CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 09 gennaio 2019, n. 285
Società – Di capitali – Società a responsabilità limitata (nozione, caratteri, distinzioni) – Organi sociali – Amministrazione – In genere – Compenso dell’amministratore – Clausola di gratuità – Legittimità – Fondamento
Fatti di causa
Con sentenza del 12 marzo 2013, la Corte d’appello di Firenze ha respinto l’impugnazione avverso la decisione di primo grado pronunciata dal Tribunale di Livorno il 7 ottobre 2008, con la quale era stata disattesa la domanda dell’odierno ricorrente, volta alla corresponsione del compenso per avere ricoperto la carica di amministratore della II belvedere s.r.l. dal 1978 al 2004.
Ha ritenuto infatti la corte territoriale, per quanto ancora rileva, che sussista la prova della gratuità della carica, ai sensi dell’art. 12 st., il quale prevede solo un rimborso spese, salva sempre la diversa deliberazione assembleare, nel caso di specie mai assunta, essendo ciò suffragato dalla mancata richiesta del compenso per quasi tre decenni; e che la relativa eccezione, sollevata tempestivamente nel corso del giudizio di primo grado, sia stata espressamente riproposta in appello; ha, quindi, ritenuto superfluo l’esame delle questioni afferenti il concreto svolgimento dell’incarico e le sue modalità.
Avverso questa sentenza propone ricorso la parte soccombente, affidato a due motivi.
La società si difende con controricorso.
La ricorrente ha depositato, altresì, la memoria.
Ritenuto in diritto
1. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 346 c.p.c., perché controparte non ha affatto sollevato l’eccezione di gratuità dell’incarico in primo grado, né l’ha quindi riproposta in appello, in entrambi i casi essendosi limitata a negare il diritto dell’amministratore al compenso e sostenere la spettanza di un mero rimborso spese, e ad affermare che l’assemblea non lo aveva mai deliberato.
Con il secondo motivo, deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 2389 e 2475 c.c., oltre alla insufficiente ed incongrua motivazione, in quanto nella specie è stata provata l’attività gestoria durata ventisei anni e la mancata percezione dei compensi o del rimborso delle spese, donde il diritto dell’istante di ricorrere al giudice per ottenere la determinazione del suo compenso, che gli spetta in ogni caso, essendo tale attività presunta onerosa e sussistendo con la società un rapporto di parasubordinazione, laddove l’eventuale rinuncia tacita potrebbe ricavarsi solo da un comportamento assolutamente incompatibile con detta pretesa; né il diritto si è mai prescritto, decorrendo il termine solo dal momento della sua sostituzione nella carica.
2. – È infondata l’eccezione in senso lato di nullità della procura, sollevata dalla controricorrente, essendo essa apposta a margine del ricorso, nella sua prima pagina, e dunque permettendo la riferibilità alla causa e la limitazione dell’errore ad un mero refuso materiale, superabile dalla lettura integrale dell’atto.
3. – Il primo motivo è manifestamente infondato.
Dallo stesso contenuto della memoria ex art. 7 d.lgs. n. 5 del 2003, come della comparsa di costituzione in grado di appello – che il ricorrente ripropone nel suo ricorso – risulta che l’eccezione fu ritualmente sollevata: la negazione di ogni diritto al compenso, invero, non può che equivalere, secondo la connessione propria delle parole, proprio a sostenerne la gratuità.
4. – Il secondo motivo è, del pari, manifestamente infondato, ed in parte inammissibile.
Le Sezioni unite di questa Corte hanno ormai chiarito che l’amministratore è legato alla società da un rapporto di tipo societario, il quale esula dall’ambito dell’art. 409 c.p.c., essendo viceversa egli «il vero egemone dell’ente sociale»: la tipicità e la specificità del rapporto di amministrazione consistendo nell’essere appunto un «rapporto di tipo societario».
Sono state, così, respinte tutte le altre qualificazioni in passato da altri avanzate (lavoro subordinato o parasubordinato, prestazione d’opera professionale, mandato) (Cass., sez. un., 20 gennaio 2017, n. 1545).
Ciò perché i compiti che la società affida al suo amministratore riguardano la gestione stessa dell’impresa, costituita da un insieme variegato di atti materiali, negozi giuridici ed operazioni complesse, sicché, quand’anche taluni di questi atti ed operazioni possano compararsi all’attività di un prestatore d’opera, il rapporto che intercorre tra amministratore e società non può essere equiparato, in ragione del rapporto di immedesimazione organica tra essi esistente, a quello derivante dal contratto d’opera, intellettuale o non intellettuale (Cass. 17 ottobre 2014, n. 22046).
Ne deriva, per la specialità del rapporto, l’inapplicabilità dell’articolo 36 Cost. (Cass. 13 novembre 2012, n. 19714) e la legittimità della previsione statutaria di gratuità delle funzioni di amministratore di società (Cass. 1° aprile 2009, n. 7961).
Ed è certamente lecita la clausola statutaria che preveda la gratuità dell’incarico, come questa Corte ha già avuto occasione di affermare (Cass. 21 giugno 2017, n. 15382).
Ne deriva che non merita censura la sentenza impugnata, la quale si è pienamente uniformata al principio esposto in punto di diritto, ed, in punto di fatto, ha accertato come l’art. 12 dello statuto prevedesse detta clausola di gratuità per la prestazione dell’attività di amministrazione.
Ogni altra censura si risolve in una inammissibile questione di fatto; del pari inammissibile è la reiterata insistenza circa il diritto dell’amministratore di ricorrere al giudice per ottenere la determinazione del suo compenso non determinato (esula dalla ratio deciderteli), l’insussistenza di una rinuncia tacita al compenso (del pari questione non oggetto del thema decidendum) ed il mancato decorso del termine prescrizionale (questione assorbita, onde al riguardo il motivo si palesa inammissibile).
5. – Le spese seguono la soccombenza. Deve, altresì, provvedersi alla dichiarazione di cui all’art. 13 d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in € 3.500,00 per compensi, oltre ad € 200,00 per esborsi, alle spese forfetarie nella misura del 15% sul compenso ed agli accessori come per legge.
Dichiara che, ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater, d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dalla legge n. 228 del 2012, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 -bis.