla costituzione in giudizio.
Quanto ai poteri del dr. Z. sonò stati indicati gli estremi della procura notarile del 2008 con cui essi gli vennero conferiti. Trattasi peraltro di eccezione che la parte interessata deve opporre con la prima difesa, a norma dell’art. 157 cod. proc. civ., facendo così carico alla parte istante d’integrare con ‘la prima replica la eventuale lacunosità dell’atto iniziale (Cass. SU n. 4810\05, Cass.n. 21205\13).
In ogni caso occorre assorbentemente evidenziare che l’appello è stato proposto nei confronti di soggetto ci -le non fu parte del giudizio di primo grado, e come tale privo di legittimazione passiva, questione rilevabile dal giudice anche d’ufficio.
2.- Con il secondo motivo la M. denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, comma 1, n.5 c.p.c.), e cioè la data di effettiva cessazione del rapporto con la SGP, da individuarsi al 31.12.07 e non alla data 31.1.07, con la conseguenza che il suo rapporto lavorativo doveva intendersi proseguito con la P.C.M.A. cessionaria del ramo di azienda dal 1.1.08 cui essa era adibita.
Il motivo è infondato per la decisiva ragione che comunque il rapporto di lavoro de quo risulterebbe cessato (a prescindere dalle argomentate e contrarie argomentazioni di contropàrte) il 31.12.07 mentre la P.C.M.A. sarebbe divenuta cessionaria del ramo di azienda (di cui difetta la prova dell’appartenenza ad esso della M.) solo il 1.1.08.
In ogni caso la sentenza impugnata ha chiaramente accertato che: nel ricorso in appello non è stata assolutamente indicata la ragione per la quale è stata convenuta in giudizio una società differente rispetto a quella convenuta in primo grado; inoltre, nel corso della odierna udienza di discussione il difensore dell’appellante non ha contestato in modo specifico quanto dedotto dalla , società appellata nella propria memoria di costituzione, essendosi limitato a chiedere l’espletamento di una nuova c.t.u. medico legale…”, con la conseguenza, esattamente indicata dalla difesa C.P.M.A., che deve ritenersi non contestata la cessazione del rapporto di lavoro con la SG al 31.1.07; che con decorrenza dalla data del 1.1.08 (un pnno dopo) la S.G. P.a s.p.a. aveva ceduto ex art. 2112 c.c., in favdore della Industrie P.a S.p.A. il complesso aziendale costituito dal sito di Piedimonte tra i cui addetti non vi era pertanto la M., sicché, peraltro, le diverse argomentazioni e censure della lavoratrice non sono ammissibili in questa sede in base al novellato n.5 dell’art. 360, co.1, c.p.c.
Il ricorso deve essere pertanto rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in €.200,00 per esborsi, €.5.600,00 per compensi pr itgessionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115\02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
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