CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 09 maggio 2018, n. 11080
Tributi – Imposte sui redditi – Accertamento induttivo – Reddito di impresa – Rettifica del valore di immobili – Valutazione delle stime dell’UTE – Integrazione di ulteriori elementi indiziari – Necessità – Inversione dell’onere di prova – Prova contraria a carico del contribuente
Rilevato che
la controversia concerne l’impugnativa proposta dalla società contribuente e dai soci della stessa avverso un avviso di accertamento del maggior reddito Ilor per il 1991 in capo alla società ed attribuito dall’Erario pro-quota ai soci ai fini IRPEF;
la C.T.P. adita accoglieva parzialmente il ricorso, riducendo del 12% i maggiori ricavi, con sentenza confermata dalla C.T.R. del Piemonte;
questa Corte, con sentenza n. 8886 del 19 giugno 2002, annullava la decisione di appello, rilevando che nella stessa – in ordine ai motivi riguardanti il vizio di motivazione – “non si affrontava in alcun modo il punto centrale della controversia, riguardante il “quantum” dei maggiori ricavi, punto meritevole in via assorbente di un qualche approfondimento, quando si consideri che la valutazione dell’ufficio impositore, già ridotta in primo grado del 12% – alla stregua di rilievi che non risultano in alcun modo verificati, ad un tempo mostrando uno scostamento apprezzabile dalla stessa valutazione dell’organo tecnico – aveva costituito materia di gravame dei contribuenti”;
secondo la Corte, l’evidente vizio di motivazione implicava l’assorbimento della censura sul merito propriamente detto della rettifica, contestato con particolare riguardo alle caratteristiche degli immobili (costruiti e) venduti, che avrebbero reso comunque incongrua la moderazione operata;
il giudice di rinvio annullava l’avviso di accertamento, ritenendo fondate le doglianze formulate in appello dai contribuenti, relative al modus operandi dell’Ufficio nella procedura di rettifica, in guanto diversamente argomentando si sarebbe legittimata un’evidente violazione dell’onere della prova;
avverso detta sentenza, hanno proposto ricorso per cassazione il Ministero dell’Economia e l’Agenzia delle Entrate;
la Corte, con la sentenza n. 6640/2009, accoglieva il ricorso dell’Agenzia delle Entrate per totale omissione di motivazione e la controversia, nuovamente riassunta, veniva decisa con la sentenza n.19/12/10 della C.T.R. del Piemonte, che, in parziale accoglimento dell’appello dei contribuenti, riduceva i ricavi del 20%;
contro tale ultima sentenza del giudice di rinvio i contribuenti ricorrono con due motivi e l’Agenzia delle Entrate si costituisce e resiste con controricorso notificato 30 maggio 2011;
il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 28 febbraio 2018, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31.08.2016, n.168, conv. in legge 25 ottobre 2016, n.197;
i ricorrenti hanno depositato memorie;
Considerato che
1.1. con il primo motivo di ricorso, i ricorrenti denunciano la violazione degli artt. 384 e 394 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c.; secondo i ricorrenti, infatti, la sentenza impugnata viola i limiti del giudizio di rinvio, non attenendosi al vincolo derivante dalla sentenza n. 8886/2002 di questa Corte, che imponeva alla C.T.R. di motivare adeguatamente in ordine alla prova dei maggiori ricavi accertati dall’amministrazione, con particolare riguardo al “quantum” degli stessi, senza che fosse sufficiente il mero rinvio alla stima UTE;
inoltre il giudice di rinvio avrebbe rilevato un’errata contabilizzazione delle rimanenze finali, in contrasto con quanto ritenuto dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 8886/2002, che aveva dato atto della regolarità formale della contabilità;
1.2. il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato e deve essere rigettato;
1.3. in primo luogo, risulta inammissibile la doglianza relativa all’erronea contabilizzazione delle rimanenze finali, circostanza per stessa ammissione dei ricorrenti del tutto ininfluente ai fini dell’ammissibilità dell’accertamento analitico – induttivo di cui all’art. 39, comma 1, lett. d) D.P.R. n. 600/73, riconosciuta dalla stessa Corte di Cassazione con la sentenza n. 8886/02 indipendentemente dal rilievo di irregolarità contabili;
è, invece, infondata la censura secondo cui la C.T.R. del Piemonte, contrariamente a quanto stabilito nella sentenza di rinvio di questa Corte, avrebbe ritenuto sufficiente a fondare la rettifica in via analitico-induttiva del reddito di impresa il mero rinvio alla stima UTE;
ed invero, la C.T.R. nella sentenza impugnata evidenzia la sussistenza di altri elementi, gravi, precisi e concordanti, elencati ai punti da 2 a 9 della motivazione (altri atti notarili di vendita di alloggi e garage, caratteristiche architettoniche dell’edificio, dotazione di ascensore e videocitofono, disponibilità di autorimesse, blocco di nuove costruzioni dovuto al Piano regolatore, posizione centrale del fabbricato, caratteristiche costruttive di pregio, costo elevato dell’appalto per la ristrutturazione), assolvendo all’obbligo di motivazione imposto dalla Cassazione;
2.1. con il secondo motivo, i ricorrenti deducono la violazione degli artt. 2697 e 2727 c.c., in relazione all’art.360, comma 1, n.5 (rectius n.3), c.p.c., nonché l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c; secondo i ricorrenti, il giudice di rinvio avrebbe gravato il contribuente, dell’onere di provare l’inattendibilità della stima UTE, invertendo l’onere probatorio ricadente sull’Amministrazione e valorizzando elementi privi dei requisiti di gravità, precisione e concordanza;
2.2. il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato e deve essere rigettato;
2.3. “in tema di accertamenti tributari, qualora la rettifica del valore di un immobile si fondi sulla stima dell’UTE o di altro ufficio tecnico, che ha il valore di una semplice perizia di parte, il giudice investito della relativa impugnazione, pur non potendo ritenere tale valutazione inattendibile solo perché proveniente da un’articolazione dell’Amministrazione finanziaria, non può considerarla di per sé sufficiente a supportare l’atto impositivo, dovendo verificare la sua idoneità a superare le contestazioni dell’interessato ed a fornire la prova dei più alti valori pretesi ed essendo, altresì, tenuto ad esplicitare le ragioni del proprio convincimento” (Cass. sent. n. 9357/2015);
nel caso di specie, il giudice di rinvio, senza alcuna inversione dell’onere della prova, ha ritenuto la sussistenza di molteplici elementi indiziari che, unitariamente considerati, consentivano, a suo giudizio, di ritenere fondato l’accertamento induttivo del maggior reddito di impresa;
la C.T.R. del Piemonte ha poi ridotto il “quantum” del maggior reddito accertato induttivamente dall’Amministrazione, valutando i rilievi dei contribuenti e la documentazione prodotta da questi ultimi;
pertanto, il giudice tributario di merito, risulta aver correttamente valutato in primo luogo gli elementi forniti dall’Amministrazione, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio (impugnabile in cassazione non per il merito, ma esclusivamente per inadeguatezza o incongruità logica dei motivi che lo sorreggono) e, solo in un secondo momento, avendo ritenuto tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, ha dato ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, che ne è onerato ai sensi degli artt. 2727 e ss. e 2697, comma 2,c.c. (cfr. Cass. sent. n. 14237/2017);
il riferimento, contenuto nella parte finale del ricorso, ad atti introdotti nelle precedenti fasi di merito (in particolare, un accordo conciliativo con l’Amministrazione per l’anno 1992), dai quali risulterebbe, secondo i ricorrenti, l’infondatezza dell’accertamento presuntivo dell’amministrazione, risulta inammissibile, perché privo della necessaria specificità e, comunque, influente eventualmente sulla sola determinazione del “quantum” dovuto, che non risulta oggetto di uno specifico motivo di ricorso;
5.1. attesa la soccombenza, parte ricorrente deve essere condannata al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 8.500,00, oltre eventuali spese prenotate a debito.
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