CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 09 aprile 2021, n. 9406
Tributi – Accertamento – Fatture emesse da società interposte cd. cartiere per operazioni ritenute soggettivamente inesistenti di importazione intracomunitaria di autoveicoli – Ignoranza della frode – Onere di prova
Rilevato che
– con sentenza n. 1966/66/2014, depositata in data 8 aprile 2014, non notificata, la Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, nei confronti di P.A.it s.r.I., in persona del legale rappresentante pro tempore, avverso la sentenza n. 137/15/2010 della Commissione tributaria provinciale di Brescia che, previa riunione, aveva accolto i ricorsi proposti dalla suddetta società contribuente avverso: 1) l’avviso di accertamento con il quale l’Ufficio, previo p.v.c. della G.d.F., per il 2004, aveva recuperato a tassazione costi indebitamente dedotti, ai fini Ires e Irap, e detratti, ai fini l’Iva, in relazione ad operazioni ritenute soggettivamente inesistenti di importazione intracomunitaria di autoveicoli tramite società interposte c.d. cartiere; 2) la cartella di pagamento con la quale era stato iscritto nel ruolo straordinario l’importo ripreso a tassazione per l’anno 2004, ai fini Ires, Irap e Iva, in relazione alle suddette operazioni asseritamente inesistenti;
– il giudice di appello, in punto di diritto, per quanto di interesse, ha osservato che: 1) i costi per l’acquisto delle autovetture – come si evinceva dalle scritture contabili regolarmente tenute e dal fatto che le autovetture erano state cedute ai compratori finali – erano stati, in tutta evidenza, sostenuti, anche ai fini Iva, regolarmente registrati in contabilità e imputati al conto dei profitti e delle perdite, per cui erano deducibili ai sensi dell’art. 109 TUIR; 2) l’Agenzia non aveva fornito prove certe e sufficienti circa la colpevole ignoranza della frode da parte della contribuente mentre quest’ultima aveva fornito “per tabulas” ampia e idonea prova della evidente impossibilità di venire a conoscenza, sotto tale profilo, di fatti connessi a soggetti terzi;
– avverso la sentenza della CTR, l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a un motivo; è rimasta intimata la società contribuente;
– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375, secondo comma, e dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ., introdotti dall’art. 1-bis del d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197.
Considerato che
– con l’unico motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 36, comma 2, n. 4 del d.lgs. n. 546 del 1992, per avere la CTR, in ordine alla questione della detraibilità dell’Iva – non essendo censurata la ritenuta deducibilità dei costi ai fini delle imposte dirette – affermato apoditticamente che l’Ufficio non aveva “fornito prove certe e sufficienti” del proprio assunto e che la contribuente aveva fornito “per tabulas” ampia e idonea prova della scusabilità della propria ignoranza del meccanismo fraudatorio, senza valutare il complessivo quadro indiziario – desumibile da p.v.c. della G.d.F. – dedotto dall’Ufficio nei gradi di merito;
– in punto di fatto, come si evince dal ricorso (nel quale è riportato uno stralcio del p.v.c. della G.d.F. di Salò) e dalla sentenza impugnata, la contestazione dell’ufficio si fondava sulla asserita indebita deduzione di costi ai fini delle imposte dirette e detrazione ai fini Iva da parte della società contribuente in relazione a fatture emesse da società interposte c.d. cartiere per operazioni ritenute soggettivamente inesistenti di importazione intracomunitaria di autoveicoli;
– il motivo di ricorso- con il quale si contesta soltanto la questione della detraibilità dell’Iva, non essendo censurata la sentenza di primo grado nella parte relativa alla asserita deducibilità dei costi ai fini delle imposte dirette – è fondato;
– va precisato che costituisce ius receptum (in termini, Cass. n. 2876 del 2017) il principio secondo cui il vizio di motivazione meramente apparente della sentenza ricorre allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (art. 111 Cost., comma 6), e cioè dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 (in materia di processo civile ordinario) e dell’omologo D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4 (in materia di processo tributario), omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata; invero, l’obbligo del giudice “di specificare le ragioni del suo convincimento”, quale “elemento essenziale di ogni decisione di carattere giurisdizionale” è affermazione che ha origine lontane nella giurisprudenza di questa Corte e precisamente alla sentenza delle Sezioni unite n. 1093 del 1947, in cui la Corte precisò che “l’omissione di qualsiasi motivazione in fatto e in diritto costituisce una violazione di legge di particolare gravità” e che “le decisioni di carattere giurisdizionale senza motivazione alcuna sono da considerarsi come non esistenti”. Pertanto, la sanzione di nullità colpisce non solo le sentenze che siano del tutto prive di motivazione dal punto di vista grafico (che sembra potersi ritenere mera ipotesi di scuola) o quelle che presentano un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e che presentano una “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (cfr. Cass. S.U. n. 8053 del 2014; conf. Cass. n. 21257 del 2014), ma anche quelle che contengono una motivazione meramente apparente, del tutto equiparabile alla prima più grave forma di vizio, perchè dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, la motivazione addotta dal giudice è tale da non consentire “di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato” (cfr. Cass. n. 4448 del 2014), venendo quindi meno alla finalità sua propria, che è quella di esternare un “ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo”, logico e consequenziale, “a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi” (Cass. cit.; v. anche Cass., Sez. un., n. 22232 del 2016 e la giurisprudenza ivi richiamata; v. da ultimo Cass. 22949 del 2018). Come da ultimo precisato da questa Corte, «ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento» (Cass. n. 9105 del 2017; Cass. 25456 del 2018; n. 22949 del 2018);
– premesso che, come chiarito da questa Corte, sulla scia della giurisprudenza unionale, “In tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi” (Sez. 5 , Cass. n. 9851 del 2018; n. 27566 del 30/10/2018; Sez. 6 – 5, n. 5873 del 28/02/2019), nella specie, la CTR – fatta salva la non censurata asserita deducibilità, ai fini delle imposte dirette, dei costi sostenuti per l’acquisto delle autovetture – in punto di detraibilità ai fini Iva, si è limitata ad affermare che l’Agenzia non aveva “fornito prove certe e sufficienti” circa la colpevole ignoranza della frode da parte della contribuente mentre quest’ultima aveva” fornito “per tabulas” ampia e idonea prova della evidente impossibilità di venire a conoscenza, sotto tale profilo, di fatti connessi a soggetti terzi”; come reso evidente dal contenuto della stessa, la motivazione della sentenza, «non solo non è autosufficiente (nel senso che solo dalla lettura della stessa e non aliunde sia possibile rendersi conto delle ragioni di fatto e di diritto che stanno alla base della decisione)» (Cass. n. 777 del 2011), ma le considerazioni svolte «non disvelano il percorso logico-giuridico seguito dal decidente» per risolvere la questione posta con uno dei motivi di appello (ovvero il difetto di motivazione degli atti impositivi), e di certo non «può essere lasciato all’occasionale arbitrio dell’interprete integrare la sentenza, in via congetturale, con le più varie, ipotetiche argomentazioni motivazionali (cfr. Cass. civ. 5 agosto 2016, n. 16599).
L’impossibilità di individuare l’effettiva ratio decidendi rende meramente apparente la motivazione della decisione impugnata, alla stregua della nozione di “motivazione apparente” innanzi delineata» (Cass. S.U. citate);
– in conclusione, il ricorso va accolto, con cassazione della sentenza impugnata, in relazione al motivo, e rinvio alla CTR della Lombardia, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità;
P.Q.M.
accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione.
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