CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 09 ottobre 2018, n. 24908
Accertamento – Riscossione – PVC – Contenzioso tributario – Inesistenza soggettiva delle operazioni fatturate
Rilevato che
Con sentenza in data 13 settembre 2016 la Commissione tributaria regionale della Calabria accoglieva l’appello proposto dalla E. Mercato delle Carni sas di N.F. & C. avverso la sentenza n. 2854/3/15 della Commissione tributaria provinciale di Catanzaro che ne aveva respinto il ricorso contro l’avviso di accertamento IVA 2010. La CTR osservava in particolare che era da ritenersi fondata l’eccezione di invalidità dell’atto impositivo impugnato per vizio motivazionale, posto che non potevasi considerare a tal fine adeguato il mero riferimento ad un PVC riguardante il soggetto emittente le fatture oggetto di contestazione (per inesistenza soggettiva delle operazioni fatturate), essendo peraltro quella verifica attinente ad un periodo d’imposta diverso da quello delle riprese fiscali de quibus.
Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate deducendo tre motivi.
Resiste con controricorso la società contribuente.
Considerato che
Con il primo motivo —ex art. 360, primo comma, nn. 3-4, cod. proc. civ.- l’agenzia fiscale ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 99, 112, cod. proc. civ., 35, terzo comma, d.lgs. 546/1992, poiché la CTR ha insufficientemente e contraddittoriamente motivato la propria statuizione di accoglimento dell’appello della contribuente.
La censura è infondata.
Va ribadito che:
–«La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture» (Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016, Rv. 641526 -01);
–«La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione» (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).
La motivazione della sentenza impugnata non può farsi rientrare nei paradigmi negativi elencati nei due principi di diritto espressi in tali arresti giurisprudenziali.
Il giudice tributario di appello infatti ha, sinteticamente, ma chiaramente, affermato la non adeguatezza degli elementi motivazionali dell’avviso di accertamento impugnato, così esprimendo un giudizio di merito che non può essere oggetto di “revisione” nella presente sede (cfr. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 9097 del 07/04/2017) e comunque raggiungendo la soglia del “minimo costituzionale” di assolvimento del suo obbligo motivazionale.
Con il secondo motivo —ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.- la ricorrente si duole della violazione/falsa applicazione degli artt. 42, d.P.R. 600/1973, 56, d.P.R. 602/1973 (rectius, d.P.R. 633/1972), poiché la CTR ha affermato l’invalidità dell’atto impositivo oggetto della lite per difetto di motivazione nonostante il riferimento al PVC riguardante la società contribuente le fosse stato consegnato, il che ne rendeva non obbligatoria la notifica contestualmente alla notifica all’atto impositivo stesso.
Con il terzo motivo —ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.- la ricorrente lamenta la violazione/falsa applicazione degli artt. 2697, cod. civ., 21, quarto comma, d.P.R. 633/1972, poiché la CTR ha invertito l’ onus probandi in materia di fatture per operazioni (soggettivamente) inesistenti.
Le censure, da esaminarsi congiuntamente per stretta connessione, sono inammissibili.
Va ribadito che:
–«In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione» (ex multis Sez. 5, n. 26110 del 2015);
–«Con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione» (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 9097 del 07/04/2017, Rv. 643792 – 01).
Lo sviluppo delle censure collide radicalmente con le indicazioni sui limiti del giudizio di cassazione rivenienti dai principi di diritto espressi in tali arresti giurisprudenziali.
La ricorrente infatti, nella sostanza, contesta la valutazione meritale data al valore probatorio degli elementi addotti dall’Ente impositore a suffragio delle proprie pretese creditorie e, appunto inammissibilmente, richiede a questa Corte una “revisione” di tale valutazione.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.
Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13 comma 1- quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Sez. 6 – L, Ordinanza n. 1778 del 29/01/2016, Rv. 638714 — 01).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna l’agenzia fiscale ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 2.300 oltre euro 200 per esborsi, 15% per contributo spese generali ed accessori di legge.
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