CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 settembre 2022, n. 26533
Lavoro – Banconista – Natura subordinata del rapporto – Sussistenza – Licenziamento orale – Illegittimità – Tutela reintegratoria
Rilevato che
1. il Tribunale di Napoli Nord, con provvedimento reso in esito alla fase sommaria, respingeva le domande proposte da R.C. contro S.I. s.r,l. dirette, previo accertamento della sussistenza di rapporto di lavoro subordinato (anziché di collaborazione) con mansioni di aiutante commessa/banconista/aiuto casse corrispondenti al 5° livello CCNL Commercio – Confcommercio, per il periodo 31/10/2014 – 12/2/2015, alla declaratoria di inefficacia di licenziamento orale ed alla condanna della società al ripristino del rapporto ed al versamento di un’indennità risarcitoria, nonché alla declaratoria di illegittimità del successivo licenziamento scritto adottato in data 4/4/2015, alla reintegrazione nel posto di lavoro ed al risarcimento del danno; il rigetto era motivato da ritenuta intervenuta decadenza per superamento del termine di centottanta giorni di cui all’art. 6, comma 2, L. 604/1966 (come modificato dall’art. 32, comma 1, L. 132/2010 e poi dall’art. 1, comma 38, L. 92/2012) tra la data (31 marzo 2015) dell’impugnazione stragiudiziale del dedotto licenziamento orale e quella (30 ottobre 2015) di deposito del ricorso giudiziale;
2. il Tribunale, a seguito di opposizione della lavoratrice, confermava l’ordinanza opposta, osservando altresì che il licenziamento scritto, cautelativamente inviato dalla società con nota 4-9 aprile 2015 dopo la prima impugnazione stragiudiziale, doveva ritenersi sorretto da giustificato motivo oggettivo;
3. la Corte d’Appello di Napoli, in accoglimento del reclamo della lavoratrice ed in riforma dell’impugnata sentenza, dichiarava inefficace il licenziamento orale irrogato in data 12/2/2015; per l’effetto, condannava la società reclamata alla reintegrazione della reclamante nel posto di lavoro di banconista occupato al momento di tale licenziamento ed al pagamento delle retribuzioni maturate dal momento del licenziamento orale al 3/4/2015, oltre accessori; annullava il licenziamento irrogato in data 4/4/2015; per l’effetto condannava la società alla reintegrazione della lavoratrice nel posto di lavoro di banconista occupato al momento del licenziamento ed al pagamento di un’indennità risarcitoria pari a dodici mensilità commisurate all’ultima retribuzione globale di fatto percepita al momento del licenziamento, oltre accessori; condannava la società al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali dal giorno del licenziamento orale fino a quello dell’effettiva reintegrazione, oltre interessi;
4. la Corte, rilevato che la società reclamata era affittuaria di ramo d’azienda dalla società P.C.I.P. s.r.l., per la quale R.C. aveva lavorato dal 2003 al 30/10/2015, e che con il trasferimento di ramo di azienda erano state trasferite alla società affittuaria quarantacinque posizioni lavorative, svolta istruttoria testimoniale, osservava in particolare che:
– l’azione per far valere l’inefficacia del licenziamento verbale non è subordinata ad impugnazione stragiudiziale;
– ove il rapporto tra le parti vada qualificato come rapporto di lavoro subordinato, il licenziamento orale è radicalmente inefficace;
– sulla natura subordinata del rapporto di lavoro in contestazione si era implicitamente pronunciato il Tribunale (esaminando i due licenziamenti, orale e scritto, come dedotti dalle parti), con conseguente giudicato sul punto per omessa proposizione di appello incidentale;
– il licenziamento del 4/4/2015, avendo la ricorrente eccepito l’insussistenza di giustificato motivo oggettivo e la mancata prova dell’impossibilità di riutilizzo, e non avendo la società provato alcuna riorganizzazione in atto né alcuna soppressione di posizioni lavorative, era da qualificarsi illegittimo per insussistenza del fatto posto a fondamento dello stesso, con applicazione della tutela reintegratoria ed indennitaria nella misura massima, anche in assenza di elementi di prova rilevanti ai fini della detraibilità di somme a titolo di aliunde perceptum vel percipiendum;
4. S.I. s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione con cinque motivi;
5. la lavoratrice non si è costituita nel presente grado;
Considerato che
1. con il primo motivo la società ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 32 L. 183/2010 e dell’art. 6, comma 2, L. 604/1966, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per avere la Corte territoriale fatto esclusivo riferimento all’impugnazione stragiudiziale e non alla specifica fattispecie del doppio termine di impugnazione del recesso di cui all’art. 32 L. 183/2010; anche ritenuto accertato un rapporto di lavoro subordinato tra le parti, dall’impugnativa stragiudiziale del dedotto licenziamento orale decorre il termine di centottanta giorni (previsto dal cd. collegato lavoro e ridotto dalla cd. legge Fornero) per depositare il ricorso introduttivo del giudizio; secondo la legge ed il diritto vivente l’impugnazione del licenziamento costituisce una fattispecie a formazione progressiva, soggetta a due distinti e successivi termini decadenziali, ed è previsto un doppio termine di decadenza affinché l’impugnazione sia in sé efficace;
2. il motivo presenta profili di inammissibilità e di infondatezza;
3. sotto il primo profilo, infatti, deve rilevarsi un difetto di autosufficienza: posto che la sentenza impugnata fa riferimento solo alla decadenza dalla impugnativa stragiudiziale, non anche al secondo termine previsto per l’introduzione del giudizio di merito, dal ricorso non emerge con evidenza dove, come e quando l’eccezione in questione sarebbe stata sollevata nei gradi di merito; evidenza di localizzazione degli atti tanto più necessaria alla luce del consolidato principio in base al quale la decadenza di cui all’art. 32 della l. n. 183 del 2010 è rilevabile solo su eccezione di parte, trattandosi di diritto disponibile (Cass. 8443/2020; cfr. altresì Cass. 349/2017; Cass. 19406/2011);
4. sotto il secondo profilo, inoltre, è stato chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte che l’art. 32 cit. ha previsto un diretto e contestuale collegamento tra impugnazione stragiudiziale e decorrenza del termine (parimenti di decadenza) per il deposito del ricorso giudiziale, sicché il primo e il secondo comma del novellato art. 6 costituiscono, integrandosi fra loro, una disciplina unitaria e articolata (Cass. 32009/2019; cfr., inoltre, Cass. 10521/2018);
5. dal collegamento tra i due momenti impugnatori (stragiudiziale e giudiziale o arbitrale) discende che i due termini non possono essere scissi, e che il secondo non può operare in assenza del primo; infatti, per consolidata giurisprudenza, è imprescindibile che vi sia una comunicazione scritta da cui far decorrere il termine di decadenza, ed è esclusa l’operatività di detta decadenza in caso di licenziamento intimato oralmente, perché l’azione per far valere l’inefficacia del licenziamento verbale non è subordinata, anche a seguito delle modifiche all’art. 6 della l. n. 604 del 1966 apportate dall’art. 32 della l. n. 183 del 2010, all’impugnazione stragiudiziale, mancando l’atto scritto da cui la norma fa decorrere il termine di decadenza (Cass. 523/2019; Cass. 25561/2018; Cass. 22825/2015); essendo l’esistenza di una comunicazione scritta uno degli elementi che caratterizzano l’applicazione della norma, una volta escluso che per il licenziamento orale valga la decadenza per l’impugnativa stragiudiziale, consegue logicamente anche l’inapplicabilità del secondo termine, perché in tanto è configurabile la decadenza in quanto vi sia, a monte, un provvedimento datoriale da impugnare, ossia da contestare o confutare, con la conseguente eccedenza dal perimetro del citato art. 32 di tutte le ipotesi in cui non vi siano provvedimenti datoriali da impugnare, a fini di una denuncia di nullità o di illegittimità (così Cass. 30490/2021);
6. con il secondo motivo parte ricorrente deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio e oggetto di discussione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., tanto (nuovamente) in relazione alla mancanza di motivazione in merito alla sussistenza di doppio termine di impugnazione del recesso, quanto in merito alla mancata impugnazione della risoluzione dei contratti di collaborazione intercorsi tra le parti;
7. si tratta di motivo in parte ripetitivo del precedente, ed in parte fuori bersaglio, perché censura una omessa contestazione della natura autonoma del rapporto come recepita nei contratti di collaborazione tra le parti, in contrasto con il dato dell’espressa contestazione, da parte della lavoratrice mediante l’impugnativa stragiudiziale, della cessazione del rapporto qualificata in termini di licenziamento verbale da rapporto di natura subordinata in concreto;
8. con il terzo motivo viene dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 346 e 436 c.p.c., 2094 e 2697 c.c., 115, 276 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.; si contestano l’ammissione di prova orale sulla natura subordinata del rapporto, circostanza poi ritenuta provata attraverso il meccanismo del giudicato implicito, e l’assunto in ordine alla necessità di appello incidentale sul punto, essendo state riproposte le eccezioni di merito da parte del convenuto rimasto vittorioso con riguardo all’esito finale della lite, in un contesto di applicazione da parte del giudice di merito del principio processuale della ragione più liquida;
9. con il quarto motivo parte ricorrente si duole di omesso esame circa un fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., con riferimento alla valutazione, ritenuta erronea, delle risultanze istruttorie e documentali circa la natura subordinata del rapporto;
10. con il quinto motivo si duole di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., sotto diversi profili: mancata considerazione della mera finalità cautelativa del licenziamento scritto, avendo il datore evidenziato preliminarmente l’insussistenza di qualsiasi rapporto di lavoro; genericità delle censure ed allegazioni della lavoratrice in ordine ai motivi di tale recesso; omesso esame dell’eccezione relativa alla riduzione del risarcimento; omessa determinazione della retribuzione quale parametro per la quantificazione del risarcimento del danno;
11. la doglianza relativa alla questione processuale circa la mancata proposizione di appello incidentale e quindi alla formazione di giudicato implicito sulla natura subordinata del rapporto non è fondata;
12. la Corte di Napoli si è espressamente uniformata all’orientamento (Cass. SS. UU. 11799/2017, ribadito da Cass. 24658/2017, Cass. 21264/2018) che impone, qualora un’eccezione di merito sia stata respinta in primo grado, in modo espresso o attraverso un’enunciazione indiretta che ne sottenda, chiaramente ed inequivocamente, la valutazione di infondatezza, la devoluzione al giudice d’appello della sua cognizione, da parte del convenuto rimasto vittorioso quanto all’esito finale della lite, mediante proposizione del gravame incidentale, non essendone, altrimenti, possibile il rilievo officioso ex art. 345, comma 2, c.p.c., per il giudicato interno formatosi ai sensi dell’art. 329, comma 2, c.p.c., né essendo sufficiente la mera riproposizione; nel caso concreto, la chiarezza ed inequivocità dell’accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro è stata ancorata alla qualificazione, operata dal Tribunale, del recesso del datore di lavoro in termini di licenziamento;
13. il terzo motivo (quanto all’ammissione delle prove), il quarto ed il quinto motivo non sono ammissibili, perché tendono tutti ad una rivalutazione dell’accertamento di merito compiuto dalla Corte territoriale, la quale motivatamente ha escluso la sussistenza delle ragioni indicate poste a base del recesso, e perché assolutamente generici (anche in riferimento all’aliunde perceptum ed alla determinazione della retribuzione globale di fatto, che è stata commisurata all’ultima percepita dalla lavoratrice);
14. invero, esula dal vizio di legittimità ex art. 360, n. 5 c.p.c. qualsiasi contestazione volta a criticare il “convincimento” che il giudice di merito si è formato, ex art. 116, c. 1 e 2 c.p.c., in esito all’esame del materiale probatorio ed al conseguente giudizio di prevalenza degli elementi di fatto, operato mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, essendo esclusa, in ogni caso, una nuova rivalutazione dei fatti da parte della Corte di legittimità (Cass. 15276/2021); e spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonché la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni (Cass. 13485/2014; Cass. 20553/2021);
15. il ricorso deve, pertanto, essere respinto;
16. non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di legittimità per mancata costituzione nel grado della parte appellata;
17. sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per l’impugnazione.
P.Q.M.
Respinge il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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