CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 09 maggio 2018, n. 11210
Avviso di addebito – Contributi previdenziali Inps per cassa integrazione ordinaria e straordinaria, mobilità e disoccupazione – Società di servizi al pubblico in regime di concorrenza – Controllo dell’Amministrazione pubblica attraverso gli strumenti di diritto privato – Disciplina derogatoria rispetto a quella propria dello schema societario – Non sussiste
Rilevato che
con sentenza depositata il 27/5/2015, la Corte d’appello di Torino ha rigettato l’appello proposto da I.R. Energia s.p.a., già I.D. energia s.p.a. e da I.R. s.p.a., già I.D. s.p.a. contro la sentenza del tribunale che aveva rigettato la loro opposizione proposta ex art. 24, comma quinto, d.lgs. n. 46 del 1999 contro l’avviso di addebito avente ad oggetto i contributi dovuti all’INPS per cassa integrazione ordinaria e straordinaria, mobilità e disoccupazione, relativi al periodo febbraio 2008, ottobre, novembre e dicembre 2009 e febbraio- dicembre 2010, con esclusione del mese di ottobre;
la Corte, a fondamento del decisum, ha argomentato sulla base della natura della società, che ha natura essenzialmente privata, in quanto finalizzata all’erogazione di servizi al pubblico in regime di concorrenza ed in cui l’amministrazione pubblica esercita il controllo esclusivamente attraverso gli strumenti di diritto privato, restando irrilevante – in mancanza di una disciplina derogatorie rispetto a quella propria dello schema societario – la mera partecipazione, pur maggioritaria ma non totalitaria, da parte dell’ente pubblico;
ha poi ritenuto insussistente requisito della stabilità dell’impiego previsto dall’art. 40, n. 2 del RDL n. 1827/1935; del tutto infondata era sia l’eccezione di prescrizione sia quella relativa al quantum della pretesa contributiva, dal momento che la documentazione prodotta dalle ricorrenti (modelli F24) non era ricollegabile alla pretesa oggetto della controversia; sulla richiesta di riduzione delle sanzioni e delle somme aggiuntive, non ha ravvisato il presupposto di cui all’art. 116, comma 15, legge n. 388/2000;
contro la sentenza l’I.R. energia s.p.a. e la I.R. s.p.a., ricorrente ad adiuvandum, propongono ricorso per cassazione, sostenuto da plurimi motivi;
l’Inps, anche per conto della Società di cartolarizzazione dei crediti, resiste con controricorso;
non svolge invece attività difensiva Equitalia Nord s.p.a.;
la proposta del relatore ex art. 380 bis cod.proc.civ. è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata;
le ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 380 bis cod.proc.civ.;
il collegio ha deliberato di adottare la motivazione semplificata.
Considerato che
1. con il primo motivo le società ricorrenti, denunciando la violazione di un complesso di norme (art. 3, comma 1°, dIgs. CPS 12/8/1947, n. 869; art. 2 L. n. 1115/1968; art. 1 L. 464/1972; art. 1 L. 164/1975; art. 4 L. n. 270/1988; art. 22 L. 142/1990; art. 113 D.Igs. n. 276/2000; art. 35 L. 448/2001; art. 2 comma 2, D.lgs. n. 158/1995; art. 3, comma 28, D.Lgs. n. 163/2006; art. 2, D.Lgs. n. 333/2003; art. 20, comma 2°, L. 133/2008; artt. 2112 e 2359 codice civile), nonché il vizio di motivazione, censurano la sentenza per avere ritenuto dovuti i contributi per CIGS e CIGO: in sintesi, sostengono che la partecipazione di soggetti pubblici al capitale sociale comporta che le società medesime debbano essere annoverate nell’ambito delle “imprese industriali degli enti pubblici, anche se municipalizzate”, esonerate, in base al disposto del D.C.P.S. n. 869 del 1947, art. 3, dall’applicazione delle norme sull’integrazione dei guadagni degli operai dell’industria;
1.2. quanto al vizio di motivazione, esso andrebbe ravvisato nell’omesso esame delle situazioni di fatto inerenti alle caratteristiche delle società, che in ragione del peculiare oggetto, della presenza di capitale pubblico, della “assoluta dominanza” dell’ente pubblico, dell’assoggettamento al regime di concessione pubblica ed al controllo della Corte dei Conti, non si prestano ad essere inquadrate nell’ambito della normale società per azioni di diritto comune.
2. Con il secondo motivo, deducono la violazione degli artt. 10, 19, 20 e 46 del d.lgs. 14 settembre 2015, n. 148, il quale, nel disciplinare il campo di applicazione della disciplina delle integrazioni salariali ordinarie e dei relativi contributi, dispone che essa si applichi anche alle “imprese industriali degli enti pubblici, salvo il caso in cui il capitale sia interamente di proprietà pubblica” (art. 10, comma 1°, lett. 1); inoltre, l’art. 46 del DLGS citato, contempla tra le abrogazioni espresse il d.lgs. del CpS dello Stato 12 agosto 1947, n. 869 (comma primo, lett. b) e dispone altresì l’abrogazione di ogni altra disposizione contraria o incompatibile con il decreto;
2.1. assume la parte ricorrente che la norma dell’art. 10 avrebbe, in base ad una scelta discrezionale del legislatore, disposto solo per l’avvenire, nel senso che solo a far tempo dalla sua entrata in vigore (24 settembre 2015) può dirsi sorto l’obbligo contributivo in esame per le imprese industriali degli enti pubblici il cui capitale non sia interamente di proprietà pubblica.
3. Con il terzo motivo le ricorrenti censurano la sentenza per violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 16, commi 1 e 2, nonché vizio di motivazione, per avere affermato la sussistenza dell’obbligo della contribuzione per la mobilità, richiamando le stesse considerazioni già svolte nel primo motivo.
4. Con il quarto motivo, le ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione degli artt. 40, n. 2 R.D.L. 1827/1935; 20, commi 2,4, 5 e 6, L. n. 133/2008, 2112 codice civile, 10- 19-20 e 46 del d.lgs. n. 148/2015, nonché il vizio di motivazione, riproponendo gli argomenti già svolti circa la natura della società, riconducibile alla categoria di aziende cui all’art. 40, n. 2 del R.D.L n. 1827/1935; conferma ne sarebbe la L. 133/2008, art. 20, comma 2°, che ricomprende in una qualificazione unitaria “le imprese dello Stato, degli enti pubblici e degli enti locali privatizzati e a capitale misto”;
4.1. assumono che la normativa è stata del tutto novellata, con la conseguenza che l’imposizione contributiva per la disoccupazione involontaria nei confronti delle aziende di cui all’art. 40 decorre solo dal 1/1/2009; sostiene inoltre, sempre nello stesso motivo, che l’esenzione contributiva doveva comunque riconoscersi in quanto esse ricorrenti erano sorte a seguito di vicende traslative dal Gruppo A.E., cui era incontestato si applicasse il C.C.N.L. Elettrici-Federalelettrica, che garantiva la stabilità di impiego, sicché sia ai sensi dell’art. 2112 cod.civ. sia per applicazione diretta del contratto collettivo, tutti i suoi dipendenti godevano della stabilità di impiego, condizione questa che di per sé escludeva l’obbligo contributivo per la disoccupazione involontaria;
in ordine a tutte queste circostanze la motivazione della sentenza era in ogni caso carente o affetta da incongruenze.
5. Con il quinto motivo denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 3, comma 1°, del DLgs. CPS n. 869/1947, 16, commi 1 e 2 L. n. 223/1991, 40 R.D.L. 1827/1935, 20, commi 2, 4,5, e 6 L. n. 133/2008, e 2112 codice civile, riproponendo la medesima questione della continuazione dello status giuridico delle società sorte per derivazione ex art. 2112 cod.civ. da società aventi diritto agli esoneri contributivi; il motivo è esteso anche al vizio di motivazione sulle medesime circostanze.
6. Con il sesto motivo, proposto in via subordinata al rigetto delle precedenti censure, le ricorrenti si dolgono della violazione degli artt. 2697 cod.civ. e 112- 116 cod.proc.civ., nonché della motivazione insufficiente e illogica sul punto relativo al quantum degli addebiti, da esse espressamente contestato, laddove la motivazione della corte d’appello aveva compiuto una inammissibile inversione degli oneri probatori.
7. Con il settimo motivo, anch’esso subordinato, si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 116, comma 15, L. 388/2000, rilevando come dalla stessa sentenza fossero emersi di indici di un contrasto interpretativo sulle norme in esame, attestato dalle plurime pronunce emesse dai giudici di merito, oltre che dalla Corte di cassazione, e di segno favorevole alle società.
8. Con l’ottavo motivo, infine, si denuncia la violazione degli artt. 91 e 92 del cod.proc.civ., lamentando che il contrasto interpretativo è ragione sufficiente ed adeguata per una compensazione delle spese.
9. I primi cinque motivi che si affrontano congiuntamente per l’evidente connessione che li avvince, sono manifestamente infondati.
10. E’ pacifico che la I.D. energia s.p.a. è nata da uno scorporo di ramo di azienda di I.D. s.p.a., la quale a sua volta è nata dalla fusione di due società per azioni la A.E. Torino s.p.a. e la A.M. s.p.a., entrambe aziende ex-municipalizzate. Si tratta di società partecipata per una quota da soci pubblici, in particolare dai Comuni di Torino e Genova. Sono dunque società a capitale misto.
Giudicando su fattispecie sovrapponibili alla presente, questa Corte ha avuto modo di ribadire che, anche successivamente all’entrata in vigore dell’art. 35, l. n. 448/2001, dell’art. 3, comma 28, d.lgs. n. 163/2006, e dell’art. 20, comma 2, d.l. n. 112/2008 (conv. con L. n. 133/2008), le società per azioni a prevalente capitale pubblico aventi ad oggetto l’esercizio di attività industriali sono tenute al pagamento dei contributi previdenziali previsti per la cassa integrazione guadagni e la mobilità, non potendo trovare applicazione l’esenzione stabilita per le imprese industriali degli enti pubblici, trattandosi di società di natura essenzialmente privata, finalizzate all’erogazione di servizi al pubblico in regime di concorrenza, nelle quali l’amministrazione pubblica esercita il controllo esclusivamente attraverso gli strumenti di diritto privato, e restando irrilevante, in mancanza di una disciplina derogatoria rispetto a quella propria dello schema societario, la mera partecipazione pur maggioritaria da parte dell’ente pubblico (cfr., ex aliis, Cass. 20 aprile 2016, n.7981; Cass. 2 ottobre 2015, n. 19761; Cass. 29 agosto 2014, n. 18455; Cass. 30 ottobre 2013, n. 24524; Cass. 11 settembre 2013, n. 20818; Cass. 10 marzo 2010, n. 5816; da ultimo, Cass. 4 aprile 2017, n. 8704, e Cass. 12 ottobre 2017, n. 24012).
11. Tali affermazioni di principio non possono essere scalfite né dall’art. 10, d.lgs. n. 148/2015, il quale – per quanto qui interessa – ha espressamente previsto l’assoggettamento alla cassa integrazione (e alla relativa contribuzione) delle imprese industriali aventi ad oggetto la «produzione e distribuzione dell’energia, acqua e gas», dal momento che la sua natura innovativa rispetto al quadro ordinamentale già esistente è già stata espressamente disconosciuta dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. in tal senso Cass. nn. 9816 del 2016, 26016 e 26202 del 2015), né a iodio/i dall’art. 1, comma 309, I. n. 208/2015, il quale, nel far salvo dal novero delle abrogazioni previste dall’art. 46, d.lgs. n. 148/2015, l’art. 3, d.I.C.p.S. n. 869/1947 (a norma del quale «sono escluse dall’applicazione delle norme sulla integrazione dei guadagni degli operai dell’industria […] le imprese industriali degli enti pubblici, anche se municipalizzate, e dello Stato»), ha semmai confermato la voluntas legis di escludere dall’area di operatività delle disposizioni concernenti l’integrazione salariale soltanto quei soggetti che possano qualificarsi come “imprese industriali dello Stato o di altri enti pubblici”, tra le quali, per le ragioni anzidette, non possono figurare le imprese gestite in forma di società a partecipazione pubblica (così Cass. nn. 7332 e 8704 del 2017, in cui si richiamano Cass. S.U. nn. 26283 del 2013 e 5491 del 2014).
12. Alla luce dei principi giurisprudenziali su richiamati, sussiste l’obbligo del versamento contributivo per le prestazioni indicate.
13. Con riferimento ai contributi relativi alla disoccupazione involontaria, oggetto specificamente del quarto e del quinto motivo, le censure sono senz’altro inammissibile. per difetto d’interesse relativamente ai contributi (la gran parte) concernenti il periodo successivo al gennaio 2009, giacché dalla stessa prospettazione di parte ricorrente (cfr. in particolare pag. 40-41 del ricorso per cassazione), essi sarebbero dovuti in virtù dell’art. 20, d.l. n. 112/2008 (conv. con I. n. 133/2008) (in tal senso, Cass., 12 ottobre 2017, n. 24012).
13.1. Quanto al periodo precedente, riguardante solo il mese di febbraio del 2008 (pagina tre della sentenza impugnata) questa Corte ha già avuto modo di affermare che non può attribuirsi alcun significato, ai fini di configurare l’esonero contributivo, al D.L. 25 giugno 2008, n. 112, conv. dalla L. 6 agosto 2008, n. 133, il quale ha previsto, solo con decorrenza 1/01/2009 l’obbligo del versamento dei contributi per malattia e maternità nei confronti delle “imprese dello Stato, degli enti pubblici e degli enti locali, privatizzate ed a capitale misto” (art. 20, comma 2).
“La contribuzione disciplinata da tale norma è diversa da quella inerente i titoli vantati dall’INPS nella presente controversia e non implica una “razionalizzazione” dell’intera materia dell’obbligazione contributiva delle imprese pubbliche, privatizzate e a capitale misto, ovvero una assimilazione di tali imprese a qualunque fine previdenziale o assistenziale, dato che, piuttosto, la omogeneità è solo nel senso della estensione dell’obbligo contributivo per la malattia a tutte le imprese, comprese quelle privatizzate e a capitale misto” (v. la già citata sentenza Cass. n. 5816 del 2010) (Così Cass. 11 settembre 2013, n. 20818).
13.2. Parimenti si è escluso che l’esonero dalla contribuzione possa derivare da provvedimenti emessi dall’Autorità amministrativa per l’applicazione del richiamato R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, art. 40, comma 2 (che escludeva l’assoggettamento dei dipendenti delle aziende pubbliche e di quelle esercenti pubblici servizi “quando ad essi sia garantita la stabilità dell’impiego”) e con i quali era stata accertata la stabilità di impiego del personale dipendente della Azienda energetica metropolitana (A.E.) di Torino, dante causa remota delle odierne parti in causa, così come è irrilevante l’applicazione alle danti causa delle stesse dei contratti collettivi nazionali di lavoro dai quali si desumerebbe una incontestata stabilità di impiego.
13.3. Quanto sostenuto nei motivi di ricorso è infatti frutto di una non corretta lettura dell’art. 2112 c.c., la quale persegue lo scopo di garantire ai lavoratori la conservazione dei diritti in caso di mutamento dell’imprenditore, assicurando la continuità del rapporto di lavoro nei confronti dell’azienda, o alla parte di essa, trasferita ed esistente al momento del trasferimento (v. per tutte Cass. 17.03.09 n. 4452), laddove è estranea alla tutela da essa offerta la garanzia di continuità delle prerogative della struttura aziendale riconosciute alla parte imprenditoriale dall’autorità amministrativa, atteso che dette prerogative sono condizionate alla permanenza dei requisiti richiesti dalla legge per il loro riconoscimento (così ancora Cass. n. 20818/2013, cui adde Cass. n. 24012/2017).
13.4. Quanto, infine, all’asserzione secondo cui la stabilità di impiego sarebbe desumibile dall’applicazione diretta ai dipendenti del CCNL Elettrici- Federelettrica essa è affetta da inammissibilità per difetto di autosufficienza ex art.366 c.p.c. La parte ricorrente ha denunciato la violazione di legge e il difetto di motivazione dando per presupposte circostanze di fatto che assume di avere riproposto in appello, omettendo però di indicare i termini attraverso i quali la questione sarebbe stata devoluta alla cognizione del giudice del gravame, onde consentire a questa Corte di valutare se detto giudice abbia omesso di considerare fatti decisivi. In difetto di tali necessari adempimenti, ogni questione che implichi la disamina dei contratti collettivi e degli allegati deve ritenersi nuova e il motivo in parte qua inammissibile (in tal senso anche Cass. n. 7981/2016; Cass. 22/3/2017, n. 7332).
13.5. Per altro verso, il profilo del motivo in esame concernente la stabilità dell’impiego desumibile dalla contrattazione collettiva è affetto da improcedibilità, dal momento che non risultano depositati unitamente al ricorso per cassazione i contratti collettivi indicati.
14. Il sesto motivo è inammissibile.
Deve essere preliminarmente rilevato che in nessuna parte della sentenza si leggono affermazioni in contrasto con il principio dell’onere della prova, né affermazioni di tal fatta sono state espressamente indicate dalle ricorrenti, sicché il vizio di violazione di legge è inammissibilmente formulato (cfr. Cass., 8 marzo 2007, n. 5353; Cass., 19 gennaio 2005, n. 1063; Cass., 6 aprile 2006, n. 8106).
In secondo luogo, la Corte territoriale ha rigettato il motivo di appello, sul presupposto di fatto, già accertato dal tribunale, che gli F24 prodotti in giudizio non sono ricollegabili alla pretesa contributiva in esame, e tale affermazione — lungi dal determinare un’inversione degli oneri probatori, giacché attraverso la contestazione del quantum asseritamente fondata sugli F24, la parte sostanzialmente eccepisce un fatto parzialmente estintivo della pretesa contributiva della cui prova è onerato, ai sensi dell’art. 2697, comma 2, cod.civ.- non è adeguatamente e ammissibilmente censurata, dal momento che i documenti da cui emergerebbe l’eccessività delle somme pretese dall’Inps non sono stati trascritti neppure per sintesi né depositati unitamente al ricorso per cassazione, né infine ne è stata precisata l’esatta ubicazione nei fascicoli di parte o d’ufficio delle precedenti fasi del giudizio, apparendo al riguardo del tutto generico il riferimento al “doc. 38 di parte opponente”. Anche per tale verso, dunque, la censura è affetta da inammissibilità.
15. Il settimo motivo è infondato.
Come questa Corte ha già affermato, ai fini dell’applicabilità della normativa sanzionatoria di favore è richiesto un quid pluris rispetto alla non manifesta infondatezza della doglianza o all’opinabilità della sussistenza dell’obbligazione, elementi presenti nella quasi totalità delle controversie in tema di imponibilità contributiva, essendo richiesto un affidamento incolpevole nell’interpretazione disattesa in giudizio, derivante dallo stesso comportamento dell’ente impositore o da un consolidato orientamento giurisprudenziale. Tali situazioni non ricorrono nel caso in esame, stante la consolidata giurisprudenza di segno contrario rispetto alle posizioni della società (Cass. 26 giugno 2017, n.15897).
Inoltre, secondo quanto già affermato da questa Corte (Cass. n. 27513/2013) il comma 15 della norma citata pone come premessa per la riduzione delle sanzioni civili, l’integrale pagamento dei contributi e dei premi dovuti alle gestioni previdenziali e assistenziali nel termine fissato dagli enti impositori (Cass. 1 dicembre 2014, n. 25389; Cass. n. 01 marzo 2016, n. 4077).
Non contraddice la soluzione adottata la deduzione (formulata a pag. 50 del ricorso) secondo la quale la I.R. Energia avrebbe eseguito il pagamento della contribuzione richiesta: non risulta invero che la circostanza sia stata prospettata al giudice di merito, sicché la deduzione formulata per la prima volta in Cassazione risulta inammissibile, così come inammissibili sono le nuove produzioni documentali ex art. 372 cod.proc.civ. (in tal senso, Cass. 10 luglio 2017, n. 17031).
15. L’ultimo motivo è infine inammissibile.
Premesso che i giudici di merito hanno fatto corretta applicazione del principio della soccombenza, dal momento che l’opposizione è stata totalmente rigettata, va ricordato che la valutazione dell’opportunità della compensazione totale o parziale rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia in quella (prospettata dal ricorrente) della sussistenza di giusti motivi, ed il giudice non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (Cass. sez. Un. 15/07/2005, n.14989; Cass. 31/03/2006, n. 7607).
16. In definitiva, il ricorso deve essere rigettato e le ricorrenti condannate, in solido, al pagamento in favore dell’Inps controricorrente, anche nella qualità di procuratore speciale della SCCI s.p.a., delle spese del presente giudizio, che si liquidano come da dispositivo in ragione del valore della controversia. Nessun provvedimento sulle spese deve invece adottarsi nei confronti di Equitalia, che non ha svolto attività difensiva.
16.1. Poiché il ricorso è stato notificato in data successiva al 30 gennaio 2013, sussistono i presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dell’art. 13, comma 1, del d.p.r. 115/2002.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate in euro 3500,00 per compensi professionali e € 200,00 per esborsi, oltre al 15% di rimborso forfettario delle spese generali e altri accessori di legge. Nulla sulle spese nei confronti della parte rimasta intimata.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1, quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.
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