CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 09 ottobre 2018, n. 24853
Società in liquidazione – Cancellazione dal Registro delle imprese – Atto di appello notificato nei confronti della società non più esistente – Inammissibilità del gravame – Assenza di capacità processuale – Possibile successiva prosecuzione o riassunzione del giudizio da parte o nei confronti dei soci
Rilevato
che, con la sentenza n. 118/2013, la Corte di appello di Bologna ha dichiarato inammissibile il gravame, proposto da D.D. nei confronti della L. spa in liquidazione, con l’intervento della N. soc. coop., rilevando che l’impugnazione era stata formulata nei confronti di una società cancellata dal registro delle imprese e, quindi, priva di capacità processuale;
che avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione D.D. affidato a tre motivi;
che ha resistito la sola Società Coop. N., mentre la L. spa in liquidazione e l’altra società F. srl, la quale secondo l’assunto del ricorrente sarebbe succeduta, unitamente alla citata N., alla cancellata L. spa, sono rimaste intimate;
che le parti costituite hanno depositato memoria;
che il P.G. non ha formulato richieste scritte.
Considerato
che, con il ricorso per cassazione, in sintesi, si censura: 1) la violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost., in relazione agli artt. 2495, comma II cc, e 110, 325 e 328 cpc, perché, in una situazione in cui l’evento interruttivo si era verificato nel corso del giudizio di primo grado e non era stato dichiarato, in presenza della socia e successore dell’estinta L. spa, erroneamente la notifica effettuata nei confronti di quest’ultima società era stata ritenuta inesistente e non, invece, nulla o sanabile; in caso contrario, si eccepisce la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2495 secondo comma cc, in relazione all’art. 24 Cost. e agli artt. 1175 e 1375 cc, nonché agli artt. 110, 325 e 328 cpc, laddove non è previsto che, in caso di estinzione di una società a seguito di cancellazione volontaria, i rapporti processuali possano proseguire nei gradi di impugnazione nei confronti della o delle società estinte e laddove non sia previsto che la società estinta abbia l’obbligo di comunicare l’evento interruttivo nei rapporti processuali in corso; 2) la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2495 comma II cc, in relazione agli artt. 110, 156, 325 e 328 cpc, perché, nel quadro di cui sopra, la Corte di merito avrebbe dovuto ritenere ammissibile il gravame previa autorizzazione ad integrare il contraddittorio nei confronti dei suddetti soci; 3) la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2495 comma II cc, in relazione agli artt. 100, 157, 299 e 300 cpc, nonché la nullità della sentenza di primo grado, per non essere stato considerato che la condotta processuale di L. spa, che non aveva dichiarato l’evento interruttivo, ancorché legittima, non era sostanzialmente lecita e coerente con i principi ex art. 1175 cc;
che i primi due motivi, affrontati congiuntamente per la connessione logica che li lega, sono infondati.
Giova precisare, in punto di fatto, che la L. spa fu cancellata dal registro delle imprese, a seguito di liquidazione, in data 7.12.2007, nel corso del giudizio di primo grado e l’evento non fu dichiarato. Con la pronuncia, depositata il 27.5.2008, l’adito Tribunale di Modena rigetto le domande avanzate da D.D. nei confronti di detta società. L’atto di appello venne notificato nei confronti della L. spa; in detto giudizio, oltre alla L. spa in liquidazione, costituitasi in persona del liquidatore pt, intervenne anche la N. soc. coop, già socia della L. spa, al solo fine di fare valere l’inammissibilità dell’appello proposto nei riguardi di L. spa che non esisteva più. La Corte di appello di Bologna, con la sentenza impugnata, ha dichiarato inammissibile il gravame in quanto la L. spa era priva di capacità processuale.
Orbene, rileva il Collegio che la decisione impugnata è conforme all’orientamento di legittimità di cui alla sentenza delle Sezioni Unite (cfr. Cass. Sez. Un. 12.3.2013 n. 6071), cui si intende dare continuità, secondo il quale «la cancellazione volontaria dal Registro delle imprese di una società, a partire dal momento in cui si verifica l’estinzione della società medesima impedisce che essa possa ammissibilmente agire o essere convenuta in giudizio. Se l’estinzione della società cancellata dal registro delle imprese intervenga in un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo del processo, disciplinato dagli artt. 299 ss cpc, con possibile successiva eventuale prosecuzione o riassunzione del medesimo giudizio da parte o nei confronti dei soci.
Ove invece l’evento interruttivo non sia stato fatto constare nei modi previsti dagli articoli appena citati o si sia verificato quando il farlo constare in quei modi non sarebbe stato più possibile, l’impugnazione della sentenza pronunciata nei riguardi della società deve provenire o essere indirizzata, a pena di inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci o nei confronti dei soci succeduti alla società estinta».
Ne consegue, quindi, che l’appello successivo al verificarsi della cancellazione deve provenire (o essere indirizzato) dai soci (o nei confronti dei soci) succeduti alla società estinta, a pena di inammissibilità (cfr. Cass. 19.12.2016 n. 26196).
Né è condivisibile l’assunto della ricorrente circa il dedotto profilo della inesistenza o nullità della notifica che avrebbe giustificato l’integrazione del contraddittorio ex art. 291 cpc perché, ciò che qui viene in rilievo ai fini della ammissibilità del gravame, è il difetto assoluto di “giusta parte” dell’ente estinto che ha reso invalida l’instaurazione, nei suoi confronti, del giudizio di impugnazione. Non si pone, pertanto, un problema di nullità o inesistenza della notificazione, quanto, invece, di legittimazione passiva a contraddire all’atto di appello. E con riguardo a tale aspetto, deve osservarsi che l’intervento della sola N. soc. coop., a prescindere dal contenuto delle sue difese, non è valso a svolgere alcun effetto sanante, sia perché non vi può essere sanatoria dell’inammissibilità dell’appello, sia perché non emerge dagli atti in che termini essa società sia socio-successore della L. spa e/o se lo sia unitamente ad altri soggetti, non convenuti né parti, nei precedenti gradi di merito. Inoltre, va rimarcato che l’interpretazione dell’art. 2495 cc, nei sensi dato dalle Sezioni Unite di questa Corte come sopra evidenziata, ha superato anche i dubbi di legittimità costituzionale avanzati dal ricorrente essendo i diritti di cui agli artt. 3, 24 e 111 Cost. tutelati dal fatto che, se l’estinzione dell’ente avviene a processo instaurato, il processo prosegue nei confronti dei soci nei limiti in cui questi hanno ricevuto somme in base al bilancio finale di liquidazione (Corte Cost. 12 luglio 2013 n. 198).
A ciò, infine, va aggiunto che il regime di pubblicità legale, cui le società di capitale sono sottoposte, consente comunque alla controparte un controllo continuo sulle vicende societarie, così fugando anche ogni profilo di violazione degli artt. 1175 e 1375 cc; che il terzo motivo non è meritevole di accoglimento perché l’inammissibilità dell’appello, operando su un piano decisionale preliminare a quello del merito, preclude l’indagine di ogni profilo di nullità della gravata sentenza, che non è pertanto più consentito; che alla stregua di quanto esposto il ricorso deve essere rigettato; che al rigetto segue la condanna del ricorrente, secondo il principio della soccombenza, alla rifusione delle spese del presente giudizio di legittimità nei soli confronti della controricorrente; nulla va, invece, disposto per quelle relative alle intimate che non hanno svolto attività difensiva;
che, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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