CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 09 maggio 2018, n. 11078
Tributi – IRPEF e IRAP – Accertamento – Professionista – Autonoma organizzazione – Esercizio della professione in piu studi
Rilevato che
1. M.C. ricorre con quattro motivi contro l’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza n.72/29/10 della Commissione Tributaria Regionale del Veneto, sezione 29, del 20/9/2010, depositata il 28/9/2010 e non notificata, che ha rigettato l’appello principale del contribuente e quello incidentale dell’Amministrazione, confermando la sentenza della C.T.P. di Treviso che, in controversia concernente l’impugnativa da parte del contribuente dell’avviso di accertamento n.R7501TA00380.2008 per IRPEF ed IRAP relativi all’anno 2004, aveva parzialmente accolto il ricorso del contribuente, limitatamente alla deduzione dei costi inerenti la frequenza di corsi formativi per euro 3.462,58;
2. con la sentenza impugnata, la C.T.R. del Veneto ha ritenuto l’infondatezza delle questioni preliminari sollevate dall’Ufficio e dal contribuente, nonché la legittimità dell’avviso di accertamento, basato su di un accertamento induttivo;
3. in particolare, i giudici di appello rilevavano che l’avviso di accertamento impugnato fosse giustificato ed adeguatamente motivato in ordine alla violazione dell’art. 21 D.P.R. n. 633/72, per l’omessa indicazione in alcune fatture del tipo di prestazione resa dal professionista, nonché per la non corrispondenza di alcune fatture con le “schede – clienti”, per la sussistenza degli indici di un’attività autonoma organizzata e per l’esistenza di gravi incongruenze tra ricavi, compensi e corrispettivi dichiarati e le condizioni di esercizio della specifica attività svolta (medico odontoiatra);
4. a seguito del ricorso del contribuente avverso la sentenza della C.T.R. del Veneto, l’Agenzia delle Entrate si costituisce e resiste con controricorso notificato il 3/2/2011;
5. il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 28 febbraio 2018, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31.08.2016, n.168, conv. in legge 25 ottobre 2016, n.197;
Considerato che
1.1. con il primo motivo di ricorso, il ricorrente deduce il difetto di Sovranità, anche impositiva, dello stato italiano, il difetto di giurisdizione del giudice italiano, la motivazione omessa, contraddittoria ed insufficiente, ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn.1 e 5, c.p.c.;
1.2. il motivo è inammissibile;
1.3. il ricorrente, infatti, contesta in radice la sovranità, anche impositiva, dello Stato Italiano e la giurisdizione delle Commissioni Tributarie, in quanto espressione del potere giurisdizionale dello Stato; è evidente che la censura, involgendo esclusivamente valutazioni di carattere storico – politico e non giuridiche, esula completamente dal contesto processuale;
2.1. con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente nega la legittimità della giurisdizione tributaria, deducendo la violazione degli artt. 6 CEDU, 11, 110, 111, 102 e 104 Cost., in relazione all’art.360, comma 1, nn.3 e 5 c.p.c.;
2.2. il motivo è inammissibile;
2.3. in primo luogo, “la violazione delle norme costituzionali non può essere prospettata direttamente col motivo di ricorso per cassazione ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., in quanto il contrasto tra la decisione impugnata e i parametri costituzionali, realizzandosi sempre per il tramite dell’applicazione di una norma di legge, deve essere portato ad emersione mediante l’eccezione di illegittimità costituzionale della norma applicata” (Cass. sent. n. 3708/2014, n.5135/04); inoltre il motivo è infondato, posto che la proposta questione risulta già risolta dai precedenti arresti della Corte costituzionale, che hanno escluso l’illegittimità costituzionale delle Commissioni Tributarie e della loro giurisdizione, collegata alla natura tributaria del rapporto oggetto di giudizio, anche in relazione a controversie attinenti a tributi di nuova istituzione (Corte Cost. sent. n.144/1998, n.39/2010, n.238/09, n. 196/82), mentre la censura di vizio di motivazione è palesemente inammissibile, in quanto tesa a far emergere un vizio di motivazione in diritto; infine, anche la dedotta violazione dell’art. 6 CEDU rimane una mera affermazione senza alcuna specificazione dei lamentati profili d’illegittimità;
3.1. con il terzo motivo di ricorso, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art.21 D.P.R. n.633/72 e l’errore di motivazione del giudice di appello, in relazione all’art.360, comma 1, nn. 3 e 5 c.p.c.;
3.2. il motivo è inammissibile;
3.3. per quanto riguarda la violazione dell’art.21 D.P.R. n.633/72, il motivo è inammissibile per difetto di specificità, perché il ricorrente non indica le affermazioni in diritto del giudice di appello che sarebbero in contrasto con la normativa citata; risulta inammissibile anche la censura del vizio motivazionale, che tende ad investire la Corte di un ulteriore giudizio di merito, sulla circostanza relativa alla conformità della descrizione delle prestazioni contenuta nelle ricevute alla disposizione di cui all’art. 21 D.P.R. n. 633/72, senza evidenziare sul punto alcun errore o difetto di motivazione della sentenza di secondo grado; parimenti inammissibili, perché tendenti a provocare un nuovo esame del merito della controversia, sono le doglianze relative agli errori contenuti nel P.V.C. dell’Agenzia delle Entrate di Conegliano Veneto circa la determinazione dei ricavi non dichiarati, con riferimento alle discordanze riscontrate tra le fatture emesse e le schede dei pazienti ed alla grave incongruenza tra i redditi dichiarati, le condizioni di esercizio della specifica attività svolta ed il tenore di vita del contribuente e della sua famiglia;
infine, difettano della necessaria specificità anche tutte le ulteriori doglianze sul ricorso agli studi di settore, sulla valenza probatoria delle presunzioni e sul tenore di vita del contribuente, poichè tali censure sono avanzate senza un preciso collegamento con l’iter logico argomentativo della motivazione della sentenza impugnata, che si assume insufficiente o contraddittorio;
secondo il costante orientamento di questa Corte, “l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, prevede l'”omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione”, come riferita ad “un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate” (Cass. sent. n. 21152/2014);
4.1. con il quarto motivo di ricorso, il ricorrente lamenta l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, ai sensi dell’art.360, comma 1, n.5, c.p.c., perché la C.T.R. del Veneto avrebbe fondato il rigetto dell’impugnativa relativa all’inapplicabilità dell’IRAP sull’erroneo presupposto che nel 2004 il contribuente si avvalesse della collaborazione continuativa di un secondo medico odontoiatra e di un’aiutante (la moglie) tanto che l’attività poteva continuare anche in assenza del titolare;
secondo il ricorrente, cioè, il giudice di appello avrebbe ritenuto applicabile l’IRAP ritenendo erroneamente che il professionista, con l’ausilio dei collaboratori, potesse far funzionare contemporaneamente i due studi;
4.2. il motivo è infondato;
4.3. le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 9451/2016, hanno statuito, con riguardo al presupposto dell’IRAP in materia di lavoro autonomo, il seguente principio di diritto: “con riguardo al presupposto dell’IRAP, il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali indispensabili per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive”;
per quanto riguarda l’utilizzo di più studi, questa Corte ha già avuto modo di chiarire (Cass. 22878/2014; Cass. 2967/2014) che il fatto che il professionista operi presso due (o più) strutture materiali non è circostanza che, di per se stessa, possa dar luogo ad una “autonoma organizzazione” ove tali studi costituiscano semplicemente “soltanto uno strumento per il migliore (e più comodo per il pubblico) esercizio della attività professionale autonoma”;
tuttavia, nel caso di specie la C.T.R. del Veneto ha considerato che il contribuente, oltre ad avere due studi, si avvaleva della collaborazione continuativa di un secondo professionista;
“in tema di IRAP, il presupposto dell'”autonoma organizzazione”, richiesto dall’art. 2 del d.lgs. n. 446 del 1997, ricorre quando il professionista responsabile dell’organizzazione si avvalga, pur senza un formale rapporto di associazione, della collaborazione di un altro professionista, stante il presumibile intento di giovarsi delle reciproche competenze, ovvero della sostituibilità nell’espletamento di alcune prestazioni, frutto esclusivamente della professionalità di ciascun componente dello studio” (Cass. ord. n. 1136/2017);
tali elementi, unitamente considerati, hanno indotto il giudice di appello a ritenere che sussistessero “indubbi indici di un’attività autonoma organizzata”, come tale assoggettabile ad IRAP;
la motivazione della C.T.R. risulta, quindi, incensurabile sotto il profilo della sufficienza e della coerenza, avendo il giudice dato compiutamente conto dell’iter logico seguito nella decisione;
5.1. attesa la soccombenza, parte ricorrente deve essere condannata al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.500,00, oltre eventuali spese prenotate a debito.
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