CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 settembre 2021, n. 24210
Tributi – Accertamento analitico-induttivo – Obbligo di attivazione del contraddittorio preventivo – Esclusione
Rilevato che
il contribuente, che esercitava l’attività di gestione di minimarket alimentari, impugnava un avviso di accertamento relativo all’anno di imposta 2009 per l’IRPEF, IVA, IRAP, emesso ai sensi dell’art. 39, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973, avente ad oggetto la rideterminazione del reddito d’impresa ai fini IRPEF, del maggior volume d’affari ai fini d’IVA e della produzione imponibile ai fini IRAP;
la Commissione Tributaria Provinciale rigettava il ricorso del contribuente mentre la Commissione Tributaria Regionale ne accoglieva l’appello affermando che l’Ufficio non ha chiarito se la parte contribuente sia un imprenditore individuale o una società, determinandosi così profili totalmente differenti di imputazione delle specifiche situazioni tributarie ai fini IVA, IRAP ed IRPEF, non avendo la Commissione Tributaria Provinciale rilevato nulla circa il punto fondamentale dell’omesso contraddittorio preventivo con il contribuente, che qualora si fosse svolto avrebbe consentito di evitare questa confusione e di individuare con esattezza la sua qualificazione giuridica nonché la sua precisa soggezione al relativo studio di settore;
l’Agenzia delle entrate propone ricorso affidato ad unico motivo di impugnazione mentre il contribuente si costituisce con controricorso.
Sulla proposta del relatore ai sensi del novellato art. 380 bis cod. proc. civ. risulta regolarmente costituito il contraddittorio.
Considerato che
Con l’unico motivo d’impugnazione, dedotto in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., l’Agenzia delle entrate denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 62- bis e 62-sexies del D.L. n. 331 del 1993, convertito dalla legge n. 427 del 1993, dell’art. 10 della legge n. 146 del 1998 e dell’art. 12 della legge n. 212 del 2000, in quanto l’atto del presente giudizio è un accertamento analitico-induttivo emesso ai sensi dell’art. 39, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973, per il quale non è obbligatorio attivare il contraddittorio preventivo.
Il motivo è fondato.
Secondo questa Corte, infatti:
nel caso di accertamento basato esclusivamente sugli studi di settore, l’Amministrazione finanziaria è obbligata ad instaurare il contraddittorio preventivo con il contribuente ai sensi dell’art. 10 della l. n. 146 del 1998, mentre detto obbligo non opera qualora l’accertamento si fondi anche su altri elementi giustificativi, quali riscontrate irregolarità contabili o antieconomiche gestioni aziendali (Cass. n. 31814 del 2019);
in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000 (cd. Statuto del contribuente), nelle ipotesi di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, opera una valutazione “ex ante” in merito alla necessità del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale, sanzionando con la nullità l’atto impositivo emesso “ante tempus”, anche nell’ipotesi di tributi “armonizzati”, senza che, pertanto, ai fini della relativa declaratoria debba essere effettuata la prova di “resistenza”, invece necessaria, per i soli tributi “armonizzati”, ove la normativa interna non preveda l’obbligo del contraddittorio con il contribuente nella fase amministrativa (ad es., nel caso di accertamenti cd. a tavolino), ipotesi nelle quali il giudice tributario è tenuto ad effettuare una concreta valutazione “ex post” sul rispetto del contraddittorio (Cass. n. 701 del 2019).
Nella specie l’accertamento non è, come affermato dalla stessa Commissione Tributaria Regionale nello svolgimento in fatto del processo, fondato sugli studi di settore trattandosi invece di accertamento analitico-induttivo ex art. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973 effettuato “a tavolino” per il quale non è necessario alcun contraddittorio preventivo con il contribuente; per di più non viene neanche recuperata l’IVA e quindi neppure sotto questo profilo era necessario il contraddittorio o l’effettuazione della c.d. prova di resistenza.
Inoltre, la Commissione Tributaria Regionale sostiene che la confusione rinvenibile nell’avviso di accertamento in punto di esatta individuazione della “qualificazione giuridica” del contribuente sottoposto a verifica (società o imprenditore individuale), avrebbe potuto essere sanata in sede di contraddittorio, rilevandone per tale via la necessità, ma la questione non è stata neppure posta dal contribuente e per di più dall’avviso di accertamento, riprodotto in parte qua nel ricorso, si evince chiaramente che il riferimento alla “società” è chiaramente un “refuso” riconoscibile ictu oculi; in ogni caso spettava alla Commissione Tributaria Regionale verificare se lo studio di settore applicato (quello preso a base per l’accertamento induttivo in quanto incongruo) fosse corretto (in base alle deduzioni delle parti), e se il recupero a tassazione involgesse tributi non riconducibili al tipo di attività svolta dal contribuente.
Pertanto, il motivo di impugnazione dell’Agenzia delle entrate è fondato e dunque il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale della Puglia, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Puglia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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