CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 09 marzo 2021, n. 6476
Tributi – Accertamento – Società localizzata all’estero – Centro decisionale in Italia – Reddito soggetto a tassazione in Italia
Rilevato che
1. Con sentenza depositata in data 21 marzo 2014 la Commissione tributaria regionale del Lazio confermò la pronuncia con la quale la Commissione tributaria di primo grado aveva accolto il ricorso proposto dalla M.I.H. s.a. avverso l’avviso di accertamento n. RCB030702396/2009, con il quale l’Agenzia delle Entrate aveva recuperato a tassazione i redditi di tale società sul presupposto che, pur essendo formalmente residente in Lussemburgo, operasse soltanto in Italia.
2. I giudici d’appello disattesero l’assunto erariale secondo il quale l’insieme degli elementi di fatto tratti dalle indagini condotte dalla Guardia di finanza dimostravano che la gestione della M.I.H. s.a. fosse localizzata in Italia, così che, alla stregua dell’art. 73 del d.lgs. n. 917 del 1986, non era rilevante «che la società fosse stata costituita all’estero, se la stessa ha nel territorio dello Stato la sede amministrativa o l’oggetto principale, potendosi, dunque, verificare il caso di società formalmente estere, ma fiscalmente residenti in Italia».
A sostegno di tale statuizione la sentenza assunse che non risultava dimostrato il fatto che la società operasse in Italia, non essendo stata fornita alcuna prova «con riguardo alle specifiche operazioni poste in essere dalla società nel territorio italiano in termini di beni ceduti, dei servizi prestati e dei beni ricevuti».
3. Contro tale pronuncia ricorre l’Agenzia delle entrate affidandosi a tre motivi. La società M.I.H. s.a. è rimasta intimata.
Considerato che
1. Con il primo di ricorso motivo l’Agenzia delle entrate denuncia nullità della sentenza per violazione degli artt. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. e dell’art. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992 (motivazione apparente), in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.
La ricorrente lamenta che la pronuncia gravata, nell’escludere che la M.I.H. s.a. fosse una società esterovestita, in quanto l’Ufficio non aveva provato il compimento, da parte della stessa, di specifiche operazioni sul territorio nazionale, non si è confrontata con le deduzioni svolte nel gravame erariale («è del tutto fuorviante e dimostra l’assenza di qualunque collegamento con l’effettivo thema decidendum»), specificamente intese a valorizzare il fatto, emerso dalla verifica, che «tutti gli impulsi volitivi per la gestione della società provenivano dall’Italia», così che la mancata dimostrazione di «specifiche operazioni poste in essere dalla società nel territorio italiano» o la mancata acquisizione di «documentazione bancaria che dimostri l’oggettiva e precisa operatività in Italia della Società» dovevano ritenersi del tutto ininfluente.
1.1. Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 73 del d.lgs. n. 917 del 1986, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
Si assume, in particolare, che i giudici d’appello, non valorizzando il profilo, illustrato dalla difesa erariale, della localizzazione del centro decisionale della M.H.I. s.a. nel territorio nazionale, ma soffermandosi esclusivamente sulla circostanza del mancato compimento, da parte della società verificata, di specifiche operazioni in Italia, non hanno fatto corretta applicazione del citato art. 73 d.lgs. n. 917 del 1986.
1.2. Con il terzo motivo l’Amministrazione ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 654 cod. proc. pen. In relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. per avere la Commissione tributaria regionale attribuito rilevanza alle risultanze del procedimento penale a carico di I.A., presidente della M.I.H. s.a. risultato coinvolto nella gestione di diverse società affiliate al consorzio E.E. ritenute responsabili di evasione.
2. Il primo motivo è infondato.
Occorre premettere che, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. – nel testo novellato dall’art. 54, comma 1, lett. b), d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 (applicabile ratione temporis al presente giudizio) – il sindacato di legittimità sulla motivazione della sentenza può operare solo entro il “minimo costituzionale” (Cass. Sez. U, 7/4/2014, n. 8053, nonché, tra le altre, Cass. Sez. 3, 20/11/2015, n. 23828; Cass. Sez. 3, 5/7/2017, n. 16502), investendo esclusivamente le ipotesi di motivazione “meramente apparente”, configurabili, oltre che nel caso di “carenza grafica” della motivazione, quando questa, «benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento» (Cass. Sez. U, 3/11/2016, n. 22232), in quanto affetta da “irriducibile contraddittorietà” (Cass. Sez. 3, 12/10/2017, n. 23940), ovvero connotata da “affermazioni inconciliabili” (Cass. Sez. L, ord. 25/6/2018, n. 16611), mentre resta irrilevante il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. 2, ord. 13/8/2018, n. 20721).
Nessuna delle suddette ipotesi è ravvisabile nel caso di specie.
L’esposizione delle ragioni poste a fondamento della decisione, considerata nel suo complesso, ossia nella totalità delle sue componenti testuali, risulta, invero, idonea a rendere conoscibile il percorso logico-giuridico seguito dalla Commissione tributaria regionale.
Difatti, una considerazione complessiva dell’ordito motivazionale della pronuncia gravata consente di enucleare una ratio decidendi, la quale, a prescindere da ogni considerazione sulla validità del fondamento giuridico ad essa sotteso, è chiaramente identificabile nella valorizzazione dell’assenza di prova di specifiche operazioni svolte dalla società verificata nel territorio nazionale, dalla quale i giudici d’appello hanno tratto l’inconfigurabilità della fattispecie della esterovestizione, ossia della fittizia localizzazione all’estero della residenza fiscale da parte della società verificata.
3. Merita, invece, condivisione la seconda censura, con la quale l’Agenzia delle entrate denuncia la violazione dell’art. 73 del d.lgs. n. 917 del 1986 per non avere la Commissione regionale attribuito rilevanza, al fine di ritenere la società verificata assoggettabile al regime fiscale italiano ai sensi dell’art. 73 del d.lgs. n. 917 del 1986, al fatto, emerso dall’accertamento, che le decisioni fondamentali di management necessarie alla sua gestione venissero assunte in Italia.
Invero, come recentemente ribadito da questa Corte, al fine di stabilire se il reddito prodotto da una società possa essere sottoposto a tassazione in Italia, assume rilevanza decisiva il fatto che l’adozione delle decisioni riguardanti la direzione e la gestione dell’attività di impresa avvenga nel territorio italiano, nonostante la società abbia localizzato la propria residenza fiscale all’estero (Cass. Sez. 5 , 21/6/2019, n. 16697; Cass. Sez. 5, del 7/2/2013, n. 2869 ; Cass. Sez. 5, 21/12/2018, n. 33234).
Tale ricostruzione è coerente con la lettera dell’art. 73, comma 3, del d.lgs. n. 917 del 1986, ai sensi del quale «ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo d’imposta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio della Stato».
Questa Corte ha, infatti, precisato che la nozione di «sede dell’amministrazione», in quanto contrapposta alla «sede legale», deve ritenersi coincidente con quella di «sede effettiva» (di matrice civilistica), intesa come il luogo ove hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell’ente e si convocano le assemblee, e cioè il luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per l’accentramento – nei rapporti interni e con i terzi – degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e dell’impulso dell’attività dell’ente (in tal senso, Cass. Sez. 5 , 21/6/2019, n. 16697, con ampia motivazione che il Collegio condivide, nonché Cass. n. 3604 del 1984; Cass. n. 5359 del 1988; Cass. n. 497 del 1997; Cass. n. 7037 del 2004; Cass. n. 6021 del 2009; Cass. Sez. 6-3, 28/1/2014, n. 1813).
Sulla stessa linea si è posta la Corte di giustizia nella sentenza del 28 giugno 2007, Planzer Luxembourg Sàrl, in cui è stato affermato che la nozione di sede dell’attività economica «indica il luogo in cui vengono adottate le decisioni essenziali concernenti la direzione generale della società e in cui sono svolte le funzioni di amministrazione centrale di quest’ultimo (punto 60)».
E’ stato, inoltre, chiarito che la fattispecie della esterovestizione, tesa ad accordare prevalenza al dato fattuale dello svolgimento dell’attività direttiva presso un territorio diverso da quello in cui ha sede legale la società, non contrasta con la libertà di stabilimento.
Se ne trae conferma dalla sentenza della Corte di Giustizia 12 settembre 2006, C-196/04, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (richiamata da Cass. Sez. 5 , 21/6/2019, n. 16697, cit.), la quale, con riferimento al fenomeno della localizzazione all’estero della residenza fiscale di una società, ha stabilito che la circostanza che una società sia stata creata in uno Stato membro per fruire di una legislazione più vantaggiosa non costituisce per sé sola un abuso di tale libertà; tuttavia, una misura nazionale che restringa la libertà di stabilimento è ammessa se concerne specificamente le costruzioni di puro artificio finalizzate ad escludere la normativa dello Stato membro interessato.
4. La sentenza impugnata, attribuendo rilevanza, ai fini della verifica della configurabilità della fattispecie di esterovestizione prospettata dall’Amministrazione finanziaria, al solo fatto del compimento o meno, da parte della società verificata, di specifiche operazioni nel territorio nazionale e trascurando, per converso, di apprezzare se la società avesse stabilito in Italia la concreta sede di assunzione delle decisioni di direzione e gestione dell’attività di impresa, non si è attenuta ai principi sopra esposti e, pertanto, deve essere cassata in relazione al secondo motivo, essendo il terzo mezzo assorbito, e rinviata per nuovo esame alla Commissione tributaria del Lazio, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo e dichiara assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
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