CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 09 gennaio 2019, n. 379
Tributi – Accertamento – Riscossione – Cartella di pagamento – Applicazione di studi di settore
Rilevato che
– con sentenza n. 151/38/2011, depositata il 27 ottobre 2011, la Commissione tributaria regionale della Lombardia rigettava l’appello proposto da G. R. nei confronti dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore prò tempore, avverso la sentenza n. 126/35/2010 della Commissione tributaria provinciale di Milano che, previa riunione, aveva rigettato i ricorsi proposti dal contribuente avverso l’avviso di accertamento n. R1U010200484/2008 con il quale l’Ufficio aveva contestato nei confronti di quest’ultimo, per l’anno 2004, ex artt. 39, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 600 del 1973 e art. 62 sexies, comma 3, del d.l. n. 331 del 1993, convertito dalla legge n. 427 del 1993, maggiori ricavi ai fini Irpef, Irap e Iva, oltre interessi e sanzioni nonché avverso la cartella di pagamento n. 6820090089102455 con la quale erano state iscritte a ruolo, a titolo provvisorio, le maggiori imposte accertate;
– in punto di fatto, il giudice di appello ha premesso che: 1) avverso l’avviso di accertamento R1U010200484/2008 con il quale, previo p.v.c. del 5 ottobre 2005, l’Ufficio aveva contestato a G. R. maggiori ricavi percepiti (euro 423.069,00 rispetto a quelli dichiarati di euro 273.938,00), ai fini Irpef, Irap e Iva, per l’anno 2004, in applicazione dello studio di settore SG93U (“design e stiling relativo a tessili ecc.”), ai sensi dell’art. 62sexies del d.l. n. 331 del 1993, il contribuente aveva proposto ricorso alla CTP di Milano deducendo: a) il mancato rispetto degli adempimenti procedurali previsti in materia di accertamenti fondati sugli studi di settore; b) il difetto di motivazione dell’avviso di accertamento; c) l’illegittimità dei coefficienti presuntivi riportati dagli studi di settore; d) l’illegittimità degli studi di settore applicati per carenza di motivazione e violazione dei principi di trasparenza ex artt. 5,6,7, della legge n. 212 del 2000;e) profili di incostituzionalità della relativa normativa; e) falsità dei dati citati nella motivazione dell’avviso di accertamento in relazione ai presunti compensi percepiti e non dichiarati; f) inapplicabilità delle sanzioni; 2) avverso la cartella di pagamento 6820090089102455 con la quale erano state iscritte a ruolo le maggiori imposte dovute, il contribuente aveva proposto ugualmente ricorso alla CTP di Milano; 3) la CTP di Milano, previa riunione dei ricorsi, li aveva rigettati; 4) avverso la sentenza della CTP, aveva proposto ricorso appello il contribuente reiterando, in sostanza, i medesimi motivi di censura fatti valere in primo grado; 5) aveva controdedotto l’Agenzia delle entrate chiedendo il rigetto del gravame e la conferma della sentenza della CTP;
– la CTR, in punto di diritto, per quanto di interesse, ha osservato che: 1) il criterio di determinazione degli ulteriori ricavi utilizzato dall’Ufficio qual era lo studio di settore era stato ritenuto legittimo dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 2876 del 2009, in quanto trattavasi di una “presunzione di natura legale” con diretto fondamento negli artt. 39, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 600 del 1973 e art. 62 sexies, comma 3, del d.l. n. 331 del 1993; 2) non sussisteva la denunciata inottemperanza degli adempimenti procedurali, avendo l’Ufficio emesso l’avviso di accertamento sulla base dell’art. 39, comma 1, lett. d) cit., in forza del quale l’esistenza di attività non dichiarate o la inesistenza di passività dichiarate era desumibile anche da presunzioni semplici, purché, come nella specie, precise, gravi e concordanti; 3) gli studi di settore rappresentavano uno strumento di accertamento di tipo analitico-presuntivo, per cui i maggiori ricavi o compensi desumibili da essi costituivano una presunzione semplice cui la legge riconnetteva i requisiti della gravità, precisione e concordanza; 4) il contribuente non aveva, nella specie, dimostrato la sussistenza delle condizioni atte a giustificare la esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui potevano essere applicati gli standards, mentre l’Ufficio aveva fornito i propri elementi probatori tramite il p.v.c., le cui risultanze costituivano piena prova;
– avverso la sentenza della CTR, G. R. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a dodici motivi cui ha resistito, con controricorso, l’Agenzia delle entrate;
– il ricorrente ha depositato memoria illustrativa, ai sensi dell’art. 380 bis.l. c.p.c., insistendo per l’accoglimento del ricorso;
– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375, secondo comma, e dell’art. 380-bis.l cod. proc. civ., introdotti dall’art. 1 -bis del d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197.
Considerato che
– con il primo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. l’omessa motivazione della sentenza impugnata su un punto controverso e decisivo per il giudizio, qual era l’assunta illegittimità dell’accertamento dell’Ufficio della mancata dichiarazione da parte del contribuente di un compenso di euro 16.750,00, in realtà, non incassato come comprovato documentalmente da quest’ultimo e non contestato dall’Ufficio nei gradi di merito;
– con il secondo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. nonché dell’art. 2693 c.c., per avere la CTR nel rigettare l’appello, confermato la legittimità dell’accertamento dell’Ufficio anche con riguardo all’assunto compenso non dichiarato di euro 16.750,00, in realtà, mai incassato come comprovato documentalmente dal contribuente e non contestato dall’Ufficio né in primo né in secondo grado;
– con il terzo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. l’omessa o insufficiente motivazione della sentenza impugnata su un punto decisivo e controverso del giudizio qual era l’assunta illegittimità dell’avviso di accertamento in questione, in quanto fondato esclusivamente sulla automatica applicazione dello studio di settore, senza considerare le specifiche concrete circostanze di fatto in cui era esercitata l’attività di impresa, stante l’omesso contraddittorio preventivo con il contribuente, ai sensi dell’art. 10, comma 3 bis della legge n. 146 del 1998;
– con il quarto motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 39, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 600 del 1973, 62 sexies, comma 3, del d.l. n. 331 del 1993 e 2697 c.c. nonché degli artt. 3 e 53 Cost., per avere la CTR ritenuto legittimo l’avviso di accertamento, ancorché fosse fondato esclusivamente sulla automatica applicazione dello studio di settore, senza alcuna considerazione delle specifiche concrete circostanze di fatto in cui era esercitata l’attività di impresa, non essendo stato espletato il preventivo contraddittorio con il contribuente;
– con il quinto motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., l’omessa e insufficiente motivazione della sentenza impugnata su di un punto controverso e decisivo per il giudizio qual era l’assunta illegittimità dell’avviso di accertamento in quanto fondato unicamente sulle risultanze dello studio di settore, le quali, ad avviso del contribuente, non integravano, di per sé, presunzioni gravi, precise e concordanti;
-con il sesto motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 39, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 62-sexies, comma 3, del d.l. n. 331 del 1993, per avere la CTR erroneamente ritenuto che le risultanze dello studio di settore integrassero di per sé delle presunzioni gravi, precise e concordanti;
– con il settimo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., l’insufficiente motivazione della sentenza impugnata sul punto controverso e decisivo per il giudizio, qual era l’onere – non assolto- dell’Ufficio di integrazione delle risultanze dello studio di settore con ulteriori elementi probatori desunti dalla concreta situazione del contribuente;
– con l’ottavo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 62sexies del d.l. n. 331 del 1993, 2697 c.c. e 1, comma 14bis e 14ter della legge n. 296 del 2006 per avere la sentenza impugnata erroneamente ritenuto che non gravasse in capo all’Ufficio l’onere di integrare le risultanze dello studio di settore con ulteriori elementi probatori relativi al concreto svolgimento dell’attività del contribuente e per avere, al contrario, ritenuto l’inversione dell’onere della prova in capo a quest’ultimo;
– con il nono motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia della CTR sul motivo di appello con il quale il contribuente aveva fatto valere la contraddittorietà della sentenza di primo grado per avere, da un lato, riconosciuto che gli studi di settore necessitavano di essere adattati alla realtà del singolo contribuente cui sono applicati e, dall’altro, omesso di accertare la sussistenza di una “grave incongruenza” tra i ricavi dichiarati e quelli desumibili dall’applicazione dello studio di settore, al fine di riconoscere una rilevanza concreta e non solo statistica di quest’ultimo, tale da legittimare l’accertamento presuntivo;
– con il decimo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c., per non essersi la CTR pronunciata sul motivo di censura proposto dal contribuente avverso la sentenza di primo grado per insufficiente motivazione della medesima, avuto riguardo al pedissequo recepimento delle ragioni dell’Ufficio;
– con l’undicesimo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. l’omessa o insufficiente motivazione della sentenza impugnata su un punto decisivo e controverso per il giudizio qual era l’assunta illegittimità dell’avviso di accertamento per carenza di motivazione in ordine al contraddittorio costituente il presupposto per l’applicazione dello studio di settore;
– con il dodicesimo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 62 sexies del d.l. n. 331 del 1993 e 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 nonché dell’art. 7 della legge n. 212 del 2000, per avere la CTR ritenuto erroneamente legittimo l’avviso di accertamento in questione, sebbene non motivato con riguardo al necessario contraddittorio, costituente presupposto per l’applicazione dello studio di settore;
– i motivi terzo, quarto, quinto, sesto, undicesimo e dodicesimo- da trattare congiuntamente per connessione- sono fondati;
– nella specifica materia, questa Corte ha chiarito che la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sé considerati quali meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli “standards” al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte. In tal caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli “standards”, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito (cfr. Cass., sez. un., n. 26635 del 2009, Cass. 12558 del 2010, Cass. 12428 del 2012, Cass. n. 23070 del 2012; n. 17787 del 2016; 9806 e 17289 del 2017; n. 18907 del 2018);
– è stato, poi, ulteriormente specificato che, a norma del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, comma 3, convertito nella L. n. 427 del 1993 – “gli accertamenti di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), (…) e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, (…) possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi dell’art. 62 bis, del presente decreto (id est, D.L. n. 331 del 1993)”, nel quale ultimo caso l’Ufficio non è tenuto a verificare tutti i dati richiesti per uno studio generale di settore, potendosi basare anche solo su alcuni elementi ritenuti sintomatici per la ricostruzione del reddito del contribuente. (Cass. n. 16430/2011). Questa Corte ha poi precisato che la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema unitario, che non si colloca all’interno della procedura di accertamento di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, ma la affianca, essendo indipendente dall’analisi dei risultati delle scritture contabili, la cui regolarità, per i contribuenti in contabilità semplificata, non impedisce l’applicabilità dello “standard”, né costituisce una valida prova contraria, laddove, per i contribuenti in contabilità ordinaria, l’irregolarità della stessa costituisce esclusivamente condizione per la legittima attivazione della procedura standardizzata (Cass., sez. un., n. 26635/2009);
– quanto al vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza e contraddittorietà della medesima, questo può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione (Cass. 30822 del 2017; Cass. n. 19547 del 2017; n. 15489 del 2007); in particolare, il mancato esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a fondamento della pronunzia, costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la ratio deciderteli venga a trovarsi priva di base” (Cass. n. 4610 del 2014; Cass. n. 12623 del 2012 che richiama Cass. n. 10156 del 2004; Cass. n. 9368 del 2006; Cass. 14752 del 2007);
– nella specie, la CTR non si è attenuta ai suddetti principi, avendo, con una motivazione incongrua e affetta da vizi logici-giuridici, ritenuto legittimo l’accertamento tributario standardizzato emesso, in base agli artt. 39, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 600 del 1973 e 62 sexies del d.l. n. 331 del 1993, mediante l’applicazione degli studi di settore in quanto costituente elemento presuntivo di natura legale, con attribuzione dei requisiti di gravità, precisione e concordanza per effetto dello scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sé considerati; con ciò, prescindendo dalla necessaria verifica del previo esperimento del contraddittorio endoprocedimentale tra il contribuente e l’Amministrazione, quale presupposto previsto, a pena di nullità, al fine di calibrare le risultanze statistiche dell’accertamento standardizzato sulla specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame; peraltro, a fronte della riproposizione in sede di gravame della specifica censura circa l’assunto difetto di motivazione dell’avviso di accertamento in questione, limitandosi a affermare la sufficienza del p.v.c. prodotto dall’ufficio e facente piena prova, senza argomentare alcunché in ordine alla sufficienza della motivazione dell’atto di accertamento che, alla luce della giurisprudenza sopra richiamata, non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente;
– la CTR ha, quindi, fatto erroneamente ricadere sul contribuente l’onere della prova contraria circa la sussistenza delle condizioni giustificanti l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui poteva essere applicato quello standard – onere ritenuto non assolto – prima che, alla luce del principi sopra richiamati, potesse ritenersi sussistente una presunzione di maggiori ricavi – per scostamento di quelli dichiarati rispetto allo studio di settore considerato- dotata dei caratteri di gravità, precisione e concordanza;
– l’accoglimento dei suddetti motivi rende inutile la trattazione dei motivi settimo, ottavo, nono e decimo, con assorbimento degli stessi nonché dei motivi primo e secondo, involgendo la procedura di accertamento presuntivo standardizzato, anche la contestata omissione di dichiarazione di compensi per euro 16.750,00 (infatti, come risulta dallo stralcio dell’avviso di accertamento riportato a pag. 3 del ricorso, i maggiori compensi di lavoro autonomo complessivamente accertati per euro 149.131,00 in base all’applicazione degli studi di settore ricomprendevano anche l’importo asseritamente non dichiarato di euro 16.750,00);
– in conclusione, vanno accolti i motivi terzo, quarto, quinto, sesto, undicesimo e dodicesimo, assorbiti i restanti; con cassazione della sentenza impugnata e rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione che riesaminerà la vicenda processuale, alla luce dei suesposti principi;
P.Q.M.
Accoglie i motivi terzo, quarto, quinto, sesto, undicesimo e dodicesimo, assorbiti i restanti, e per l’effetto cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.