CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 09 marzo 2021, n. 6434
Tributi – Accertamento basato su pvc – Verifica attività di commercio al dettaglio – Presunzione di vendite senza scontrino – Valutazione rimanenze – Onere dell’amministrazione finanziaria di provare il fondamento della pretesa tributaria
Rilevato che
in seguito all’accesso, il 15 luglio 2008, nei locali destinati all’esercizio dell’attività commerciale, l’Agenzia delle entrate iniziò una verifica nei confronti di A.G., titolare dell’omonima impresa individuale, che si concluse con la redazione del processo verbale del 24 luglio 2008, sottoscritto dalla contribuente;
da tale processo verbale – cui fa riferimento la sentenza impugnata – risulta che gli impiegati dell’Agenzia delle entrate: a) determinarono in € 108.776,00 il valore, al costo, delle rimanenze effettive alla data del 16 luglio 2008 (nel seguente modo: effettuato l’inventario «analitico, per quantità e valori» di tali rimanenze, ne determinarono anzitutto, sulla base dei prezzi esposti al pubblico, al netto dell’IVA, il valore “a ricavo”, sempre al netto dell’IVA, in € 217.553,34; – calcolarono poi, sulla base dei prezzi di acquisto «della quasi totalità dei capi esposti» rilevato dalle fatture di acquisto degli anni 2007 e 2008 e del raffronto tra gli stessi prezzi di acquisto e i prezzi di vendita esposti al pubblico, le percentuali di ricarico per ogni articolo e la media aritmetica delle stesse, pari al 107 per cento; poiché, peraltro, la contribuente aveva dichiarato che il prezzo indicato sui cartellini, imposto dai fornitori, era il risultato di un ricarico del 100 per cento, decidevano per l’applicazione di quest’ultima percentuale, in quanto più favorevole alla contribuente, al menzionato valore “a ricavo” delle rimanenze alla data del 16 luglio 2008 di € 217.553,34, ottenendo così il valore al costo delle stesse rimanenze alla data del 16 luglio 2008 di € 108.776,00); b) determinarono in € 263.905,36 il valore delle rimanenze contabili al 16 luglio 2008 (nel seguente modo: determinarono, anzitutto, in € 259.698,14 il costo del venduto nel periodo 1° gennaio/15 luglio 2008, ottenendolo, in particolare, sommando al costo del venduto al dettaglio di € 106.444,00 – calcolato, a sua volta, sottraendo agli incassi di € 138.377,50 contabilizzati nel suddetto periodo la percentuale di margine lordo del 30 per cento, «confermata dalla parte» – il costo del venduto della vendita a stock indicata nella fattura n. 1 del 12 febbraio 2008, limitatamente alla merce consegnata con la bolla n. 1 dell’11 febbraio 2008, di € 153.254,14; sommarono l’importo di € 360.200,00 delle esistenze iniziali al 1° gennaio 2008 indicato dalla contribuente all’importo di € 163.403,50 relativo agli acquisti di merce contabilizzati nel periodo 1° gennaio/15 luglio 2008; sottrassero dalla somma così ottenuta il suddetto costo del venduto nel periodo 1° gennaio/15 luglio 2008 di € 259.698,14, ottenendo, così, il valore delle rimanenze contabili al 16 luglio 2008 di € 263.905,36); c) ritennero che la differenza tra quest’ultimo valore delle rimanenze contabili al 16 luglio 2008 di € 263.905,36 e il valore, al costo, delle rimanenze effettive alla stessa data di € 108.776,00 – differenza pari a € 155.129,00 – «costituisce “vendite effettuate senza emissione di scontrino fiscale”») d) in considerazione della rilevanza di tale importo, ritennero che la corrispondente «omissione dei Ricavi [fosse] relativa non al solo anno 2008, ma [fosse], invece, spalma bile negli anni 2004 – 2005 – 2006 – 2007 e frazione di anno 2008, in proporzione ai Ricavi dichiarati dalla parte»; e) in base a tale proporzione, calcolarono che la merce venduta senza l’emissione dello scontrino fiscale era stata pari a € 25.968,60 nel 2004, a € 27.411,30 nel 2005, a € 45.654,46 nel 2006, a € 31.460,16 nel 2007 e a € 24.634,48 dal 1° gennaio al 15 luglio 2008; f) applicarono, infine, a tali importi le percentuali di ricarico lorde, rispettivamente, del 30,97 per cento, del 28,08 per cento, del 22,38 per cento e del 19,68 per cento dichiarate dalla contribuente nelle dichiarazioni modelli Unico per gli anni 2004, 2005, 2006 e 2007 e la percentuale di ricarico lorda del 30 per cento rilevata al momento dell’accesso per il periodo dal 1° gennaio al 15 luglio 2008; g) ottennero, così, ricavi non dichiarati di € 34.011,00 nell’anno 2004, di € 35.108,00 nell’anno 2005, di € 55.872,00 nell’anno 2006, di € 37.651,0 nell’anno 2007 e di € 32.025,00 nel periodo dal 1° gennaio al 15 luglio 2008 (per un importo complessivo di € 194.667,00);
sulla base di queste risultanze del processo verbale del 24 luglio 2008, l’Agenzia delle entrate notificò un avviso di accertamento ai fini delle imposte dirette e dell’IVA per l’anno d’imposta 2007;
tale avviso di accertamento fu impugnato davanti alla Commissione tributaria provinciale di Napoli (hinc anche: «CTP») che, con la sentenza n. 750/30/2013 depositata il 21 ottobre 2013, accolse il ricorso della contribuente;
avverso tale pronuncia, l’Agenzia delle entrate propose appello alla Commissione tributaria regionale della Campania (hinc anche: «CTR»), che lo accolse affermando che: a) «la sentenza impugnata non può ritenersi sufficientemente motivata tramite il mero rinvio a sentenze relative ad altre annualità. Non solo, infatti, le richiamate sentenze sono state riformate nel grado successivo, ma la motivazione per relationem è possibile purché il giudice espliciti le ragioni in virtù delle quali condivide e fa propria la motivazione contenuta in altra sentenza»; b) nel «merito, è evidente l’infondatezza delle doglianze del contribuente. Premesso che la verifica fiscale, con accesso in loco, si è svolta alla presenza del contribuente così che ogni questione relativa alla tutela del contraddittorio deve reputarsi superata non avendo la parte formulato rilievi né durante le operazioni di verifica né nei 60 gg. successivi, i verbalizzanti hanno proceduto ad un inventario analitico della merce e, per determinare il valore al costo della merce, hanno decurtato i prezzi esposti al pubblico del 100%. Successivamente, per effettuare la ricostruzione dei ricavi non dichiarati, sulla merce venduta in evasione è stata calcolata la percentuale di ricarico del 19,68% secondo la stessa dichiarazione della parte, seppure notevolmente inferiore rispetto a quella usualmente praticata dalle imprese del settore. In conclusione le contestazioni del contribuente sono del tutto infondate»;
avverso tale sentenza della CTR – depositata il 16 dicembre 2014 e non notificata – ricorre per cassazione A.G., che affida il proprio ricorso, notificato il 15 e il 16 giugno 2015, a tre motivi;
l’Agenzia delle entrate, con sede in Roma, resiste con controricorso, notificato il 18 agosto 2015.
Considerato che
preliminarmente, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze, poiché privo di legittimazione passiva in quanto il procedimento è stato introdotto successivamente al 1° gennaio 2001, giorno in cui è divenuta operativa l’istituzione dell’Agenzia delle entrate, alla quale, per i procedimenti introdotti dopo detta data, spetta in via esclusiva la legittimazione ad causam e ad processum (per tutte, Cass., Sez. U, 14/02/2006, n. 3118);
con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., la violazione o falsa applicazione: a) degli artt. 115 e 167, primo comma, dello stesso codice, degli artt. 2697, 2729 e 2217 cod. civ. e dell’art. 39, secondo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 perché la CTR – «omefttendo] di rilevare che l’oggetto del giudizio non era costituito dal processo verbale di constatazione […] ma dall’avviso di accertamento», «da[ndo] per presupposto che non vi sia stata alcuna verifica degli elementi contabili riguardo ai redditi per l’anno 2005 /recte: 2007]», non considerando che «il principio dello “spalmamento” di imposta non trova riscontro né contabile né normativo e viola i più elementari principi di diritto in materia di inventario non apparendo giustificabile neppure sotto il profilo logico induttivo» – ha appunto violato o falsamente applicato: a.1) gli artt. 167 (primo comma) e 115 (primo comma) cod. proc. civ. in relazione al fatto che «[n]el caso di specie la controversia oggetto del giudizio andava ristretta all’accertamento fatto con metodo induttivo dei redditi per l’anno 2007») a.2) gli artt. 2697 e 2729 cod. civ., «laddove dà per provati i fatti (nella specie relativi al sistema delle presunzioni con riferimento all’accertamento operato dall’Agenzia ed al PVC) laddove criteri e metodi erano stati oggetto di espressa contestazione da parte del contribuente ed oggetto di motivato accoglimento in prima istanza»; a.3) l’art. 2217 (primo comma) cod. civ. che «rappresenta la natura di documento a formazione progressiva e stratificata [dell’inventario] quale storico dell’impresa», il quale, quindi, «va letto in relazione all’intera evoluzione dell’arco produttivo dell’impresa e non può essere ridotto a mero simulacro rappresentativo di una annualità»-, b) dell’art. 58 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, per avere la CTR ammesso la produzione in appello, da parte dell’Agenzia delle entrate, dei ricorsi in appello da essa proposti avverso le sentenze di primo grado relative agli avvisi di accertamento emessi per altre annualità, impugnazioni che, avendo «valenza probatoria», l’amministrazione finanziaria avrebbe «potuto e dovuto documentare nel giudizio di primo grado») c) l’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212 e l’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, per avere la CTR ritenuto la validità dell’avviso di accertamento impugnato nonostante fosse motivato per relationem al processo verbale e nonostante quest’ultimo atto non desse «minimamente conto delle ragioni di fatto e di diritto che avrebbero determinato l’imposta per cui si controverte» nonché per avere omesso di annullare, per le dette ragioni, lo stesso avviso e, conseguentemente, di disconoscere l’obbligazione tributaria;
con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., la violazione o falsa applicazione dell’art. 39, secondo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973 nonché «avviso di accertamento – invalidità – vizio di motivazione – illogicità – art. 111 Cost. – violazione – sussistenza», per avere la CTR ritenuto la validità dell’avviso di accertamento impugnato nonostante nella specie non sussistesse alcuno dei casi che legittimano l’ufficio a ricorrere al metodo di accertamento induttivo cosiddetto puro di cui al secondo comma dell’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973;
con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., la «nullità della sentenza» e l’«erronea applicazione» dell’art. 2729 cod. civ., in quanto: a) la CTR «si è limitat[a] ad un acritico riferimento al contenuto del verbale degli agenti verificatori mentre avrebbe dovuto elaborare e ricostruire un proprio accertamento in via autonoma e indipendente», atteso che «[p]er poter condividere le risultanze contenute nel verbale non è […] sufficiente riferirsi pedissequamente alle risultanze dello stesso ma è necessario esporre in maniera compiuta i motivi che hanno portato il giudicante alle stesse conclusioni dell’organo accertatore»; b) premesso che l’accertamento è stato compiuto «con metodo analitico- induttivo ai sensi dell’art. 39 comma I – lettera d – secondo periodo» del d.P.R. n. 600 del 1973, e che tale metodo «richiede […] che le prove logiche siano dotate dei requisiti di precisione, gravità e concordanza di cui all’art. 2729 c.c.», la CTR ha applicato quest’ultima norma nonostante la mancanza, nella specie, dei suddetti requisiti, come comprovato, in particolare, dal fatto che l’ufficio ha applicato alla merce venduta nel 2007 la percentuale di ricarico del 42,55 per cento, più che doppia rispetto a quella del 19,68 per cento effettivamente da lei applicata;
precisato che l’articolazione del primo motivo in più profili di doglianza, non impedendo di individuare le diverse questioni con esso prospettate, non ne pregiudica l’ammissibilità (Cass., 13/03/2017, n. 7009, 23/10/2018, n. 26790) e premesso che, per ragioni di connessione, il profilo indicato sub a.2) verrà esaminato congiuntamente al terzo motivo, gli ulteriori profili dello stesso primo motivo sono inammissibili o infondati;
in ordine di priorità logico-giuridica, va anzitutto esaminato il profilo indicato sub b);
tale profilo – che deve essere correttamente inquadrato nell’ipotesi di cui al n. 4) (e non al n. 3) del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ. – è inammissibile e, comunque, infondato;
quanto all’inammissibilità, questa Corte ha affermato il principio – che il Collegio condivide – secondo cui «[l]a denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme processuali non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della denunciata violazione. Ne consegue che è inammissibile l’impugnazione con la quale si lamenti un mero vizio del processo, senza prospettare anche le ragioni per le quali l’erronea applicazione della regola processuale abbia comportato, per la parte, una lesione del diritto di difesa o altro pregiudizio per la decisione di merito. (Nell’enunciare tale principio, la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dal contribuente che, deducendo una tardiva produzione documentale verificatasi nel corso del giudizio di merito, aveva omesso di precisare l’effettivo e concreto pregiudizio che siffatta allegazione aveva comportato per l’esercizio del diritto di difesa)» (Cass., 18/12/2014, n. 26831; in senso conforme, Cass., 19/03/2014, n. 6330);
nel caso di specie, la ricorrente ha omesso di precisare quale lesione del diritto di difesa o altro pregiudizio per la decisione di merito fosse derivato dall’asserita tardività della produzione dei ricorsi in appello proposti dall’Agenzia delle entrate avverso le sentenze di primo grado relative agli avvisi di accertamento emessi per altre annualità, con la conseguente inammissibilità del profilo di doglianza;
tale profilo è, comunque, infondato;
l’art. 58, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992 (secondo cui «[è] fatta salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti») consente infatti la produzione in appello di qualsiasi documento, anche – come è in genere – fonte di prova (Cass., 16/08/2005, n. 16916, 25/05/2009, n. 12022, 27/03/2013, n. 7714) e anche al di fuori degli stretti limiti stabiliti dal terzo comma dell’art. 345 cod. proc. civ., anch’esso richiamato dalla ricorrente (Cass., 16/09/2011, n. 18907, n. 7714 del 2013, 15/01/2014, n. 655, 13/11/2018, n. 29087);
sempre seguendo l’ordine di priorità logico-giuridica, va ora esaminato il profilo indicato sub c);
tale profilo è inammissibile;
l’inammissibilità discende dal fatto che, premesso che la questione del difetto di motivazione dell’avviso di accertamento impugnato (in quanto motivato per reiationem al processo verbale e in quanto quest’ultimo atto non darebbe comunque conto dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che avevano determinato la ripresa a tassazione) e dei conseguenti omessi annullamento dello stesso avviso e disconoscimento dell’obbligazione tributaria è estranea alla sentenza impugnata – sicché, ove mai fosse stata ritualmente introdotta nel giudizio di merito, la ricorrente avrebbe dovuto denunciare, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4) (e non n. 3), cod. proc. civ., la violazione dell’art. 112 dello stesso codice – il motivo è, in ogni caso, privo di autosufficienza, giacché, ai fini del rispetto di tale principio, la stessa ricorrente avrebbe dovuto almeno indicare in quali atti del giudizio di merito (e in quale punto degli stessi) avesse prospettato la predetta questione (a norma dell’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ.) e allegare gli stessi atti al ricorso (a norma dell’art. 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ.) nonché allegare al ricorso (sempre a norma dell’art. 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ.) l’avviso di accertamento, oneri che non sono stati adempiuti;
il profilo indicato sub b.1) non è fondato;
contrariamente a quanto mostra di ritenere la ricorrente, l’oggetto della causa decisa dalla CTR è stato costituito dall’avviso di accertamento ai fini delle imposte dirette e dell’IVA per l’anno d’imposta 2007 (come risulta, in modo irrefutabile, dalle affermazioni della CTR che: «l’Agenzia delle entrate propone appello avverso la decisione della Commissione tributaria provinciale con la quale è stata accolta la domanda a suo tempo proposta dalla contribuente per l’annullamento dell’avviso di accertamento indicato in epigrafe avente ad oggetto IVA ed altre imposte dovute per l’anno 2007») «per effettuare la ricostruzione dei ricavi non dichiarati, sulla merce venduta in evasione è stata calcolata [dai verbalizzanti] la percentuale di ricarico del 19,68% secondo la stessa dichiarazione della parte [per l’anno 2007»);
i riferimenti operati dalla CTR alle risultanze del processo verbale (del 24 luglio 2008) sono giustificati dal fatto che, poiché l’amministrazione finanziaria aveva ritenuto che le vendite senza emissione di scontrino – per un importo pari alla differenza tra il valore delle rimanenze contabili alla data del 6 luglio 2008 e il valore, al costo, delle rimanenze effettive alla stessa data – per il loro rilevante ammontare, dovessero essere ripartite su più anni, a partire dal 2004, l’impugnato avviso di accertamento per l’anno 2007 trovava il proprio presupposto nelle suddette risultanze;
il profilo indicato sub b.3) non è fondato;
con tale profilo, la ricorrente denuncia che la ripartizione (o «spalmamento») su più anni (dal 2004 al 2008) dei ricavi non dichiarati derivanti dalla vendita in evasione d’imposta di merce per un valore pari alla differenza tra il valore delle rimanenze contabili al 16 luglio 2008 e il valore, al costo, delle rimanenze effettive alla stessa data violerebbe l’art. 2217 (primo comma) cod. civ. in materia di redazione dell’inventario e, come si evince dalla lettura del complesso del motivo, «non [sarebbe] giustificabile neppure sotto il profilo logico induttivo»-, anzitutto, non sussiste la denunciata violazione o falsa applicazione dell’art. 2217 (primo comma) cod. civ.;
infatti, posto che tale comma (secondo cui «[l]’inventario deve redigersi all’inizio dell’esercizio dell’impresa e successivamente ogni anno, e deve contenere l’indicazione e la valutazione delle attività e delle passività relative all’impresa, nonché delle attività e delle passività dell’imprenditore estranee alla medesima») stabilisce, da un lato, l’obbligo di redazione dell’inventario all’inizio dell’esercizio dell’impresa e, successivamente, con cadenza annuale e, dall’altro lato, il contenuto di tale scrittura contabile – che deve indicare le attività e le passività dell’impresa, con le relative valutazioni, e, (per l’imprenditore individuale), le attività e le passività estranee alla stessa – la sentenza impugnata non contiene alcuna affermazione, neppure implicita, che neghi il predetto obbligo o che ne affermi una diversa cadenza temporale o un diverso contenuto rispetto a quelli previsti dal l’invocata disposizione codicistica;
l’argomentazione della ricorrente secondo cui lo stesso comma «rappresenta la natura di documento a formazione progressiva e stratificata [dell’inventario] quale storico dell’impresa», il quale, quindi, «va letto in relazione all’intera evoluzione dell’arco produttivo dell’impresa e non può essere ridotto a mero simulacro rappresentativo di una annualità», lungi dall’essere idonea a contrastarla, è, in realtà, coerente con la ripartizione su più anni delle vendite in evasione d’imposta di merce per un valore pari alla differenza tra il valore delle rimanenze contabili al 16 luglio 2008 e il valore, al costo, delle rimanenze effettive alla stessa data;
tale ripartizione non è censurabile neppure «sotto il profilo logico induttivo» atteso che non può reputarsi contrario a logica che, dalla considerazione del relativo rilevante ammontare (€ 155.129,00) delle accertate vendite di merce in evasione d’imposta per un valore pari alla differenza tra il valore delle rimanenze contabili al 16 luglio 2008 e il valore, al costo, delle rimanenze effettive alla stessa data, si pervenga a ritenere che le stesse vendite (e, conseguentemente, i ricavi di esse) non siano avvenute tutte nel periodo 1° gennaio/15 luglio 2008 ma, ragionevolmente, anche negli anni precedenti, in proporzione ai ricavi per essi dichiarati;
a tale conclusione non si oppongono i principi della giurisprudenza di questa Corte secondo cui, «[i]n tema di accertamento induttivo ex art. 39, secondo comma, del d.P.R. n.600 del 1973, l’irrilevanza della fonte di acquisizione e notizie non consente all’Ufficio di prescindere dall’inerenza di questi ad un determinato specifico periodo d’imposta, attesa l’autonomia di ciascun periodo d’imposta, con la conseguente illegittimità della presunzione della costanza di reddito in anni diversi da quello per il quale è stata accertata la produzione di un determinato reddito» (Cass., 21/12/2007, n. 27008, 21/11/2019, n. 30378) e secondo cui, «[i]n tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’adozione del criterio induttivo di cui all’art. 39, secondo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 impone all’Ufficio l’utilizzazione di dati e notizie inerenti al medesimo periodo d’imposta al quale l’accertamento si riferisce: non è pertanto censurabile l’affermazione del giudice tributario, il quale abbia annullato l’accertamento, escludendo la possibilità di desumere il reddito relativo ad un’annualità d’imposta da quello conseguito in anni precedenti, in quanto incombe all’Ufficio l’onere di fornire elementi in senso contrario, risultando insufficiente a tal fine la mera affermazione secondo cui l’accertamento è sorretto da “criteri ragionevoli”» (Cass., 12/03/2008, n. 6579, 02/12/2016, n. 24709), atteso che tali principi escludono che l’amministrazione finanziaria, utilizzando dati e notizie relativi ad anni d’imposta diversi da quello al quale si riferisce l’avviso di accertamento, possa «presu[mere] la costanza di reddito in anni diversi da quello per il quale è stata accertata la produzione di un determinato reddito» (Cass., n. 27008 del 2007 e n. 30378 del 2019) o «desumere il reddito relativo ad un’annualità d’imposta da quello conseguito in anni precedenti» (Cass., n. 6579 del 2008 e n. 24709 del 2016), ma non che la stessa amministrazione possa ritenere – come nella specie – che vendite di merce che si sia accertato essere avvenute in evasione d’imposta per un valore pari alla differenza tra il valore delle rimanenze contabili a una determinata data e il valore, al costo, delle rimanenze effettive alla stessa data non siano avvenute tutte nell’anno in cui tale differenza è stata verificata ma anche negli anni precedenti;
l’avere l’ufficio operato la contestata ripartizione, in luogo di ascrivere tutte le accertate vendite di merce in evasione d’imposta (e i relativi ricavi) al solo periodo 1° gennaio/15 luglio 2008, non ha peraltro comportato – come osservato dalla CTR – un aggravio per il contribuente e, anzi, deve ritenersi essersi tradotto in un esito per lui più favorevole;
pertanto, il primo motivo va rigettato nel suo primo, terzo, quarto e quinto profilo (indicati, rispettivamente, sub a.l, a.3, b e c);
il secondo motivo è inammissibile per difetto di interesse;
come si è visto nell’esposizione del terzo motivo, è la stessa ricorrente A.G. ad avere precisato che l’accertamento impugnato era stato compiuto «con metodo analitico-induttivo ai sensi dell’art. 39 comma I – lettera d – secondo periodo» del d.P.R. n. 600 del 1973 e non, dunque, con il metodo induttivo cosiddetto puro di cui al secondo comma dello stesso art. 39;
ne discende l’insussistenza di qualsiasi interesse alla verifica del rispetto o no di un modello normativo (quello del secondo comma dell’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973) che la stessa ricorrente afferma non essere stato applicato alla fattispecie di causa;
il secondo profilo del primo motivo (indicato sub a.2), nella parte in cui fa riferimento alla violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., e il primo profilo del terzo motivo (indicato sub a) sono fondati;
a proposito dell’effettuazione di vendite senza emissione di scontrino (per l’importo, al costo, di € 155.129,00) – vero punto focale della ripresa a tassazione, dal quale è poi scaturito il recupero a tassazione di maggiori ricavi non dichiarati per complessivi € 194.667,0 (di cui € 37.651,00 imputati all’anno 2007) – la sentenza impugnata afferma (solo) che «i verbalizzanti hanno proceduto ad un inventario analitico della merce e, per determinare il valore al costo della merce, hanno decurtato i prezzi esposti al pubblico del 100%»)
con tale affermazione, la CTR, proprio, come si è detto, con riguardo al punto focale della ripresa a tassazione: a) da un lato, si è limitata ad aderire alla tesi dell’ufficio (neppure compiutamente esposta), senza fornire, neanche sinteticamente, le ragioni di tale condivisione né del superamento delle contrapposte tesi della contribuente; b) dall’altro lato, ha dato per assunto il fondamento della pretesa tributaria, che l’amministrazione finanziaria aveva invece l’onere di provare (Cass., 24/07/2002, n. 10802, 09/02/2004, n. 2433, 13/02/2006, n. 3106, 11/06/2009, n. 13509);
per questo, la sentenza impugnata, rispettivamente: a) risulta corredata di una motivazione solo apparente, in quanto non idonea a evidenziare gli elementi che hanno giustificato il convincimento del giudice, con la conseguente sussistenza della denunciata nullità di essa (non assumendo rilievo, a fronte dell’esplicito riferimento a tale vizio, l’inesatta indicazione, nella rubrica del terzo motivo, dell’ipotesi di cui al n. 3, anziché di quella di cui al n. 4 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ.); b) finisce con negare, ancorché implicitamente, l’onere dell’amministrazione finanziaria di provare il fondamento della pretesa tributaria, incorrendo, perciò, nella violazione dell’art. 2697, primo comma, cod. civ., denunciata con il secondo profilo del primo motivo;
il secondo profilo del primo motivo (indicato sub a.2), nella parte in cui fa invece riferimento all’art. 2729 cod. civ., e il secondo profilo del terzo motivo (indicato sub b) restano assorbiti;
in conclusione, il primo e il terzo motivo devono essere parzialmente accolti – in relazione, quanto al primo motivo, al suo secondo profilo, nella parte in cui fa riferimento alla violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., e, quanto al terzo motivo, al suo primo profilo – il secondo profilo del primo motivo, nella parte in cui fa riferimento alla violazione o falsa applicazione dell’art. 2729 cod. civ., e il secondo profilo del terzo motivo devono essere assorbiti, gli ulteriori profili del primo motivo devono essere rigettati e il secondo motivo deve essere dichiarato inammissibile, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi e profili accolti e la causa deve essere rinviata alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, che dovrà anche provvedere alla liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze; con riguardo al ricorso proposto nei confronti dell’Agenzia delle entrate: accoglie parzialmente il primo e il terzo motivo, nei limiti e nei termini di cui in motivazione; rigetta, nel resto, il ricorso; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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