CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 09 aprile 2021, n. 9424
Tributi – Accertamento – Determinazione del reddito d’impresa – Costi per lavori eseguiti da subappaltatrice su beni del committente – Deducibilità
Rilevato che
la sentenza impugnata ha esposto, in punto di fatto, che: l’Agenzia delle entrate aveva emesso nei confronti di I.C.E. di P.R. e P. e C., società in accomandita semplice, esercente attività di costruzioni, due avvisi di accertamento, relativi agli anni di imposta 2003 e 2004, con i quali aveva contestato ricavi non dichiarati e costi fittizi non deducibili; avverso i suddetti atti impositivi la società ed i soci avevano proposto ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Como che, in parziale accoglimento, aveva annullato gli avvisi di accertamento limitatamente alla pretesa riguardante la deduzione dei costi per lavori eseguiti in favore della società dalla Impresa C.C. & c. s.p.a.; avverso la suddetta pronuncia l’Agenzia delle entrate aveva proposto appello; la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha rigettato l’appello, in particolare ha ritenuto che i costi sostenuti dalla società erano deducibili indipendentemente dal luogo di effettuazione delle prestazioni, essendo rilevante, per quanto concerneva i lavori eseguiti dalla Impresa C. & c. s.p.a. per conto della società, la sussistenza della documentazione contabile comprovante l’esecuzione dei lavori su beni e per conto della committente S. s.p.a.;
avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso l’Agenzia delle entrate affidato a tre motivi di censura; la società ed i soci sono rimasti intimati;
il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale Dott.ssa R.S. ha depositato le proprie conclusioni con le quali ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
con ordinanza del 29 gennaio 2020 questa Corte, preso atto della circostanza che dalla sentenza censurata si evinceva che parti del giudizio erano stati, fra l’altro, anche gli eredi di D.S., ha disposto il rinvio a nuovo ruolo, autorizzando le parti a depositare memoria in ordine alla questione relativa alla regolarità ed integrità del contraddittorio di tutte le parti del giudizio; l’Agenzia delle entrate ha depositato memoria con la quale ha chiesto di essere autorizzata alla integrazione del contraddittorio nei confronti degli eredi di D.S.;
Considerato che
preliminarmente, va dato atto che l’Agenzia delle entrate, con la memoria del 24 giugno 2020, depositata a seguito dell’ordinanza di questo Collegio del 29 gennaio 2020, ha evidenziato che, pur essendo gli eredi di D.S. stati parti del giudizio di appello, non risultava che gli stessi avessero accettato l’eredità; va quindi osservato, ai fini della questione della integrità del contraddittorio, che questa Corte (Cass. civ., 29 marzo 2017, n. 8051) ha precisato che, nell’ipotesi di morte di una delle parti nel corso del giudizio, la relativa legittimatio ad causam si trasmette non al semplice chiamato all’eredità, ma all’erede, tale per effetto di accettazione, espressa o tacita, del compendio ereditario, non essendo la semplice delazione, conseguente alla successione, presupposto sufficiente per l’acquisto di tale qualità, nemmeno nell’ipotesi in cui il destinatario della riassunzione del procedimento rivesta la qualifica di erede necessario del de cuius, occorrendone, pur sempre, la materiale accettazione, anche tacita (art. 476 c.c. e art. 485 c.c., comma 2);
sicché, è onere della parte nei cui confronti non si è verificato l’evento, accertare se il chiamato all’eredità rivesta effettivamente la qualità di successore della parte deceduta, circostanza non riscontrabile nella fattispecie, in cui l’Agenzia delle entrate ha evidenziato che lo stesso difensore in appello degli eredi di D.S. aveva dichiarato, per conto dei medesimi, che nessuno di loro aveva accettato l’eredità;
in mancanza, dunque, di specifici elementi di riscontro della legittimano ad causam degli eredi di D.S. non può ragionarsi in termini di difetto di contraddittorio;
con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione dell’art. 109, d.P.R. n. 917/1986, nonché degli artt. 19, 21, comma 7, d.P.R. n. 633/1972, e dell’art. 2697, cod. civ., per avere ritenuto la sussistenza delle operazioni passive di cui alle fatture emesse dalla Impresa C.C. & c. s.r.l. sulla base della sola documentazione contabile, senza tenere conto degli elementi presuntivi dedotti dalla ricorrente, invertendo, in tal modo, il regime relativo all’onere della prova; il motivo è infondato;
la pronuncia censurata ha tenuto conto della prospettazione compiuta dall’amministrazione finanziaria in sede di accertamento, ai fini della contestazione della non deducibilità dei costi in quanto relativi a lavori ritenuti non eseguiti, e basata sulla non corrispondenza tra il luogo di esecuzione delle prestazioni indicato nelle fatture passive, consistente nei lavori di subappalto commissionati dalla società contribuente, rispetto a quello in cui la medesima società si era impegnata alla esecuzione nei confronti della società appaltante S. s.p.a.;
pur tenendo conto di tale circostanza, la pronuncia censurata ha, tuttavia, accertato che era lo stesso processo verbale di constatazione che aveva dato conto del fatto che i lavori erano stati eseguiti, sebbene presso un luogo diverso da quello risultante dalle fatture emesse dalla contribuente;
la medesima pronuncia, inoltre, ha evidenziato che la Impresa C. &. c. s.p.a. (cioè la società subappaltatrice) aveva documentato di avere effettivamente eseguito i lavori svolti su beni e per conto della società S. s.p.a., società committente dei lavori alla contribuente e da questi dati, a sua volta, in subappalto, alla suddetta impresa;
va quindi osservato che, secondo questa Corte (Cass. civ., 14 gennaio 2020, n. 444) quando l’ufficio contesti al contribuente l’indebita detrazione per operazioni oggettivamente inesistenti, ha l’onere di provare che l’operazione non è mai stata posta in essere, indicandone i relativi elementi, anche in forma indiziaria o presuntiva, raggiunta la quale incombe sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, a norma dell’art. 2697 c.c., fermo restando che tale prova non può consistere nella esibizione della fattura o nella dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento, poiché questi sono facilmente falsificabili e vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia;
tuttavia, come detto, il giudice del gravame, ponendosi nella prospettiva di verificare l’effettività della prestazione di cui alle fatture emesse dalla contribuente, ha espresso il proprio convincimento facendo riferimento alla circostanza che l’amministrazione finanziaria aveva unicamente contestato il luogo di esecuzione della prestazione, non l’effettiva realizzazione delle stesse, ed ha supportato l’argomento facendo riferimento alle risultanze contabili della società subappaltatrice; il richiamo, quindi, alle scritture contabili della società subappaltatrice non ha costituito l’unico argomento preso in considerazione dal giudice del gravame per basare la legittimità dei costi dedotti e delle detrazioni iva operate dalla contribuente: come detto, tale circostanza è stata assunta dal giudice del gravame ai fini del rafforzamento del proprio convincimento relativo alla effettività delle prestazioni;
sotto tale profilo, proprio l’accertamento della effettività delle prestazioni, secondo quanto sopra evidenziato, comporta la insussistenza, nel caso di specie, della violazione di legge, tenuto conto del fatto che la detrazione di cui all’art. 19, d.P.R. n. 633/1972, non si ricollega alla formale corresponsione dell’imposta, che il soggetto passivo afferma a sua volta assolta o dovuta per l’acquisto di beni o servizi nell’esercizio dell’impresa, ma richiede che l’iva sia effettivamente dovuta, e cioè che tale imposta corrisponda ad operazioni effettivamente poste in essere ed ad essa soggette, in coerenza con quanto prescritto dalla sesta Dir. del Consiglio CEE n. 388 del 1977, artt. 17 e 20, e del principio affermato dalla Corte di Giustizia (sentenza 13 dicembre 1989, C- 342/87);
conseguentemente, nella specie, la prova della effettività delle operazioni è stata accertata dal giudice del gravame non tanto sulla base della realtà documentale della fattura, quanto sull’effettività dell’operazione e sul conseguente suo corretto assoggettamento all’imposta esattamente dovuta;
con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4), cod. proc. civ., per nullità della sentenza, per avere omesso di motivare sugli elementi di prova forniti dall’amministrazione finanziaria in sede di motivazione degli atti impositivi nonché di indicare i criteri di valutazione dei mezzi di prova utilizzati ai fini della decisione, rendendo, in tal modo, una motivazione apparente; il motivo è infondato;
questa Corte (Cass., Sez. U., 3 novembre 2016, n. 22232) ha precisato che la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture;
come visto, il giudice del gravame ha delineato il ragionamento logico seguito al fine di ritenere che le operazioni di cui alle fatture emesse dalla contribuente, in relazione alle quali aveva dedotto i costi e detratto l’iva, era da considerarsi effettive, basando, in particolare, il ragionamento sia sul contenuto dello stesso processo verbale di constatazione che sulle risultanze contabili della società alla quale la contribuente aveva, a sua volta, subappaltato i lavori; sicché, non può ritenersi che la pronuncia sia viziata perché emessa sulla base di una motivazione apparente; con il terzo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., per insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per avere motivato senza indicare adeguatamente l’iter logico giuridico seguito, per non avere dato riscontro alle specifiche deduzioni dell’amministrazione finanziaria e, infine, per non avere indicato gli elementi sulla base dei quali ha tratto il proprio convincimento; il motivo è inammissibile;
le Sezioni unite di questa Corte (Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054), hanno precisato che “La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciatile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione”;
sicché, a seguito della riforma del 2012, è venuto meno il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta il controllo sull’esistenza (sotto il profilo dell’assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta) della motivazione, ossia con riferimento a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata; con riferimento alla pronuncia in esame, avendo il giudice del gravame esaminata e definita la questione, relativa alla non legittimità della pretesa relativa al recupero dei costi e dell’Iva detratta, sulla base di un ragionamento logico non passibile di censura, non può ritenersi ammissibile, invero, la prospettazione di un vizio motivazionale, quale quello in esame, in cui la parte lamenta, in sostanza, la mancata considerazione delle proprie tesi difensive prospettate nel giudizio di appello, senza, peraltro, indicare specificamente quale fatto decisivo, e rilevante ai fini della decisione, non è stato preso in considerazione dal giudice del gravame;
ne consegue il rigetto del ricorso, nulla sulle spese attesa la mancata costituzione degli intimati.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- CORTE DI GIUSTIZIA CE-UE - Sentenza 18 novembre 2021, n. C-358/20 - L’articolo 168 e l’articolo 213 nonché il principio di neutralità dell’imposta sul valore aggiunto (IVA), letti alla luce dei principi di certezza del diritto, di tutela del legittimo…
- CORTE DI GIUSTIZIA CE-UE - Sentenza 11 novembre 2021, n. C-281/20 - Ad un soggetto passivo deve essere negato l’esercizio del diritto a detrazione dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) relativa all’acquisto di beni che gli sono stati ceduti, qualora…
- CORTE DI GIUSTIZIA CE-UE - Sentenza 09 dicembre 2021, n. C-154/20 - L’esercizio del diritto a detrazione dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) assolta a monte deve essere negato, senza che l’amministrazione tributaria debba provare che il soggetto…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 02 luglio 2019, n. 17702 - La detrazione di cui all'art. 19 del d.P.R. n. 633 del 1972 richiede che l'I.V.A. sia effettivivamente dovuta, e cioè che tale imposta corrisponda ad operazioni effettivamente poste in essere…
- Corte di Cassazione sentenza n. 29991 depositata il 13 ottobre 2022 - L'amministrazione finanziaria è vincolata dalle constatazioni di fatto e dalle qualificazioni giuridiche, da essa già effettuate nell'ambito di procedimenti amministrativi connessi…
- CORTE DI GIUSTIZIA CE-UE - Sentenza 30 settembre 2021, n. C-299/20 - L’articolo 392 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, consente di applicare il regime di tassazione…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- Processo tributario: i dati tratti da server non c
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 7475 deposi…
- Le liberalità diverse dalle donazioni non sono sog
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n. 7442 depositata…
- Notifica nulla se il messo notificatore o l’
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 5818 deposi…
- Le clausole vessatorie sono valide solo se vi è ap
La Corte di Cassazione, sezione II, con l’ordinanza n. 32731 depositata il…
- Il dipendente dimissionario non ha diritto all’ind
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 6782 depositata…