CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 09 ottobre 2018, n. 24850
Collocazione in CIGS – Comunicazione dei criteri di scelta – Valutazione di coerenza tra il criterio indicato e la scelta del lavoratore da sospendere
Rilevato che
1. La Corte di appello di Torino ha accolto l’appello di M.B. ed in riforma della sentenza del Tribunale della stessa città ha dichiarato illegittima la sua collocazione in CIGS per periodi non continuativi dal gennaio 2007 all’agosto 2009 ed ha condannato la F. s.r.l. al pagamento in suo favore della somma di € 39.748,00 oltre interessi rivalutazione monetaria e spese del doppio grado di giudizio.
2. Il giudice di appello ha accertato che la comunicazione dei criteri di scelta per la collocazione in CIGS e per la rotazione era insufficiente poiché l’indicazione di criteri quali la professionalità, fungibilità e poliprofessionalità senza indicazione dei parametri concreti a cui ancorarli rendevano impossibile qualunque valutazione di coerenza tra il criterio indicato e la scelta del lavoratore da sospendere operata.
3. Per la cassazione della sentenza ricorre la F. s.r.l. con sette motivi ulteriormente illustrati da memoria depositata ai sensi dell’art. 380 bis 1. Cod. proc. civ.. M.B. è rimasto intimato.
Considerato che
4. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione dell’art. 1 comma 7 e/o comma 8 della legge n. 223 del 1991 in combinato disposta con l’artt. 4 comma 5 e dell’art. 24 della stessa legge e dell’art. 5 della legge n. 164 del 1975 per avere ritenuto insufficiente il contenuto delle comunicazioni ai sensi dell’art. 1 comma 7 della legge n. 223 del 1991 anche alla luce degli artt. 1175 e 1375 cod. civ.
Sostiene la ricorrente che erroneamente la Corte di merito ha ritenuto generici i criteri di selezione riportati nella comunicazione, con valutazione formalistica ed astratta, senza considerare il contesto in cui la procedura di cassa integrazione si era inserita. Se avesse valutato i parametri alla luce della documentazione allegata e non contestata avrebbe dovuto constatare che la Cassa integrazione era stata richiesta e concessa nell’ambito della procedura di esame congiunto ex art. 4 comma 5 della legge n. 223 del 1991, quale strumento di sostegno del reddito nel contesto di una procedura di licenziamento collettivo già intrapresa e al fine di procrastinarne l’operatività, di cui faceva parte il settore A. presso il quale prestava la sua attività lo S. e che coinvolgeva tutti i lavoratori ivi occupati.
5. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 comma 7 e/o comma 8 della legge n. 223 del 1991 e dell’art. 5 della legge n. 164 del 1975 nonché per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 primo comma n. 5 cod. proc. civ.. Sostiene la società che gravava sul lavoratore, che non vi aveva adempiuto, l’onere di provare il carattere discriminatorio della scelta del lavoratore da sospendere e dell’esistenza di condizioni per sceglierne altri. Sottolinea che al contrario dalle prove acquisite era emerso che il reparto cui era addetto (A526) era destinato ad essere chiuso e smantellato e che di tale circostanza era stato anche informato il lavoratore.
Conseguentemente ritiene che non era ravvisabile alcuna discriminazione nei confronti del ricorrente che era necessariamente incluso nei lavoratori da collocare in CIGS ed erroneamente, perciò, la Corte, senza alcun approfondimento, ne aveva ritenuto la sussistenza.
6. Con il terzo motivo di ricorso è denunciata la violazione dell’art. 1 comma 7 e/o comma 8 legge n. 223 del 1991 e dell’art. 5 della legge n. 164 del 1975 e dell’art. 1362 cod. civ. per non aver ritenuto che gli accordi intervenuti tra le OO.SS. e la Società sanassero il vizio formale.
7. Con il quarto motivo di ricorso è denunciata ancora una volta la violazione dell’art. 1 comma 7 e/o comma 8 legge n. 223 del 1991 e dell’art. 5 della legge n. 164 del 1975 per aver ritenuto carente la specificazione dei criteri con riguardo alle modalità di applicazione della rotazione in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 cod. proc. civ. e n. 5 per omesso esame di un fatto decisivo. Ancora una volta dagli accordi era desumibile il rispetto delle modalità di rotazione e la prova assunta aveva confermato il rispetto di criteri fissati.
8. Le censure da esaminare congiuntamente in ragione della loro connessione sono infondate
8.1. Occorre premettere che in sede di impugnazione di un provvedimento aziendale di sospensione per messa in Cassa integrazione, effettuato a norma della legge n. 223 del 1991, ove venga contestata, da parte del lavoratore, la mancata osservanza dei criteri di scelta dei lavoratori da porre in mobilità, grava sul datore di lavoro l’onere di indicare e provare le circostanze di fatto poste a base dell’applicazione dei suddetti criteri. (cfr. Cass. 26/01/2006 n. 1550 e già 24/08/2004 n. 16680 e più recentemente Cass. 21/09/2011 n. 19235).
8.2. Nello specifico la Corte territoriale ha accertato, prima ancora di scendere nel merito della concreta applicazione dei criteri fissati sia per la scelta dei lavoratori da collocare in cassa integrazione sia per la attuazione della rotazione, che gli stessi per la estrema genericità della loro formulazione viziassero la procedura rendendola illegittima. In sostanza il giudice di appello, davanti alla quale era stata riproposta la questione della inidoneità dei criteri fissati a costituire un valido riferimento per l’individuazione dei destinatari della procedura di cassa integrazione, si è posta su un piano diverso rispetto al giudice di primo grado e ancor prima di scendere nel concreto ha ritenuto che la formulazione astratta degli stessi fosse generica.
8.3. Diviene irrilevante, allora, perché riferita ad una fase successiva la valutazione del primo giudice che ha verificato in concreto l’osservanza di criteri ritenuti radicalmente inidonei per lo scopo al quale erano destinati. Neppure rileva, ai fini della valutazione della specificità dei criteri per la collocazione in cassa integrazione, la circostanza che la procedura fosse connessa alla procedura di mobilità.
E’ evidente la diversità di finalità cui sono ispirati e di funzioni cui assolvono i criteri di scelta per individuare i lavoratori da sospendere in CIG (nella prospettiva di una ripresa dell’attività di impresa secondo un programma di ristrutturazione, di riorganizzazione o di conversione rispetto alla quale essi sono soggetti ad una sospensione o riduzione temporanea della prestazione lavorativa), ovvero da licenziare, qualora invece l’attuazione del suddetto programma non ne consenta un integrale reimpiego, nell’assenza di misure alternative (cfr. Cass. 07/11/2016 n. 22546).
8.4. A tali principi si è attenuto il giudice di merito che ha esattamente posto in rilievo che la connessione tra la procedura di mobilità e quelle di cassa integrazione non esimevano dal rispetto dal rispetto delle regole dettate per queste ultime dalla legge n. 223 del 1991 né esoneravano dagli obblighi di comunicazione indicati dall’art. 7 della stessa legge atteso che tale comunicazione dei criteri di individuazione dei lavoratori svolge una funzione più pregnante, di garanzia procedimentale, e lo scopo della disposizione di legge è quello di rendere trasparente e verificabile la scelta del datore di lavoro in funzione di tutela di quei lavoratori che, subendo la scelta suddetta, si trovano in una situazione di mera soggezione.
8.5. Quanto agli accordi sopravvenuti va rilevato che la valutazione della loro idoneità a specificare il contenuto dei criteri di scelta , al pari di quella concernente la comunicazione di avvio della procedura, spetta in via esclusiva al giudice di merito e può essere censurata in cassazione solo negli stretti limiti del giudizio di legittimità, che nel caso in esame vengono nettamente travalicati. Comunque va osservato che la possibilità di un effetto sanante di un accordo sindacale sui criteri di scelta, laddove l’accordo li indichi in modo puntuale e specifico, è stata ammessa solo in casi particolari e circoscritti, ma non nell’ipotesi in cui la comunicazione è strettamente funzionale a mettere in grado le organizzazioni sindacali di partecipare al confronto con la controparte adeguatamente informate e ai lavoratori di avere contezza delle prospettazioni aziendali. Né può essere ammessa con effetto retroattivo rispetto a scelte in concreto già operate (cfr. Cass. 12/12/2011 n. 26587 e in generale sull’esclusione del carattere sanante dell’accordo Cass. 09/06/2009 n. 13240 e 01/07/2009 n. 15393).
9. Con il quinto motivo è denunciato l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio con riguardo alle somme liquidate ed alla ritenuta genericità delle contestazioni formulate al riguardo dalla società. Osserva la ricorrente di aver contestato sin dal primo grado l’inesattezza del parametro utilizzato per calcolare le somme dovute e che la contestazione era specifica.
10. Con il sesto motivo di ricorso, poi, si duole della ritenuta inammissibilità delle eccezioni formulate in appello senza considerare che si trattava di questioni già tutte sollevate in primo grado.
11. Le due censure, che investono sotto diversi profili il medesimo capo della decisione, sono in parte inammissibili ed in parte infondate.
11.1. Sotto il profilo della specificità della contestazione dei conteggi va in via generale rammentato che nel processo del lavoro, l’onere di contestare specificamente i conteggi relativi al quantum sussiste anche quando il convenuto contesti in radice la sussistenza del credito, poiché la negazione del titolo degli emolumenti pretesi non implica necessariamente l’affermazione dell’erroneità della loro quantificazione, mentre la contestazione dell’esattezza del calcolo ha una sua funzione autonoma, dovendosi escludere una generale incompatibilità tra il sostenere la propria estraneità al momento genetico del rapporto e il difendersi sul quantum debeatur (cfr. Cass. 06/12/2017 n. 29236).
11.2. Tanto premesso va rilevato che la Corte territoriale non è incorsa nelle violazioni denunciate. Il giudice di appello, nel sottolineare che le contestazioni erano in parte nuove e perciò inammissibili, ha quindi verificato la specificità della contestazione in relazione ai fatti tempestivamente allegati ed ha sottolineato che ha fronte di una analitica ricostruzione contabile delle differenze retributive spettanti, giustificata dai dati emergenti dalle buste paga depositate e dettagliatamente spiegata in prospetti riassuntivi delle somme erogate a titolo di integrazione, delle ore di CIGS nel periodo dall’aprile 2007 all’agosto 2009 e delle differenze spettanti, la contestazione avrebbe dovuto puntualmente investire i conteggi e precisare in concreto gli errori in cui era incorso il ricorrente nella loro formulazione.
11.3. Tale affermazione, che si pone in linea con la giurisprudenza sopra ricordata, si risolve in una inammissibile richiesta di nuovo esame delle circostanze di fatto tutte già prese in esame dal giudice di merito. Peraltro nel denunciare che le allegazioni contenute nell’appello non erano nuove ma costituivano una mera riformulazione delle difese di primo grado, la società riproduce solo il contenuto dell’appello ma trascura di riportare quello della memoria di costituzione in primo grado sottoponendo alla Corte una censura che per la sua genericità incorre nella sanzione dell’inammissibilità.
12. L’ultimo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 e 2041 cod. civ. con riguardo all’art. 1 comma 7 della legge n. 223 del 1991. Sostiene la ricorrente che erroneamente la Corte di appello avrebbe ritenuto che per effetto della illegittima collocazione in Cigs il lavoratore avesse diritto a percepire l’intera retribuzione per tutto il periodo di sospensione e non, invece, solo la differenza tra la retribuzione spettante e l’integrazione salariale ricevuta.
12.1. Anche tale censura è priva di fondamento. La Corte territoriale ha correttamente accertato che le somme erano dovute, come chieste, al netto dell’integrazione salariale ricevuta ed a prescindere dalla rotazione. Ed infatti il lavoratore ingiustificatamente sospeso non ha diritto alla riammissione in servizio, ma solo al risarcimento del danno nella misura corrispondente alla differenza fra la retribuzione piena (al lordo delle ritenute fiscali e previdenziali) ed il trattamento corrisposto dalla cassa integrazione guadagni straordinaria nel periodo d’ingiustificata sospensione (cfr. Cass. 04/12/2015 n. 24738).
13. In conclusione e per le ragioni sopra esposte il ricorso deve essere rigettato. Non occorre provvedere sulle spese del giudizio di legittimità atteso che M.B. è rimasto intimato. Va, invece, dato atto che ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 sussistono i presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 bis del citato d.P.R..
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto che sussistono i presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 bis del citato d.P.R.
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