CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 09 marzo 2021, n. 6430
Tributi – Accertamento – Acquisti – Effettività delle operazioni – Fatture soggettivamente fittizie – Assenza di strutture operative e di dotazione di personale della cedente – Società cartiera – Presunzione di consapevolezza del cessionario del disegno criminoso – Onere di prova contraria
Rilevato che
– con sentenza n. 41/15/2012, depositata in data 14 maggio 2012, la Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna, previa riunione al giudizio RG n. 2484/10 di quelli RG n.n. 2486/10, 2487/10 e 2488/10, rigettava gli appelli proposti dall’Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore prò tempore, nei confronti di I.S.R. s.n.c. di L.M. e S.M., in persona del legale rappresentante prò tempore, avverso: 1) (RG n. 2484/10) la sentenza n. 160/17/09 della Commissione tributaria provinciale di Bologna che aveva accolto il ricorso proposto da I.S.R. s.r.l. – poi trasformatasi in data 29/03/2004 in I.S.R. s.n.c.- avverso l’avviso di accertamento n. 79903T100118/2008 con il quale l’Ufficio aveva contestato l’indebita deduzione di costi, ai fini Irpeg e Irap, dall’1/01/2004 al 28/03/2004, in relazione a fatture emesse da società asseritamente c.d. cartiere per operazioni soggettivamente inesistenti; 2) (RG n. 2487/10) la sentenza n. 161/17/09 della Commissione tributaria provinciale di Bologna che aveva accolto il ricorso proposto da I.S.R. s.n.c. avverso ravviso di accertamento n. 79902T100116/2008 con il quale l’Ufficio aveva contestato nei confronti di quest’ultima, in relazione al periodo 29/03/2004 – 31/12/2004 l’indebita deduzione di costi, ai fini Irpeg e Irap e detrazione di Iva, in relazione a fatture soggettivamente fittizie; e nei confronti di L.M. e S.M., quali soci avverso 3) (RG n. 2486/10 e RG n. 2488/10) le sentenze n. 162/17/09 e n. 163/17/09 della Commissione tributaria provinciale di Bologna che avevano accolto i ricorsi proposti dai soci M.L. e M.S. avverso rispettivamente gli avvisi di accertamento n. 79902T100140/2008 e n. 79902T100141/2008 con i quali l’Ufficio aveva contestato nei confronti di questi ultimi, ai sensi dell’art. 5 del d.P.R. n. 917/1986 (TUIR), maggiore reddito di partecipazione, ai fini imposte dirette, per il medesimo anno di imposta;
– nella suddetta sentenza, la CTR, in punto di diritto, per quanto di interesse, ha osservato che: 1) l’Ufficio non aveva prodotto alcuna prova documentale circa il carattere soggettivamente fittizio delle fatture in questione ma, al contrario, queste ultime, perfettamente compatibili con l’attività della contribuente, erano state regolarmente pagate con bonifici diretti ai fornitori, le merci acquistate realmente consegnate, gli importi fatturati in linea con il mercato di riferimento, con applicazione su di essi di una percentuale normale di ricarico, le imposte regolarmente pagate dalla contribuente, le visure camerali dei fornitori prive di anomalie nonché non provati ristorni di denaro o compensazioni di varia natura tra le società in questione; 2) stante anche l’effettività delle operazioni poste in essere, non vi era prova della consapevolezza della contribuente dell’assunto disegno criminoso; 3) a fronte della corretta esecuzione contrattuale doveva essere tutelata la buona fede e l’affidamento incolpevole del contribuente che non fosse a conoscenza del carattere soggettivamente inesistente delle operazioni poste in essere; 4) nella specie, da un lato, l’Amministrazione non aveva fornito la prova presuntiva della asserita inesistenza soggettiva delle operazioni in questione e, dall’altro, la contribuente aveva comunque ampiamente provato, con la documentazione allegata, la propria buona fede;
-avverso la sentenza della CTR, l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui resiste, con controricorso, la società contribuente; rimangono intimati L.M. e S.M.;
– la società controricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis1 c.p.c. insistendo per il rigetto del ricorso e allegando copia dell’ordinanza della Corte di cassazione n. 91/14;
– con ordinanza del 26/2/2020 veniva assegnato all’Agenzia delle entrate termine per la rinnovazione della notificazione del ricorso nei confronti dei soci M.L. e M.S.;
– la società controricorrente ha depositato seconda memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c.;
– previa rinnovazione della notifica del ricorso, a mezzo PEC, disposta dall’Agenzia delle entrate, il ricorso è stato rifissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375, secondo comma, e dell’art. 380-bis. 1 cod. proc. civ., introdotti dall’art. 1 -bis del d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197.
Considerato che
– preliminarmente va osservato che l’Agenzia ha ottemperato alla disposta rinnovazione della notificazione del ricorso introduttivo (nel termine assegnato con l’ordinanza del 26 febbraio 2020) con modalità telematica ai sensi degli artt. 6 e 9 della legge n. 53/94 e 23 del d.lgs. n. 82/2005; ciò in conformità a quanto statuito da Cass. S.U. n. 22438 del 2018 (con enunciazione del principio di diritto nell’interesse della legge, ex art. 363 c.p.c.) secondo cui “il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall’ultima notifica, di copia analogica del ricorso per cassazione predisposto in originale telematico e notificato a mezzo PEC, senza attestazione di conformità del difensore ex art. 9, commi 1 bis e 1 ter, della l. n.. 53 del 1994 o con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non ne comporta l’improcedibilità ove il controricorrente (anche tardivamente costituitosi) depositi copia analogica del ricorso ritualmente autenticata ovvero non abbia disconosciuto la conformità della copia informale all’originale notificatogli ex art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 82 del 2005. Viceversa, ove il destinatario della notificazione a mezzo PEC del ricorso nativo digitale rimanga solo intimato (così come nel caso in cui non tutti i destinatari della notifica depositino controricorso) ovvero disconosca la conformità all’originale della copia analogica non autenticata del ricorso tempestivamente depositata, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità sarà onere del ricorrente depositare l’asseverazione di conformità all’originale della copia analogica sino all’udienza di discussione o all’adunanza in camera di consiglio” (da ultimo, Cass., 6-3, n. 10926 del 2020); nella specie, essendo rimasti intimati i soci M.L. e M.S., l’Agenzia ha correttamente depositato l’asseverazione autografa di conformità all’originale della notifica del ricorso stesso;
– con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 19 e 21 del d.P.R. n. 633 del 1972 e 2697 c.c. per avere la CTR ritenuto erroneamente illegittimi gli avvisi di accertamento in questione senza verificare- a fronte della contestazione della indebita deduzione di costi e detrazione Iva in relazione a fatture che si assumevano soggettivamente fittizie – da un lato, l’effettiva esistenza di numerosi elementi indiziari circa la fittizietà della fatturazione e, dall’altro, la buona fede e diligenza della contribuente in termini di conoscenza/conoscibilità del meccanismo fraudolento limitandosi a ritenerla sussistente avuto riguardo alla regolarità formale delle operazioni in questione, all’iscrizione dei fornitori al registro delle imprese e all’effettivo acquisto della merce con regolare pagamento della medesima;
– con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., la insufficiente motivazione della sentenza impugnata su un fatto controverso e decisivo del giudizio quale era la effettiva asserita “diligenza” della contribuente a fronte di precisi elementi indiziari prodotti dall’Ufficio attestanti il carattere di c.d. cartiera delle società fornitrici;
– i motivi con i quali si denunciano rispettivamente il vizio di violazione di legge e quello di insufficiente motivazione (ai sensi dell’art. 360, comma 5 c.p.c. – nella formulazione applicabile ratione temporis, nella specie, ante novella di cui decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, essendo stata la sentenza impugnata depositata in data 14 maggio 2012) – da trattare congiuntamente per connessione- sono fondati per le ragioni di seguito indicate;
– va premesso che secondo condivisibile orientamento di questa Corte “In tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi (Cass. Sez. 5, n. 27566 del 2018; Cass. n. 9851 del 2018); “Nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti, è onere dell’Amministrazione che contesti il diritto del contribuente a portare in deduzione il costo ovvero in detrazione l’IVA pagata su fatture emesse da un concedente diverso dall’effettivo cedente del bene o servizio, dare la prova che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapesse o potesse sapere, con l’uso della diligenza media, che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si è iscritta in un’evasione o in una frode. La dimostrazione può essere data anche attraverso presunzioni semplici, valutati tutti gli elementi indiziari agli atti, attraverso la prova che, al momento in cui ha stipulato il contratto (nella specie di leasing immobiliare), il contribuente è stato posto nella disponibilità di elementi sufficienti per un imprenditore onesto che opera sul mercato e mediamente diligente, a comprendere che il soggetto formalmente cedente il bene al concedente aveva, con l’emissione della relativa fattura, evaso l’imposta o compiuto una frode” (Cass. Sez. 6-5, Ordinanza n. 5873 del 28/02/2019);
– nella specie – esclusa la rilevanza nel presente giudizio della ordinanza di questa Corte n. 91/14 (allegata alla memoria illustrativa) in quanto concernente controversia avente ad oggetto l’impugnativa di altro avviso di accertamento relativo ad altro anno di imposta (2003)- la CTR, a fronte della contestazione negli avvisi di accertamento in questione (il cui contenuto è stato riportato, per quanto di interesse, in ricorso) della fittizietà soggettiva della fatturazione (per assenza di strutture operative e di dotazione di personale delle c.d. società cartiere interposte, operanti tramite un intermediario privo di qualunque titolo, anomalia della fatturazione, mancanza generalizzata di documenti di trasporto etc.) con una motivazione insufficiente e affetta da vizi logici-giuridici, da un lato, si è limitata ad affermare, quanto alla ritenuta mancata prova documentale da parte dell’Ufficio della contestata inesistenza soggettiva delle operazioni in questione, che le merci acquistate erano state realmente acquistate, le fatture erano regolarmente pagate con bonifici diretti ai fornitori, le visure camerali delle fornitrici non presentavano anomalie, la tipologia di merce acquistata era inerente all’attività esercitata, tutte circostanze concernenti la effettività (non contestata) delle cessioni non già la contestata sostanziale esistenza delle società cedenti fatturanti; dall’altro, il giudice di appello ha erroneamente desunto la prova della “buona fede” della contribuente e, dunque, della sua mancata consapevolezza del meccanismo fraudatorio dai medesimi elementi sopra richiamati concernenti invero la prova della (non contestata) effettività delle operazioni (“manca la prova della consapevolezza che la contribuente fosse parte di un disegno criminoso, stante anche l’effettività dell’operazione posta in essere”); da qui, l’evidente erroneità del giudizio da parte della CTR che non si è conformata ai principi di diritto sopra richiamati;
– in conclusione, il ricorso va accolto; con cassazione della sentenza impugnata e rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna, in diversa composizione, affinché esamini il merito della vicenda.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna, in diversa composizione.
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