CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 09 novembre 2018, n. 28655
Tributi – Costi per operazioni economiche effettuate con paesi a fiscalità privilegiata – Deducibilità – Condizioni – Separata indicazione nella dichiarazione dei redditi – Omissione – Regolarizzazione mediante dichiarazione integrativa
Fatti di causa
La Srl T. L. 86 R. propone ricorso per cassazione, con quattro motivi, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio che, accogliendo l’appello dell’Agenzia delle entrate, ha confermato il fondamento della pretesa manifestata con l’avviso di accertamento, ai fini dell’IRPEG e dell’IRAP, con il quale veniva rettificata la dichiarazione dei redditi per l’anno 2002 recuperando a tassazione costi per operazioni concluse con operatori residenti in paesi con fiscalità privilegiata – segnatamente, a Hong Kong – non avendo la contribuente provveduto alla separata indicazione, in dichiarazione, dei detti costi, come previsto dall’art. 110 del tuir.
L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
Ragioni della decisione
Col primo motivo, denunciando “violazione e falsa applicazione della norma di diritto. Art. 360, n. 3, cod. proc. civ., in relazione all’art. 110, commi 10 e 11 del d.P.R. n. 917 del 1986, all’art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 472 del 1997 e all’art. 8 del d.lgs. n. 471 del 1997”, la società contribuente assume che per la mancata separata indicazione nella dichiarazione dei costi per operazioni economiche effettuate con paesi a fiscalità privilegiata, anche se effettuate prima dell’entrata in vigore della legge n. 296 del 2006, dovrebbe applicarsi la norma di cui all’art. 110, commi 10 e 11, del d.P.R. n. 917 del 1986, come modificato dall’art. 1, comma 301, della legge n. 296 del 2006, che non considera più il suddetto obbligo di separata indicazione quale condizione vincolante per la deducibilità e la disciplina sanzionatoria prevista dall’art. 8 del d.lgs. n. 471 del 1997, come modificato dai commi 302 e 303 dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006.
Col secondo motivo, denunciando “violazione e falsa applicazione della norma di diritto. Art. 360, n. 3, c.p.c. in relazione all’art. 2 del d.P.R. n. 322 del 1998 e all’art. 13 del d.lgs. n. 472 del 1997”, assume essere legittima ed efficace la dichiarazione presentata dal contribuente – anche dopo l’inizio di accessi, ispezioni, verifiche o altre attività di controllo di cui l’autore abbia avuto formale conoscenza -, al fine di integrare una dichiarazione dei redditi nella quale manca la separata indicazione dei costi sostenuti per acquisti da fornitori aventi sede in paesi a fiscalità privilegiata – come richiesto dall’art. 110 del d.P.R. n. 917 del 1986 per consentirne la deduzione -, se ad essa si applichi la disciplina prevista dall’art. 2 del d.P.R. n. 322 del 1998.
Col terzo motivo, denunciando “violazione e falsa applicazione della norma di diritto. Art. 360, n. 3, c.p.c. in relazione all’art. 24 Cost., all’art. 42 d.P.R. n. 600 del 1973, all’art. 110, comma 11, del d.P.R. n. 917 del 1986, agli artt. 18 e 23 del d.lgs. n. 546 del 1992”, la contribuente assume che qualora l’Agenzia delle entrate non abbia notificato l’avviso di cui all’art. 110, comma 11, del d.P.R. n. 917 del 1986, assegnando il termine di novanta giorni al contribuente per produrre prova dell’esistenza dei requisiti ivi indicati, ovvero del fatto che le imprese estere svolgano prevalentemente un’attività commerciale effettiva o che le operazioni poste in essere rispondano ad un effettivo interesse economico e che le stesse abbiano avuto concreta esecuzione, e non abbia contestando la mancanza della prova medesima nell’avviso di accertamento notificato, essa non potrebbe contestare per la prima volta nell’atto di costituzione in giudizio di fronte alla CTP la mancanza della prova che le spese e gli altri componenti negativi, derivanti da operazioni intercorse fra il contribuente residente e imprese domiciliate fiscalmente in stati o territori non appartenenti all’Unione Europea aventi regimi fiscali privilegiati siano relativi ad operazioni con imprese estere che svolgono prevalentemente un’attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione.
Col quarto motivo la contribuente critica la sentenza per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, con riguardo alla parte in cui, dopo aver considerato l’effettività delle operazioni economiche effettuate – di cui al motivo che precede – come il requisito unico per la deducibilità delle operazioni stesse, in ossequio alla nuova disciplina, non fornisce una motivazione adeguata relativamente alla valutazione circa la non riconoscibilità del suddetto requisito e include solo un generico riferimento alla documentazione in atti senza esplicitare per quale motivo essa venga giudicata non sufficiente.
Il primo ed il terzo motivo del ricorso sono fondati, il secondo motivo è inammissibile, mentre l’esame del quarto risulta assorbito in conseguenza dell’accoglimento del terzo motivo.
Come questa Corte ha avuto modo di chiarire, “in tema di reddito d’impresa, all’esito delle modifiche retroattive introdotte dall’art. 1, commi 301, 302 e 303 della legge n. 296 del 2006 e prima di quelle di cui alla legge n. 208 del 2015, applicabili a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2015, la separata indicazione nella dichiarazione annuale dei redditi delle spese e degli altri componenti negativi inerenti ad operazioni commerciali intercorse con fornitori aventi sede in Stati a fiscalità privilegiata (cd. paesi “black list”) è un mero obbligo formale, che non ne condiziona la deducibilità e la cui violazione espone il contribuente unicamente alla sanzione amministrativa ex art. 8, comma 3 bis, del d.lgs. n. 471 del 1997, da cumulare, per le sole violazioni anteriori all’entrata in vigore della legge n. 296 del 2006, con la sanzione di cui al medesimo art. 8, comma 1, a ciò non ostando la presentazione della dichiarazione integrativa di cui all’art. 2, comma 8, del d.P.R. n. 322 del 1998, ove operata dal contribuente dopo l’avvio dei controlli” (Cass. n. 11933 del 2016, n. 5085 del 2017).
Il secondo motivo, una volta chiarito che la mancata separata indicazione nella dichiarazione dei redditi delle spese inerenti ad operazioni intercorse con fornitori di Paesi black list non comporta di per sé la indeducibilità dei costi, si rivela inammissibile, perché muove dall’erroneo presupposto che senza la presentazione di una dichiarazione integrativa, ancorché successiva all’inizio di accessi, ispezioni, verifiche o altre attività di controllo di cui l’autore abbia avuto formale conoscenza, i detti costi sarebbero indeducibili.
Questa Corte ha in proposito affermato che “a seguito della contestazione della mancata dichiarazione autonoma dei compensi corrisposti a fornitori operanti in Stati a fiscalità privilegiata (cd. paesi “black list”), è preclusa ogni possibilità di regolarizzazione, in quanto, ove fosse possibile porre rimedio a tale irregolarità, la correzione si risolverebbe in un inammissibile strumento di elusione delle sanzioni stabilite dal legislatore per inosservanza della correlativa prescrizione: nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva ritenuto sanabile, con dichiarazione integrativa, la mancata separata indicazione dei costi successivamente all’accesso della Guardia di finanza” (Cass. n. 10989 del 2016).
Il terzo motivo, con il quale la contribuente denuncia la mancata richiesta, con l’avviso di accertamento, della prova – di cui al primo periodo del comma 11 dell’art. 110 del tuir – dell’effettività delle operazioni e dell’attività commerciale delle imprese estere e della concreta esecuzione delle operazioni stesse, è fondato.
Con riguardo al reddito d’impresa, l’abolizione del previgente regime di indeducibilità dei costi relativi ad operazioni commerciali intercorse con soggetti domiciliati in Paesi a fiscalità privilegiata (cd. black list), prevista dall’art. 1, commi 301, 302 e 303 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, ha carattere retroattivo, sicché la deducibilità risulta subordinata solo alla prova dell’operatività dell’impresa estera contraente e della effettività della transazione commerciale, mentre la separata indicazione di detti costi è degradata ad obbligo di carattere formale, passibile unicamente di sanzione amministrativa” (Cass. n. 6205 del 2015).
Nondimeno, il processo tributario ha natura impugnatoria, sicché l’Amministrazione finanziaria non può modificare, in ragione delle contestazioni del contribuente, le motivazioni poste a fondamento dell’atto impositivo, senza che tale generale principio possa ritenersi derogato, in tema di deduzione dei costi delle operazioni con imprese residenti in territori con regime fiscale agevolato, dall’art. 1, comma 303, della I. n. 296 del 2006, laddove subordina l’applicazione retroattiva del comma 302 di detta norma alla prova di cui all’art. 110, comma 11, primo periodo, del d.P.R. n. 917 del 1986, previsione che si limita, invero, a ribadire che la degradazione da presupposto di indeducibilità a violazione amministrativa sanzionata, attuata dalla disciplina sopravvenuta, riguarda solo il profilo formale della violazione, consistente nella mancata separata indicazione dei costi in dichiarazione” (Cass. n. 6103 del 2016).
L’esame del quarto motivo, con il quale si denuncia vizio di motivazione in ordine all’effettività delle operazioni economiche effettuate, è assorbito dall’accoglimento del motivo che precede.
In conclusione, il primo ed il terzo motivo devono essere accolti, il secondo motivo va dichiarato inammissibile ed il quarto motivo è assorbito; la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti e la causa rinviata, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale del Lazio in differente composizione.
P.Q.M.
Accoglie il primo ed il secondo motivo del ricorso, dichiara inammissibile il quarto motivo ed assorbito il quarto, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale del Lazio in diversa composizione.