CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 09 ottobre 2019, n. 25230
Fallimento – Crediti privilegiati – Credito assistito da ipoteca volontaria – Revocatoria dell’ipoteca – Consapevolezza dello stato d’insolvenza dell’imprenditore – Presunzioni
Rilevato in fatto
– che è stato proposto ricorso, sulla base di un unico motivo, avverso il decreto del Tribunale di Roma n. 23327 del 9 novembre 2017, il quale ha respinto l’opposizione allo stato passivo promossa dall’odierna ricorrente, negando la natura privilegiata del credito dalla stessa vantato;
– che il Fallimento E.. Euro Impianti Tecnologici S.r.l. si difende con controricorso;
Ritenuto in diritto
– che l’unico motivo del ricorso deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 67, 98, 99 L.f., avendo il giudice di merito ritenuto erroneamente sussistente la consapevolezza dell’odierna ricorrente circa lo stato di crisi in cui versava la società debitrice poi fallita alla data in cui è stata concessa l’ipoteca volontaria, dichiarata dal tribunale inefficace; nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., in ragione della mancanza, apparenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione, avendo il giudice omesso di valutare i vari elementi addotti, dalla difesa della ricorrente, a riprova della sua inscentia decoctionis;
– che il ricorso è manifestamente infondato;
– che, secondo l’orientamento consolidato di questa Corte, la prova della sussistenza della consapevolezza circa lo stato d’insolvenza dell’imprenditore e.x. art. 67 L.f. è raggiunta ogni volta che, al momento in cui è stato posto in essere l’atto revocabile, si siano verificate circostanze tali da far presumere ad una persona di ordinaria prudenza e avvedutezza che l’imprenditore si trovasse in una situazione di non normale esercizio dell’impresa: circostanza che può essere desunta anche da semplici indizi, aventi l’efficacia probatoria delle presunzioni semplici e, in quanto tali, soggetti a valutazione concreta da parte del giudice di merito, da compiersi in applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. (Cass. 2557/2008);
– che una tale impostazione non equivale a negare la necessità che la conoscenza dello stato d’insolvenza da parte del terzo contraente sia effettiva e non meramente potenziale; ciò nonostante, la prova di tale effettiva conoscenza può essere raggiunta mediante il ricorso a presunzioni semplici; inoltre, è opportuno ribadire che «la scelta degli elementi che costituiscono la base della presunzione ed il giudizio logico con cui dagli stessi si deduce l’esistenza del fatto ignoto costituiscono un apprezzamento di fatto che, se adeguatamente motivato, sfugge al controllo di legittimità» (Cass. 20935/2005);
– che, nel caso di specie, il tribunale – con apprezzamento di merito non censurabile e compiutamente motivato – ha ritenuto che sussista la prova della consapevolezza che la società debitrice, all’epoca ancora in bonis, si trovasse in una situazione di non normale esercizio dell’impresa (risultanze pubbliche; mancato adempimento delle precedenti obbligazioni nei confronti della stessa odierna ricorrente);
– che, d’altronde, anche la circostanza – comunque non decisiva – addotta dalla società ricorrente, per cui vi sarebbe stata la prosecuzione dei rapporti di fornitura tra le due imprese successivamente all’iscrizione dell’ipoteca, è rimasta sfornita di prova innanzi al giudice del merito, secondo i poteri di accertamento esclusivi del medesimo;
– che alla stessa conclusione deve pervenirsi – mancanza di decisività e difetto di specificità del motivo – in relazione agli altri elementi probatori la cui valutazione si lamenta essere stata dal tribunale omessa (rapporti di fornitura intrattenuti dalla società fallita anche con altre imprese; importanti appalti in corso di esecuzione);
– che, dunque, il giudice di merito ha adeguatamente motivato il proprio convincimento circa la sussistenza, in capo all’odierna ricorrente, della stientia decoetionis, operando un puntuale riferimento agli elementi probatori raccolti;
– che la condanna alle spese segue la regola della soccombenza;
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della parte costituita, di euro 4.100 (di cui curo 100 per esborsi), oltre alle spese forfetarie nella misura del 15% sul compenso ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1-quater, d.P.R. 115/02, come modificato dalla L. 228/12, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del co. 1-bis dello stesso art. 13.
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