CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 09 maggio 2018, n. 11089
Tributi – Imposte di registro, ipotecaria e catastale – Accertamento – Imposte sui redditi – Cessione di immobile o di azienda – Plusvalenza patrimoniale
Fatti di causa
Rilevato che G. e M.M., con atto registrato in data Io agosto 2003, cedevano alcuni terreni edificabili siti nel comune di Bubbiano (MI) per un valore dichiarato di euro 1.089.906;
che, successivamente, l’Agenzia delle entrate, con avviso di liquidazione, rettificava il valore delle aree cedute ai sensi degli artt. 51 e 52 del d.P.R. n. 131 del 1986 in euro 1.914.880, liquidando le maggiori imposte di registro, ipotecaria e catastale conseguentemente dovute;
che tale avviso di rettifica e liquidazione diveniva definitivo in conseguenza dell’omessa impugnazione e del regolare versamento dell’imposta da parte dei contribuenti;
che i contribuenti, ai fini IRPEF, presentavano perizia giurata di stima delle aree, redatta ai sensi dell’art. 7 della legge n. 448 del 2001, recante il valore di euro 1.079.906 (ossia euro 10.000 meno del prezzo di vendita);
che, con successivi avvisi di accertamento, l’Agenzia delle entrate provvedeva a recuperare a tassazione come reddito diverso per l’anno 2003, ai sensi dell’art. 81, comma 1, lett. a) e b), del d.P.R. n. 917 del 1986, la plusvalenza di euro 824.974 sottraendo al valore delle aree già definitivamente accertato ai fini delle imposte indirette quello della perizia di stima prodotto dai contribuenti;
che avverso tale avviso i fratelli Montonati proponevano distinti ricorsi davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Milano, sul presupposto che, una volta effettuata la rivalutazione dei terreni ai sensi dell’art. 7 della legge n. 448 del 2001 con il versamento dell’imposta sostitutiva ivi disciplinata, sarebbe stata preclusa all’Ufficio la possibilità di rettificare il valore dell’immobile a fini fiscali;
che la Commissione Tributaria Provinciale di Milano, con sentenza n. 194/42/10, accoglieva i ricorsi riuniti, riconoscendo come unica plusvalenza tassabile quella di 10.000 euro in tutto (5.000 euro per ciascun contribuente), frutto della differenza tra il prezzo di vendita dell’area edificabile e il valore attribuito a detta area dalla perizia di stima;
che avverso detta decisione l’Agenzia delle entrate proponeva appello, sostenendo la piena utilizzabilità, al fine della determinazione della plusvalenza, del valore dell’immobile già accertato ai fini dell’imposta di registro;
che la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, con sentenza n. 104/46/12 del 23 luglio 2012, respingeva l’appello, affermando che, una volta effettuata la rivalutazione delle aree ai sensi dell’art. 7 della legge n. 448 del 2001, sarebbe preclusa all’Ufficio la possibilità di disattendere il valore del suolo compravenduto, così come determinato dalla perizia di stima;
che l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso affidato a due motivi di ricorso e che il contribuente si costituiva con controricorso, chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile o comunque infondato;
Ragioni della decisione
Considerato che con il primo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3, la ricorrente Agenzia delle entrate deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge n. 448 del 2001, art. 81, comma 1, lett. a), b) e /) del d.P.R. n. 917 del 1986 nonché dell’art. 2697 cod. civ. in quanto la sentenza impugnata avrebbe ritenuto che la rivalutazione delle aree effettuata ex art. 7 della legge n. 448 del 2001 precluda il potere dell’Ufficio di accertare un maggior valore del bene;
che, con il secondo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 4, la ricorrente Agenzia delle entrate deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e degli artt. 18, 19 e 21 del d.lgs. n. 546 del 1992 in quanto la sentenza impugnata, sia pure incidenter tantum, ha affermato che anche l’avviso di liquidazione ai fini dell’imposta di registro sarebbe nullo, quando invece è ormai definitivo per omessa impugnazione e non è stato neppure oggetto né di contestazione né di impugnazione in sede di appello;
che la sentenza impugnata ha motivato le sue decisioni facendo sempre riferimento alla validità della perizia giurata di stima, ma senza tener conto che la plusvalenza tassabile a fini IRPEF è costituita dalla differenza tra il prezzo della vendita (su cui la sentenza non motiva, dando per scontato che si debba tenere conto di quello indicato dalle parti nell’atto di vendita) e quello risultante dalla perizia giurata;
che l’Agenzia delle entrate punta le sue doglianza sul prezzo della vendita accolto dalla sentenza impugnata, ritenendo che si debba fare riferimento non al prezzo indicato dalle parti nell’atto di vendita ma a quello risultante ai fini dell’imposta di registro;
ritenuto che pertanto il primo motivo è infondato in quanto questa Corte ha affermato, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, che l’art. 5, comma 3, del d.lgs. n. 147 del 2015 – che, quale norma di interpretazione autentica, ha efficacia retroattiva – esclude che l’Amministrazione finanziaria possa ancora procedere ad accertare, in via induttiva, la plusvalenza patrimoniale realizzata a seguito di cessione di immobile o di azienda solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro (Cass. 17 maggio 2017, n. 12265; Cass. 6 giugno 2016, n. 11543), ma la motivazione, ex art. 384, comma 4, va corretta in questo senso, in quanto la sentenza impugnata non ha tenuto in debito conto dei rilievi dell’Agenzia delle entrate;
ritenuto che il secondo motivo è inammissibile in quanto, poiché il ricorso è respinto non in ragione della circostanza che l’accertamento ai fini IRPEG sia o meno divenuto definitivo ma perché in ogni caso tale accertamento – come evidenziato a proposito del primo motivo – non può da solo essere preso in considerazione per determinare la plusvalenza tassabile a fini IRPEF, il suo ipotetico accoglimento è del tutto irrilevante ai fini della possibile cassazione della sentenza impugnata e questa Corte ha affermato che è inammissibile per difetto d’interesse il motivo di impugnazione con cui si deduca la violazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, prive di qualsivoglia influenza in relazione alle domande o eccezioni proposte, e che sia diretta, quindi, all’emanazione di una pronuncia senza rilievo pratico (Cass. 13 ottobre 2016, n. 20689);
ritenuto pertanto che il ricorso dell’Agenzia delle entrate va rigettato; che, avuto riguardo alla recente evoluzione giurisprudenziale determinatasi successivamente alla proposizione del ricorso, si ravvisano i presupposti per l’integrale compensazione delle spese.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso dell’Agenzia delle entrate; spese compensate.
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