CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 09 novembre 2020, n. 25039
Licenziamento disciplinare – Gravi irregolarità amministrative e contabili – Pagamento delle spese processuali – Debolezza del lavoratore nel contenzioso di lavoro – Spese seguono la soccombenza
Rilevato
Che la Corte di Appello di Bari, con sentenza pubblicata in data 7.12.2017, ha respinto il gravame interposto da R.L., nei confronti di SPI CGIL Regionale Puglia, avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede, resa il 15.2.2017, con la quale era stato rigettato il ricorso della lavoratrice, diretto ad ottenere l’accertamento della illegittimità del licenziamento alla stessa intimato il 6.11.2013 e la condanna della parte datoriale alla reintegrazione nel posto di lavoro ed al risarcimento del danno;
che la Corte di merito, per quanto ancora di rilievo in questa sede, ha osservato che <<il licenziamento disciplinare della L. ha rappresentato l’epilogo espulsivo del procedimento disciplinare attivato in ragione delle gravi irregolarità amministrative e contabili riscontrate in sede di ispezione presso la SPI-CGIL Puglia ed ascrivibili alla concorrente responsabilità della appellante>> e che <<i fatti addebitati alla lavoratrice sono sicuramente gravi>> ed idonei ad < < inficiare profondamente il vincolo fiduciario fisiologicamente sotteso ad ogni rapporto di lavoro>>;
che per la cassazione della sentenza ricorre R.L. sulla base di tre motivi, cui resiste con controricorso la SPI CGIL Regionale Puglia;
che sono state comunicate memorie nell’interesse della controricorrente ai sensi dell’art. 380-bis del codice di rito;
che il P.G. non ha formulato richieste.
Considerato
che, con il ricorso, si censura: 1) in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 345, terzo comma, c.p.c., ed in particolare, si deduce che la Corte di Appello avrebbe ritenuto a torto che la lavoratrice non avesse tempestivamente formulato le richieste istruttorie nel giudizio di prima istanza e che, quindi, alla stessa fosse ormai preclusa, in sede di gravame, ogni richiesta in tal senso; 2) la violazione dell'<<art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. per violazione del giusto procedimento>>, e si assume che <<l’errore della Corte pugliese nel non aver ammesso le richieste istruttorie formulate dalla ricorrente>> avrebbe <<prodotto irreparabilmente anche l’ulteriore vizio di violazione del giusto procedimento, con conseguente nullità dello stesso>>, poiché <<le richieste di acquisizione di prove documentali e di tutte le richieste istruttorie formulate dalla L. sia in primo grado che in appello erano indispensabili, decisive e risolutive>>; 3) in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e segg. c.p.c. per avere i giudici di secondo grado <<non solo condannato la L. al pagamento delle spese processuali relative al secondo grado di giudizio per l’importo di Euro 2.000,00, oltre accessori di legge, ma per avere, altresì, ritenuto la sussistenza dei presupposti per l’ulteriore versamento dell’importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso>, senza <considerare la posizione del lavoratore parte “debole” del rapporto controverso>; secondo la ricorrente, <<la debolezza del lavoratore nel contenzioso di lavoro avrebbe dovuto indurre a considerare un’ulteriore ragione di compensazione delle spese di lite che tenesse conto della natura del rapporto giuridico dedotto in causa e della condizione soggettiva della parte ricorrente>>;
che i primi due motivi – da trattare congiuntamente per ragioni di connessione – sono inammissibili; al riguardo, va premesso che la ricorrente non ha impugnato i capi della sentenza di secondo grado relativi alla sussistenza della giusta causa del licenziamento ed alla tempestività e proporzionalità dell’azione disciplinare, con la conseguenza che i medesimi hanno acquisito la stabilità del giudicato; per la qual cosa, le doglianze mosse con i mezzi di impugnazione in esame, relativi alla dedotta mancata ammissione delle richieste istruttorie formulate dalla ricorrente, dalla quale sarebbe conseguito l’ulteriore vizio di violazione del giusto procedimento, risultano, all’evidenza, superate. Peraltro, ad abundantiam, si osserva che i motivi in esame sono del tutto generici, poiché, nella sentenza oggetto del presente giudizio, non vi è alcuna affermazione di inammissibilità in ordine alle richieste istruttorie, come censurata dalla ricorrente, in quanto, a pagina 5 della sentenza, riguardo alla ricostruzione della fase di primo grado, si legge: <<il Giudice ha ritenuto di non accogliere le richieste istruttorie della ricorrente relative al deposito dei fogli di missione degli anni 2006 e 2007, in quanto la richiesta è stata valutata generica, inammissibile e irrilevante, risultando evidente che la ricorrente ha prelevato dalle casse della organizzazione sindacale convenuta una serie di importi utilizzando tali somme per finalità assolutamente estranee agli scopi propri dell’attività sindacale>>; e, a pagina 6: <<osserva il Collegio che ai sensi dell’art. 345 c.p.c. non sono ammesse domande nuove e nuovi mezzi di prova, né possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile. Nel caso di specie la circostanza dedotta nel gravame (cioè che la verifica ispettiva del 2013 fosse stata preceduta da altra verifica) è circostanza nuova, non dedotta nel giudizio di primo grado, ma solo in grado di appello e la parte, peraltro, non ha neppure dedotto di non aver potuto allegare tali nuovi fatti in primo grado per causa a sé non imputabiie>>;
che altresì inammissibile è il terzo motivo per la formulazione generica dello stesso, in violazione del disposto dell’art. 366, primo comma, n. 4, del codice di rito, ed in quanto la Corte territoriale ha deciso, in ordine alle spese – applicando il principio della soccombenza (cfr., Cass. SS.UU., nn. 2572/2012; 20598/2008) -, conformemente ai consolidati arresti giurisprudenziali di legittimità (v. art. 360-bis c.p.c.), in assenza, tra l’altro, nel motivo, di validi argomenti critici atti ad indurre ad un mutamento di tali arresti (cfr. Cass., SS.UU., n. 10027/2012);
che, peraltro, in caso di soccombenza, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, introdotto dall’art. 1, comma 17, della I. n. 228 del 2013 (legge di stabilità del 2013), applicabile alla fattispecie ratione temporis, è previsto il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso articolo 13; pertanto, non avendo la ricorrente dichiarato di essere nelle condizioni reddituali che la esonerano dal pagamento del contributo unificato, correttamente i giudici di appello hanno dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della L., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13;
che per tutto quanto in precedenza esposto, il ricorso va dichiarato inammissibile;
che le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza;
che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui all’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nei termini specificati in dispositivo
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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