CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 09 dicembre 2021, n. 39186
Tributi – Contenzioso tributario – Sentenza di appello – Ricorso in cassazione – Vizio motivazionale ex art. 360, co. 1, n. 5 cod. proc. civ. – Riforma – Applicabilità – Sentenze pubblicate a decorrere dall’11 settembre 2012
Rilevato che
1. Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania veniva accolto l’appello principale dell’Agenzia delle Entrate e rigettato l’appello incidentale di O.F. avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Napoli n. 316/41/2010, la quale aveva parzialmente accolto il ricorso del contribuente avverso un avviso di accertamento per maggiori ricavi e imposte dirette e IVA 2004, oltre che sanzioni.
2. Le riprese seguivano al controllo parziale della posizione fiscale del contribuente per l’anno di imposta sulla base degli elementi da lui indicati nel modello Unico 2005 e del modello per la comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore di cui all’art. 62-bis del D.L. n. 331 del 1993.
3. Il giudice di prime cure confermava l’impianto delle riprese, ma accoglieva in parte le difese del contribuente, riducendo del 50% i maggiori ricavi accertati, mentre la CTR confermava integralmente l’atto impositivo nell’an e nel quantum.
4. Avverso la sentenza d’appello propone ricorso per cassazione il contribuente con cinque motivi, che illustra con memoria, cui replica l’Agenzia delle Entrate con controricorso.
Considerato che
5. Con il primo motivo di ricorso – ai sensi dell’art. 360 primo comma nn. 3 e 5 cod. proc. civ. – si prospetta la violazione e falsa applicazione degli arti. 62-sexies del d.l n. 331 del 1993 e inammissibilità del metodo accertativo induttivo per carenza dei presupposti ed insufficiente o contraddittoria motivazione circa il fatto controverso e decisivo per il giudizio, dal momento che nella dichiarazione del contribuente non sono stati rinvenuti elementi di incoerenza nei dati desumibili dalla contabilità, e, in termini quantitativi, lo scostamento rilevato dall’Agenzia delle Entrate sarebbe stato giustificato dalla situazione contingente in cui la ditta ha operato nell’esercizio dell’impresa, tra cui l’arresto di due esponenti della criminalità organizzata nel locale del contribuente.
Con il secondo motivo il ricorrente – ex art.360 primo comma nn.3 e 5 cod. proc. civ. – denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 3 comma 184 della Legge n. 549 del 1995 per contrasto con l’art. 53 della Costituzione e l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa il fatto controverso e decisivo per il giudizio non avendo la CTR ritenuto l’avviso di accertamento impugnato nullo in quanto non rispecchiante la reale situazione economica dell’anno accertato, come dedotto dal contribuente nel grado di appello.
6. I motivi possono essere esaminati congiuntamente e sono inammissibili, per più ragioni. Innanzitutto, quanto alla loro analoga tecnica di formulazione, con riferimento alla prospettata censura motivazionale, la Corte rammenta che l’art. 54, comma primo, lett. b), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla l. 7 agosto 2012, n. 134, ha riformato il testo dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., e si applica nei confronti di ogni sentenza pubblicata dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto e, dunque, dall’11 settembre 2012. La novella trova dunque applicazione nella fattispecie, in cui la sentenza impugnata è stata depositata il 14 settembre 2012 e, nel testo applicabile, il vizio motivazionale deve essere dedotto censurando l’«omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti» e non più l’«omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione» circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, come precedentemente previsto dal “vecchio” n.5, con conseguente inammissibilità del motivo di ricorso il quale non ha tenuto conto del mutato quadro normativo processuale (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 19881 del 2014).
7. Inoltre, per la parte restante dei due motivi, sotto lo schermo della violazione di legge si chiede una inammissibile rivalutazione del materiale probatorio, coperta dall’accertamento della CTR. Al proposito si rammenta che «Il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, nel quale le censure alla pronuncia di merito devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa. Ne consegue che la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti.» (Cass. 28 novembre 2014 n. 25332).
8. Con il terzo motivo – ai fini dell’art.360 primo comma nn.3 e 5 cod. proc. civ. – si lamenta la violazione di legge e falsa applicazione degli artt. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, 5 e 6 della l. n.241 del 1990 in relazione all’art. 2697 cod. civ. e l’insufficiente o contraddittoria motivazione circa il fatto controverso e decisivo per il giudizio per aver il giudice d’appello disatteso l’eccezione preliminare – proposta dal contribuente in sede di ricorso e reiterata in sede di appello – di nullità dell’avviso di accertamento poiché carente di sottoscrizione da parte del capo dell’Ufficio, in assenza di adeguata delega, perché in contrasto con gli ordini di servizio dell’Agenzia, oltre che non allegata all’atto impositivo.
9. Il motivo è inammissibile perché investe l’accertamento in fatto operato dalla CTR quanto al delegato. Inoltre, in disparte dal fatto che nel ricorso stesso si afferma che l’Agenzia ha prodotto la delega in favore del sottoscrittore l’atto impositivo, la questione dell’allegazione della delega all’avviso di accertamento non è prospettata in termini decisivi, non essendo dimostrata la tempestiva proposizione della questione sin dall’atto introduttivo del giudizio in primo grado.
10. Con il quarto motivo di ricorso – ex art.360 primo comma nn.3 e 5 cod. proc. civ. – viene denunciata la violazione di legge e falsa applicazione degli artt. 7 della l. n. 212 del 2000, 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, 3 della l. n. 241 del 1990 e 3, 23, 24, 53 e 97 della Costituzione per illegittimità dell’avviso per carenza di motivazione e comunque per motivazione apparente ed astratta e insufficiente o contraddittoria circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
11. Il motivo è innanzitutto inammissibile perché in ricorso non viene riprodotto l’avviso di accertamento ai fini della disamina della decisività della censura. Inoltre, quanto al profilo di apoditticità della motivazione, la Corte reitera che «La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture» (Cass. Sez. Un. 3 novembre 2016 n. 22232). Si rammenta inoltre che «La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.
Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione» (Cass. Sez. Un., 7 aprile 2014 n. 8053).
Al contrario, la decisione impugnata svolge la propria motivazione attraverso una adeguata ricostruzione del fatto, degli snodi processuali principali, delle prospettazioni dei motivi e delle difese delle parti esprimendo compiute rationes decidendi sia sulla preliminare questione della sottoscrizione dell’atto impositivo impugnato, sia sui presupposti per l’applicazione dello studio di settore, in termini che certamente soddisfano il minimo costituzionale.
12. Con il quinto motivo il ricorrente – ai fini dell’art.360 primo comma nn.3 e 5 cod. proc. civ. – deduce la violazione di legge e falsa applicazione dell’art.42 comma 2 del d.P.R. n. 600 del 1973 e l’insufficiente o contraddittoria motivazione circa il fatto controverso e decisivo per il giudizio per aver la CTR considerato nuova l’”eccezione” (il fatto che fosse censurata la correttezza del calcolo delle imposte Irpef, addizionali, contributi previdenziali, interessi e sanzioni effettuato dall’Agenzia delle Entrate) sollevata in appello, pur avendo la sentenza impugnata asserito che «tale doglianza era stata oggetto di impugnazione nel ricorso innanzi alla CTP».
13. Il motivo è inammissibile, oltre che per la tecnica di formulazione alla luce delle considerazioni già sopra espresse quanto all’insufficienza motivazionale non rilevante nel quadro processuale applicabile alla fattispecie, anche perché il mezzo non censura specificamente la declaratoria di inammissibilità per novità, né dimostra che la questione non sarebbe stata effettivamente nuova, come statuito dalla CTR.
14. Conclusivamente il ricorso dev’essere rigettato e le spese di lite, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite, liquidate in € 5.600,00 per compensi, oltre a spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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