CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 09 luglio 2018, n. 17993
Lavoro – Contestazione disciplinare – Comunicazione all’indirizzo del destinatario – Ricevuta di consegna – Utilizzo di corriere privato
Rilevato che
1. con sentenza del 24.3.2016, la Corte di appello di Torino respingeva il reclamo proposto da P.A.L. avverso la sentenza del Tribunale di Cuneo, che aveva rigettato il ricorso in opposizione proposto dal predetto avverso il provvedimento in fase sommaria ai sensi della legge 92/12, con il quale ne era stato respinto il ricorso ai sensi dell’art. 1, comma 48, della legge suindicata, per essere la lettera di contestazione ritualmente pervenuta al destinatario e per essere la stessa contestazione specifica e tempestiva, essendo risultate, poi, confermate le condotte poste a fondamento del licenziamento sia su base documentale che tramite escussione dei testi;
2. la Corte di Torino riteneva che la lettera di contestazione era pervenuta all’indirizzo del destinatario (Cairo Montenotte, via (…) ), riportato nella ricevuta di consegna e corrispondente al domicilio del P., e che il disconoscimento da parte del predetto della V sigla apposta sul documento di consegna non valeva a porre nel nulla la validità e l’efficacia del medesimo, ma unicamente ad escludere che il P. fosse l’autore della sottoscrizione, laddove, con riferimento alle altre parti del documento, le annotazioni erano del corriere addetto al recapito e non potevano pertanto essere influenzate dal disconoscimento del reclamante. Evidenziava, poi, che l’utilizzo di corriere privato, anziché del servizio di P.I., non rilevava ai fini voluti, in quanto non si trattava di notificazione di atti processuali, ma di atto privato, per il quale (negozio unilaterale recettizio) era sufficiente, ai fini dell’operatività della presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c., che l’atto fosse diretto ad una determinata persona e fosse giunto all’indirizzo del destinatario, qualunque fosse stato il mezzo impiegato per il suo recapito;
3. il giudice del gravame osservava che il P. era stato destinatario di precedenti quattro contestazioni disciplinari che avevano dato luogo all’irrogazione di sanzioni conservative con riferimento a condotte sempre riguardanti i rapporti con l’utenza, nel corso dei quali lo stesso, utilizzando la propria posizione di autista di linea, ed approfittando della costante presenza sull’autobus, aveva instaurato indebitamente contatti personali via Web con ragazzi e studenti all’apparente scopo di fornire notizie e raccomandazioni sugli abbonamenti aziendali, con esorbitanza dalle proprie mansioni e danni all’immagine per l’azienda; rilevava che gli addebiti della lettera del 23.4.2014 segnavano il superamento del limite di tollerabilità di tale contegno, che le censure di genericità e tardività erano da disattendere in relazione alla collocazione temporale della contestazione in tempo ravvicinato alle ultime segnalazioni e che le condotte, oltre quelle di porre in essere tecniche improprie di avvicinamento di ragazzi minorenni, utenti del servizio, erano consistite anche in abnormi denunce nei confronti dell’autorità, presentate con modalità inaccettabili e con richiesta dell’intervento di una pattuglia per fatti di esiguo valore, omettendosi di completare il servizio di trasporto, eseguito con condotta di guida pericolosa;
4. di tale decisione domanda la cassazione il P., affidando l’impugnazione a quattro motivi, cui ha resistito, con controricorso la società;
5. il P.G. ha depositato le proprie conclusioni scritte.
Considerato che
1. con il primo motivo, si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 214, 215, 216, 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 1335 c.c., sul rilievo che, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte, la scrittura privata disconosciuta e non seguita da verificazione non poteva essere in alcun modo presa in considerazione ai fini della decisione e che sull’avviso di consegna non era rinvenibile alcuna sottoscrizione da parte dell’addetto al recapito, ma solo la firma falsamente attribuita al P.; si insiste sulla mancata proposizione di valida istanza di verificazione ai fini dell’acquisizione di efficacia probatoria dell’avviso di ricevimento;
2. con il secondo motivo, si lamenta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1335 c.c., in relazione alla non operatività della presunzione di conoscenza con riferimento alla spedizione effettuata a mezzo corriere privato;
3. omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., in relazione alla riproposizione della querela di falso in sede di gravame viene dedotta con il terzo motivo;
4. con il quarto motivo, si censura la regolamentazione delle spese;
5. il primo motivo è fuori centro rispetto alle motivazioni addotte dal giudice del gravame e come tale inammissibile, in quanto la decisione impugnata si fonda correttamente sulla ritenuta rilevanza, ai fini della prova della ricezione della lettera di contestazione, dell’ arrivo di quest’ultima nella sfera di disponibilità del destinatario e sulla considerazione che la ricevuta di consegna ben poteva essere sottoscritta anche da soggetto diverso dal P.; la disamina compiuta ha indotto il giudice del gravame ad attribuire rilevanza alle annotazioni dell’addetto al recapito contenute sull’avviso, il cui contenuto non è confutato adeguatamente dal ricorrente, il quale non indica nemmeno dove è rinvenibile il documento su cui si fondano le sue doglianze;
6. i principi affermati sono in linea con quelli sanciti dalla Corte di legittimità secondo cui, in tema di licenziamento individuale, è rituale la comunicazione del provvedimento di recesso che venga effettuata al dipendente mediante lettera raccomandata spedita al suo domicilio, presupponendo l’operatività della presunzione di cui all’art. 1335 cod. civ. che la dichiarazione sia “diretta ad una determinata persona” e che essa “giunga all’indirizzo del destinatario”, qualunque sia il mezzo impiegato (cfr. Cass. 5.6.2009 n. 13087) e, qualora il recesso sia comunicato con lettera raccomandata, regolarmente ritirata da familiare convivente del lavoratore, opera la presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 cod. civ., sicché incombe sul lavoratore l’onere della prova dell’impossibilità incolpevole di avere notizia dell’atto recettizio, non essendo sufficiente la semplice prova della mancata conoscenza di esso (cfr. Cass. 24.3.2014 n. 6845);
7. la doglianza, per quanto rilevato, non coglie nel segno laddove invoca l’operatività di principi diversi che esulano dalla dirimente osservazione della validità della ricezione ove il ritiro sia avvenuto ad opera di persona diversa dal destinatario, purché il recapito sia effettuato all’indirizzo di quest’ultimo;
8. con riguardo al secondo motivo, ad onta del richiamo del ricorrente al precedente di questa Corte n. 418/2005, riferito alla presunzione di arrivo a destinazione di raccomandata inviata a mezzo di corriere privato, deve rilevarsi che nel caso considerato si è motivato facendo riferimento anche alla circostanza che non si trattasse nella specie di atti processuali (soggetti a termini di decadenza) e tale motivazione pure posta a sostegno della decisione di rigetto del motivo di gravame non è stata oggetto di specifica censura;
9. va, poi, ribadito il principio sancito da Cass. 5.6.2009 n.13087, richiamata dalla Corte di Torino, dell’irrilevanza, ai fini dell’operatività della presunzione di conoscenza, del mezzo impiegato per la comunicazione di lettera raccomandata (vedi anche Cass. 22 agosto 2007, n. 17868; 8 agosto 2007, n. 17417; 16 gennaio 2006, n. 758);
10. in particolare, Cass. 758/2006 così si esprime: La giurisprudenza della Corte afferma univocamente che la presunzione di conoscenza delle dichiarazioni altrui da parte del destinatario, posta dall’art. 1335 c.c., opera per il solo fatto oggettivo dell’arrivo della dichiarazione nel luogo indicato dalla norma, indipendentemente dal mezzo di trasmissione adoperato e dall’osservanza delle disposizioni del codice postale. Incombe, pertanto, sullo stesso destinatario l’onere di provare di essersi trovato senza sua colpa nell’impossibilità di acquisire la conoscenza medesima (vedi Cass. 4 giugno 2002, n. 8073)” e viene, altresì, precisato che l‘onere di provare l’avvenuto recapito all’indirizzo del destinatario può essere assolto avvalendosi di qualsiasi mezzo di prova, e quindi anche di presunzioni, idonee a provare l’invio dell’atto in un luogo che per collegamento ordinario o normale frequenza o preventiva indicazione appartenga alla sfera di dominio o controllo del destinatario (Cass., 30 luglio 2002, n. 11302); si aggiunge che la lettera raccomandata – anche in mancanza dell’avviso di ricevimento – costituisce prova certa della spedizione attestata dall’ufficio postale attraverso la ricevuta, da cui consegue la presunzione, fondata sulle univoche e concludenti circostanze della spedizione e dell’ordinaria regolarità del servizio postale, di arrivo dell’atto al destinatario e di conoscenza ex art. 1335 c.c dello stesso, per cui spetta al destinatario l’onere di dimostrare la mancata conoscenza dell’atto (Cass. 24 novembre 2004, n. 22133);
11. da questi principi non si è discostata la sentenza impugnata, cosicché perde qualsiasi rilevanza la circostanza evidenziata nella formulazione del relativo motivo di impugnazione, essendo evidente la rilevanza dell’utilizzo del servizio postale nella specifica ipotesi di mancanza dell’avviso di ricevimento, che non osta all’operatività della presunzione di conoscenza in relazione alla valenza presuntiva attribuibile alla regolarità del servizio, ipotesi differente da quella qui esaminata;
12. quanto al terzo motivo, è evidente che la motivazione addotta dalla Corte sulla irrilevanza del soggetto che ha ricevuto la lettera e sulla ritenuta attribuzione delle ulteriori annotazioni all’addetto al recapito è incompatibile ed assorbe ogni ulteriore considerazione sulla rilevanza della querela di falso, della quale, peraltro, non sono specificati i termini di relativa proposizione (elementi e prove della falsità);
13. nel quarto motivo non vi è specificazione del vizio in rubrica, ma la censura afferma un principio di carattere generale secondo il quale la cassazione della sentenza impugnata travolge necessariamente anche il capo relativo alla condanna alle spese giudiziali e, pertanto, è evidente che, in tale ipotesi, anche in mancanza di istanza specifica della parte vittoriosa, sia necessario pronunziare, ove il giudizio si concluda senza rinvio, in ordine alle spese dei giudizi di merito, pur difettando un espresso motivo di impugnazione;
14. tuttavia, l’esito negativo per il ricorrente del presente ricorso per cassazione rende coerente la decisione che ha accollato il pagamento delle spese al predetto, soccombente nelle fasi del merito;
15. alla stregua delle svolte considerazioni, il ricorso deve essere complessivamente respinto;
16. le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza del ricorrente e sono liquidate come da dispositivo;
17. sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, dPR 115 del 2002;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 4000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonché al rimborso delle spese forfetarie in misura del 15%.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 13, commalbis, del citato D.P.R..
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