CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 09 maggio 2019, n. 12371
Contratto d’opera professionale – Sussistenza di un vincolo di subordinazione – Indici sussidiari – Onere della prova
Rilevato che
– con decreto del 21/12/2015, il Tribunale di Arezzo, in parziale accoglimento dell’opposizione proposta da M.N., ha ammesso la ricorrente allo stato passivo dell’amministrazione straordinaria di E. S.p.a. per la somma di euro 17.706,66, a titolo di TFR, in via privilegiata ex art. 2751 – bis n. 1 cod. civ., oltre rivalutazione monetaria dalla data di maturazione del credito a quella del deposito del decreto di esecutività dello stato passivo ed interessi legali, ex art. 54 l.f., dalla data di maturazione del credito a quella del deposito del progetto di riparto;
– in particolare, il Tribunale, rinvenendo la sussistenza di diversi indici rivelatori, ha, ritenuto la natura subordinata a tempo indeterminato ab origine del rapporto intercorso fra la ricorrente e la società essendo stata la N. assegnata ininterrottamente dal 2004 all’area legale quale avvocato ed affidataria, nel corso del rapporto, della responsabilità della sottodivisione relativa al recupero crediti;
– quanto alla determinazione del credito, il Tribunale, sulla scorta delle valutazione del CTU, ha ritenuto che il totale lordo delle retribuzioni previste dal VII livello del CCNL Telecomunicazioni (comprese tredicesima, festività non godute e permessi), ammontante ad euro 153.000,29, fosse inferiore alle somme comunque percepite dalla ricorrente a titolo di compensi professionali, pari ad euro 203.660,95, reputando, quindi, residuare in favore della lavoratrice il solo credito di euro 17.706,66 a titolo di – avverso tale decreto ha proposto ricorso per cassazione, corredato da memoria, E. S.p.A. in Amministrazione Straordinaria, affidandolo ad un motivo diversamente articolato;
– resiste con controricorso M.N.
Considerato che
– con l’unico motivo di ricorso si deducono violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 c.c. ed omesso esame di un fatto decisivo controverso tra le parti, in relazione all’asserita erroneità dell’accertamento di un rapporto di lavoro subordinato sulla base della valorizzazione di indici sussidiari, non idonei a dimostrare la sussistenza di un vincolo di subordinazione a fronte del nomen iuris utilizzato tra le parti di contratto d’opera professionale nella convenzione intercorsa in data 11.11.08, avente ad oggetto l’offerta di servizi professionali in ambito giudiziale ed extragiudiziale;
– il motivo è inammissibile;
– per costante giurisprudenza di legittimità (cfr., ex plurimis, Cass. 12/10/2017, n. 24054) il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa;
– viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione: il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa;
– nel caso di specie, pur allegando la parte la violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 cod. civ., la sussunzione della fattispecie concreta nell’ambito delle disposizioni legali non è in discussione, atteso che ciò che viene contestato è la corretta ricostruzione fattuale dell’accaduto e, comunque, del rilievo attribuito dalla Corte territoriale agli indici rivelatori della subordinazione, cosi come ricostruiti nel corso dell’istruttoria;
– tale valutazione si traduce, in tutta evidenza, in una attività fattuale inibita in sede di legittimità e va pertanto dichiarata inammissibile l’istanza di revisione della stessa in quanto tipicamente espressiva di una richiesta di revisio prioris istantiae;
– d’altro canto, anche in ordine al lamentato vizio di motivazione, va rilevato che si tratta, anche in tal caso, di una valutazione di fatto totalmente sottratta al sindacato di legittimità, in quanto in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 del cod. proc. civ., disposto dall’art. 54 co 1, lett. b), del DL 22 giugno 2012 n. 83, convertito con modificazioni nella legge 7 agosto 2012 n. 134 è stata limitata l’impugnazione delle sentenze in grado di appello o in unico grado per vizio di motivazione alla sola ipotesi di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, con la conseguenza che, al di fuori dell’indicata omissione, il controllo del vizio di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. e va individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte – formatasi in materia di ricorso straordinario – in relazione alle note ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4), c.p.c. e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità (fra le più recenti, Cass. 12.10.2017, n. 23940;
– nel caso di specie, nessuna omissione si rinviene nell’attività decisoria del giudice di merito, mentre completa e congrua deve ritenersi la motivazione adottata dal Tribunale nel dar conto di tutto il proprio percorso argomentativo, con particolare riguardo alla sussistenza del vincolo di soggezione personale della lavoratrice al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro, con conseguente limitazione della sua autonomia ed inserimento nell’organizzazione aziendale, sulla base degli elementi sussidiari individuati sulla base dell’istruttoria esperita;
– alla luce delle suesposte argomentazioni, il ricorso va dichiarato inammissibile;
– le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo con distrazione in favore dei procuratori, dichiaratisi antistatarii;
– sussistono i presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato ai sensi del comma 1 – quater dell’art. 13 d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore dei procuratori della parte controricorrente, dichiaratisi antistatali, che liquida in complessivi euro 4.000,00 per compensi e euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 1 – bis dello stesso articolo 13 (ndr comma 1 – bis dello stesso articolo 13).
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