CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 09 ottobre 2019, n. 25293
Tributi – ICI – Delega da parte del Comune dei poteri di accertamento e riscossione al concessionario – Avviso di accertamento – Sottoscrizione – Stampa del nominativo del soggetto responsabile – Legittimità
Svolgimento del processo
V.A. ha proposto ricorso contro l’avviso di accertamento notificatogli dalla F.L. srl, concessionaria della riscossione di tributi locali per il Comune di San Pietro Vernotico, con il quale era stata determinata a suo carico una maggiore ICI per l’anno 2003 per € 8.548,15, oltre interessi e sanzioni, il tutto per complessivi € 19.233,00.
La CTP di Brindisi, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 215/2/10, ha respinto il ricorso.
V.A. ha proposto appello.
La CTR di Bari, Sez. dist. di Lecce, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 2062/2016, ha respinto l’impugnazione.
V.A. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.
Parte intimata non ha svolto difese.
Il solo ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la nullità della sentenza per ultrapetizione, extrapetizione, violazione del giudicato interno ed implicito perché il giudice di appello avrebbe respinto la doglianza avanzata dal medesimo ricorrente in primo grado con la quale egli si era doluto dell’emissione di un accertamento di ufficio piuttosto che di un avviso in rettifica nonostante detta doglianza non fosse stata riproposta in secondo grado.
La doglianza è inammissibile per difetto di interesse.
Infatti, trova applicazione il principio per il quale, in sede di legittimità, il motivo di ricorso con il quale si censuri per vizio di ultrapetizione l’argomento in sé superfluo che il giudice di appello, confermando la sentenza impugnata per ragioni di per sé sufficienti al rigetto del gravame, abbia ritenuto di aggiungere, è inammissibile per difetto di interesse all’impugnazione, atteso che il giudicato nasce dalla sentenza di primo grado confermata nei gradi successivi e non dalle sentenze meramente confermative dei gradi di impugnazione, sicché, nell’ipotesi suddetta, il tema della decisione resta delimitato dalla sentenza di primo grado, senza che siano ravvisabili una decisione aggiuntiva o modificativa da parte del giudice del gravame (Cass., Sez. L, n. 6397 del 7 giugno 1995).
Nella specie, lo stesso ricorrente riconosce che sulla natura dell’accertamento era sceso il giudicato e che questo era a lui sfavorevole.
Ne consegue che le considerazioni svolte dalla CTR sul punto, alla luce della circostanza che pure l’appello è stato respinto, sono prive di rilievo, non pregiudicando in alcun modo il contribuente.
Infatti, deve affermarsi che il rigetto in appello di un motivo di impugnazione già respinto in primo grado, che sia avvenuto in assenza di uno specifico gravame sul punto, con conseguente passaggio in giudicato della relativa statuizione, non integra una violazione del codice di rito idonea a fare sorgere un interesse della parte soccombente a proporre ricorso in cassazione, difettando ogni lesione delle sue prerogative processuali e del suo diritto di difesa.
2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta il deficit motivazionale e probatorio della decisione, nonché la violazione degli articoli 7, commi 1 e 2, e 17 della legge n. 212 del 2000, 24 della Costituzione ed 1 e 2 del d.lgs. n. 32 del 2001 e del diritto di difesa perché la CTR avrebbe errato nel non rilevare che l’accertamento era non motivato in quanto non erano state allegate le delibere n. 89 del 2005 del responsabile settore tributi gestione entrate della società di riscossione e n. 76 del 2003 del commissario straordinario.
La doglianza è infondata.
Infatti, la CTR ha espressamente accertato che il contenuto di detti atti era stato riportato sinteticamente nell’avviso di accertamento quanto alle aliquote applicabili e ha affermato che la delibera n. 89 del 2005 non rientrava fra gli atti che avrebbero dovuto essere portati all’attenzione del contribuente.
Il ricorrente non ha specificamente dedotto su queste considerazioni e, in particolare, non ha riprodotto il contenuto dei documenti in esame, non consentendo a questa corte di valutare, alla luce del giudizio negativo sul punto del giudice di appello, se la menzionata delibera n. 89 del 2005 rientrasse fra i documenti da allegare all’avviso di accertamento.
3. Con il terzo motivo il ricorrente contesta la violazione e falsa applicazione dell’articolo 10 del d.P.R. n. 507 del 1993, 10, comma 3, e 3, comma 87, della legge n. 549 del 1995 perché il provvedimento impugnato sarebbe stato illegittimo in quanto il nominativo del soggetto responsabile sarebbe stato indicato a mezzo stampa, senza firma autografa ed in mancanza di un apposito provvedimento di livello dirigenziale che lo individuasse.
Infatti, l’articolo 1, comma 87, della legge n. 549 del 1995, stabilisce che “la firma autografa prevista dalle norme che disciplinano i tributi regionali e locali sugli atti di liquidazione e accertamento è sostituita dall’indicazione a stampa del nominativo del soggetto responsabile, nel caso in cui gli atti medesimi siano prodotti da sistemi informativi automatizzati”.
Il nominativo del funzionario responsabile va individuato, a garanzia del contribuente e della trasparenza dell’azione amministrativa, con apposito provvedimento di livello dirigenziale (Cass. n. 20628 del 31 agosto 2017).
Sostiene il ricorrente che siffatta garanzia deve valere non solo nel caso di gestione diretta, ma anche in quello di gestione in concessione della potestà impositiva.
La doglianza è infondata.
Infatti, benché sia vero che “In tema di tributi regionali e locali, qualora l’atto di liquidazione o di accertamento sia prodotto mediante sistemi informativi automatizzati, la sottoscrizione di esso può essere legittimamente sostituita, ai sensi dell’art. 1, comma 87, della l. n. 549 del 1995, dall’indicazione a stampa del nominativo del soggetto responsabile, individuato da apposita determina dirigenziale” (Cass., Sez. 6-5, n. 20628 del 31 agosto 2017), deve rilevarsi che «in caso di delega da parte dell’ente pubblico dei poteri di accertamento e riscossione al concessionario, la sottoscrizione del provvedimento impositivo è sostituita dall’indicazione a stampa del nominativo del soggetto responsabile, purché risulti, unitamente alla fonte dei dati, in un apposito atto sottoscritto dal concessionario, che assolve alla medesima funzione garantita, nell’ipotesi di gestione diretta dell’imposta da parte dell’ente pubblico, dal “provvedimento di livello dirigenziale” di cui all’art. 1, comma 87, secondo alinea, della l. n. 549 del 1995» (Cass., Sez. 5, n. 31707 del 7 dicembre 2018, che afferma questo principio, da ritenere di portata generale, in tema di imposta comunale sulla pubblicità).
Nella specie, ricorre la seconda ipotesi, vale a dire il coinvolgimento di un concessionario, con la conseguenza che la censura del ricorrente, concernente l’assenza del provvedimento di livello dirigenziale e non dell’atto del detto concessionario, è priva di rilievo (in effetti, il medesimo contribuente ha fatto riferimento all’atto sottoscritto dal concessionario nella sua memoria illustrativa, ma questa indicazione è avvenuta tardivamente, essendo assente nel ricorso).
Ne consegue il rigetto del motivo.
4. Il ricorso è, quindi, respinto.
5. Alcuna statuizione deve essere assunta in ordine alle spese di lite, alla luce della condotta difensiva della società intimata.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’articolo 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, che ha aggiunto il comma 1 – quater all’articolo 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata, trattandosi di ricorso per cassazione la cui notifica si è perfezionata successivamente alla data del 30 gennaio 2013 (Cass., Sez. 6-3, sentenza n. 14515 del 10 luglio 2015).
P.Q.M.
– Rigetta il ricorso;
– ai sensi dell’articolo 13, comma 1 – quater, d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’articolo 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
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