CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 09 dicembre 2021, n. 39182
Tributi – IVA – Nota di variazione – Credito inesigibile – Limiti temporali
Rilevato che
Dall’esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato a B.N.A., quale legale rappresentante della società E.B.N.G. s.n.c., al medesimo quale socio della società e a I.S.M., quale socio, degli avvisi di accertamento e conseguenti cartelle di pagamento aventi ad oggetto la rettifica del reddito di impresa per Irpef, Iva e Irap, anno 2004; avverso i suddetti atti impositivi B.N.A., quale socio e legale rappresentante della società, nonché I.S.M., quale socio, avevano proposto separati ricorsi che, previa riunione, erano stati rigettati dalla Commissione tributaria provinciale di Enna; avverso la pronuncia del giudice di primo grado i contribuenti avevano proposto appello, con il quale, oltre che contestare nel merito la pretesa, avevano dedotto: l’illegittimità della decisione per non avere accolto l’eccezione di nullità dell’accertamento in quanto notificato al presunto legale rappresentante quando alla data della notifica la società era ormai estinta; l’illegittimità della pretesa nei confronti di I.S.M., in quanto lo stesso non era più socio a partire dal 2007; la Commissione tributaria regionale ha accolto parzialmente l’appello, in particolare ha ritenuto che: con riferimento alla questione della illegittimità dell’avviso di accertamento in quanto notificato al legale rappresentante in data successiva all’estinzione, assumeva rilevanza il fatto che lo scioglimento o comunque la cessazione della società non era stata oggetto di trascrizione, sicché non era opponibile a terzi; il socio I.S.M. era da considerarsi responsabile in via solidale e, a tal proposito, assumeva rilievo il fatto che l’obbligazione era sorta nel 2004 e che il successivo recesso non poteva, comunque, essere opposto all’amministrazione finanziaria;
l’Agenzia delle entrate ha, quindi, proposto ricorso per la cassazione della sentenza affidato a due motivi di censura; la società “E. di B.N.G. S.n.c. di B.N.A.”, B.N.A., I.S.M., B.N.G., quale socio della B.N.C. s.r.l., G.M.A., quale socia della B.N.C. s.r.l., e M. s.r.l., sono rimasti intimati; con ordinanza del 18 settembre 2020 la Corte ha disposto il rinvio a nuovo ruolo e disposto l’acquisizione dei fascicoli dei giudizi di merito;
Considerato che
preliminarmente, va dichiarato il difetto di legittimazione passiva di B.N.G., quale socio della B.N.C. s.r.l., G.M.A., quale socia della B.N.C. s.r.l., e M. s.r.l., non riscontrandosi alcun titolo per cui gli stessi debbano essere parte del presente giudizio, essendo lo stesso limitato, quanto all’oggetto, alla pretesa fatta valere nei confronti della società in nome collettivo E. di B.N.G. s.n.c. di B.N.A., nonché dei soci B.N.A. e I.S.M.;
inoltre, dall’esame dei fascicoli di merito, acquisiti da questa Corte con l’ordinanza del 18 settembre 2020, non è dato riscontrare la pretermissione di altri soci in giudizio, sicché deve ritenersi che lo stesso era integro anche nei giudizi di merito;
con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione dell’art. 26, comma 2, d.P.R. n. 633/1972, per avere ritenuto che l’Iva era detraibile in quanto il credito era divenuto inesigibile e quindi suscettibile di rettifica anche oltre l’anno dall’effettuazione dell’operazione;
in particolare, viene evidenziato che: poiché i lavori erano stati eseguiti negli anni 2000 e 2001, la rettifica delle fatture con nota di credito era stata compiuta al di fuori dei limiti temporali previsti per legge; la inesigibilità del credito non era stata dimostrata dalla parte ed era stata da essa disconosciuta e, inoltre, non era stato documentato che il mancato pagamento dipendesse dall’avvio di procedure concorsuali o esecutive o che le stesse erano state infruttuose; la pronuncia censurata non aveva precisato per quale ragione il credito era divenuto inesigibile; non risultava, dagli elementi acquisiti in atti, che l’operazione contestata era vera e reale;
il motivo è infondato;
la sentenza censurata ha accertato che, nella fattispecie, la nota di credito era stata emessa a causa della sopravvenuta inesigibilità del credito, sicché si poteva procedere alla rettifica anche oltre il termine di un anno di cui all’art. 26, d.P.R. n. 633/1972;
va quindi osservato, in primo luogo, che, secondo la disciplina di cui all’art. 26, d.P.R. n. 633/1972, le note di variazione in diminuzione sono emesse facoltativamente dal cedente o dal prestatore di servizi entro termini differenziati a seconda della causa che ne giustifica l’emissione;
in particolare, l’art. 26, cit., nel testo applicabile ratione temporis, prevede il diritto all’emissione della nota di variazione in diminuzione, senza limiti temporali, nei casi indicati dal comma 2, ossia in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili o per mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive individuali rimaste infruttuose (i cui presupposti sono dettagliati al comma 12) o in conseguenza dell’applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente, ovvero la possibilità di emettere la nota di variazione entro un anno nelle altre situazioni, quando sia intervenuto un accordo tra le parti, come previsto dal comma 3;
il riferimento, dunque, al limite temporale di un anno dall’operazione imponibile, entro cui si può procedere alla variazione, è compiuto dalla suddetta previsione normativa solo con riferimento all’ipotesi in cui il fatto sopravvenuto è consistito in un successivo accordo intercorso tra le parti e non anche alla diversa ipotesi, quale quella accertata nel caso di specie dal giudice del gravame, in cui si è verificata la sopravvenuta inesigibilità del credito;
ne consegue che non sussiste alcuna violazione della previsione normativa in esame sotto il profilo, prospettato con il presente motivo, della inosservanza del termine di cui all’art. 26, cit., per potere procedere alle rettifiche sulle fatture mediante note di credito; per completezza, va precisato che la citata previsione riguarda il termine entro cui si deve manifestare il presupposto che giustifica l’emissione della nota di variazione;
diverso è il profilo, non specificamente prospettato con il presente motivo, del termine entro cui si deve procedere all’eventuale detrazione;
l’art. 26, primo comma, d.P.R. n. 633/1972, prevede che quando si verificano i presupposti, specificamente individuati, per procedere alla rettifica delle registrazioni a seguito dell’emissione di una fattura, il cedente del bene o il prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione l’iva corrispondente alla variazione, ai sensi dell’art. 19;
il richiamo alla suddetta previsione comporta anche il rinvio al limite temporale entro cui il diritto alla detrazione può essere esercitato, quindi alla previsione secondo cui il diritto alla detrazione deve essere esercitato, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno (o all’anno, per effetto delle modifiche introdotte dall’art. 2, comma 1, decreto legge n. 50/2017) successivo a quello in cui il diritto alla detrazione è sorto ed alle condizioni esistenti al momento della nascita del diritto medesimo;
l’applicazione della previsione di cui all’art. 19 implica che è solo al verificarsi del presupposto che giustifica l’emissione per la nota di variazione che la detrazione può essere operata nel rispetto del limite temporale di all’art. 19;
sicché, indipendentemente dal tempo che può essere trascorso dall’emissione dell’originaria fattura da rettificare (che giustifica la variazione a seconda del motivo che ha scatenato il diritto alla variazione), dovendosi tale recupero di imposta considerare una detrazione, lo stesso ne deve rispettare le regole, per cui le variazioni possono essere effettuate senza limiti temporali, nei casi di cui all’art. 26, comma 2, ma il diritto alla detrazione dell’imposta deve essere esercitato, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno (o all’anno, per effetto delle modifiche introdotte dall’art. 2, comma 1, decreto legge n. 50/2017) successivo a quello in cui si verifica il presupposto per operare la variazione in diminuzione;
occorre, quindi, distinguere tra il termine entro cui si può procedere alla rettifica dell’originaria fattura (profilo coltivato dal ricorrente e non fondato) da quello, diverso e distinto, non preso in considerazione con il presente ricorso, del termine entro cui, verificandosi il presupposto per la rettifica, si deve procedere alla detrazione dell’Iva;
inammissibile, infine, è l’ulteriore profilo di censura relativo alla mancata dimostrazione della inesigibilità del credito, ovvero della esistenza di eventi non dipendenti dall’accordo delle parti che non sarebbero stati provati, ovvero ancora della mancanza di prova in ordine al fatto che il mancato pagamento era dipeso dall’avvio di procedure concorsuali o esecutive o che erano state infruttuose, in quanto si scontra con l’accertamento in fatto compiuto dal giudice del gravame secondo cui si era verificato il presupposto dell’inesigibilità del credito e avverso tale accertamento parte ricorrente non deduce, in violazione del principio di specificità, fatti idonei a verificare l’erroneità dell’apprezzamento in fatto del giudice del gravame;
si tratta, in realtà, di un profilo di censura che avrebbe dovuto essere prospettato quale vizio di motivazione, indicando specificamente quali fatti decisivi per il giudizio non sono stati presi in considerazione dal giudice del gravame;
il secondo motivo censura la sentenza per avere ritenuto, in violazione degli artt. 93 e 109 d.P.R. n. 917/1986, che i ricavi recuperati di euro 45.000,00 dovessero essere ridotti a euro 6.788,00, in quanto il restante importo era da imputarsi alla realizzazione di una cappella gentilizia;
il motivo è inammissibile;
lo stesso, invero, è stato proposto in violazione del principio di specificità, non avendo parte ricorrente in alcun modo allegato o riprodotto l’atto impositivo da cui evincere la ragione della pretesa fatta valere dall’amministrazione finanziaria in ordine al profilo in esame, non consentendo, quindi, di verificare sotto quale profilo la statuizione del giudice del gravame, che ha ritenuto di limitare a euro 6.788,00 la pretesa conseguente all’omissione dei ricavi per l’anno 2004, non sia conforme alle previsioni di legge;
in conclusione, il primo motivo è infondato, il secondo inammissibile, con conseguente rigetto del ricorso;
nulla sulle spese, attesa la mancata costituzione degli intimati;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.