CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 09 ottobre 2019, n. 25401
Operatori ecologici – Manutenzione e lavaggio dei Dispositivi di Protezione Individuale – Risarcimento oneri economici sostenuti dai lavoratori per lavaggi presso lavanderie private – Obbligo società datrice lavoro
Rilevato che
La Corte di appello di Napoli con la sentenza n. 7525/2017 aveva accolto l’appello proposto da S.A. e B.G. avverso la decisione con la quale il locale tribunale aveva rigettato la domanda dagli stessi diretta al riconoscimento dell’obbligo di A. Napoli, di cui erano dipendenti, di provvedere alla manutenzione dei Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) prevista e accertata dal D.lgs. n. 81/2008 PI) loro assegnati ed al loro lavaggio, oltre che il diritto dei lavoratori al risarcimento del danno subito per gli oneri economici sostenuti per i lavaggi effettuati presso lavanderie private.
La corte territoriale, accertata la natura protettiva dell’igiene e sicurezza degli indumenti in questione, in relazione alle mansioni svolte di operatori ecologici addetti alla raccolta di rifiuti solidi urbani, riteneva sussistente l’obbligo di manutenzione in questione a carico della società, liquidando il danno subito da ciascun lavoratore equitativamente in complessivi €. 688,00 oltre interessi legali dalla decisione al saldo.
Avverso tale decisione proponeva ricorso la A. Napoli affidato a due motivi.
Il S. e il B. rimanevano intimati.
Veniva depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.
Considerato che
1) Con il primo motivo è dedotta la “violazione e falsa applicazione degli artt. 74ss. D.lgs n. 81/2008 in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c, per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione ed erronea interpretazione delle norme di diritto applicabili alla fattispecie. Insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia: la nozione di D.P.I”.
2) Con il secondo motivo è dedotta “violazione e falsa applicazione degli artt. 74 ss. D.lgs n. 81/2008 in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c, per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione ed erronea interpretazione delle norme di diritto applicabili alla fattispecie. Insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia: la sussistenza o meno dell’obbligo aziendale di fornire ai lavoratori D.P.I.”.
Entrambi i motivi possono essere trattati congiuntamente in quanto attinenti al medesimo presupposto di identificazione dei Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) e dell’accertamento del conseguente (eventuale) obbligo in capo al datore di lavoro.
Se pur si superino i profili di inammissibilità delle censure per il confuso contestuale richiamo a vizi di violazione di legge e di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (quest’ultima non più ammissibile a seguito della riformulazione dell’art. 360 co. n. 5 c.p.c – SU Cass. n. 8053/2014), se ne deve comunque affermare la infondatezza.
Deve premettersi che questa Corte, con riferimento a fattispecie relativa ad una lavoratrice addetta ad attività di pulizia delle vetture dei treni, ha chiarito che “In tema di tutela delle condizioni di igiene e sicurezza dei luoghi di lavoro, gli indumenti con funzione protettiva dal contatto con sostanze nocive o patogene rientrano tra i dispositivi di protezione individuale, previsti dall’art. 40 della I. n. 626 del 1994 (applicabile “ratione temporis”), sicché rispetto ad essi è configurabile un obbligo a carico del datore di lavoro di continua fornitura e di mantenimento in stato di efficienza (Cass. 18674/2015).
Ha invece escluso la esistenza dell’obbligo e la natura di DPI in caso di indumenti che ” per le loro caratteristiche di capi comuni di abbigliamento (tute di stoffa) e la loro funzione di vestizione in quanto strumentali al solo scopo di mera preservazione degli abiti civili dell’attuale ricorrente dalla ordinaria usura connessa all’espletamento dell’attività lavorativa” (cass. n. 5176/2014 – Cass. n. 29760/2017).
Risulta quindi dirimente, rispetto alla valutazione cui il Giudice è chiamato, la corretta individuazione della concreta fattispecie ed in particolare della tipologia di indumenti cui essa si riferisce.
Con accertamento di merito in questa sede non rivedibile, la corte territoriale ha accertato (pg 5 sentenza) che i giubbotti e pantaloni assegnati servivano a fini igienici ovvero di protezione dei lavoratori in quanto esposti a polvere e rifiuti, e dunque finalizzati a fungere da schermo rispetto ad agenti patogeni di pregiudizio alla salute.
La valutazione così svolta deve quindi far ritenere che la conclusione cui la corte territoriale è addivenuta circa la natura di DPI degli indumenti in questione risulta coerente con la individuazione della esistenza dell’obbligo datoriale di manutenere i Dispositivi necessari per la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile, trattandosi di ricorso vertente su questioni sulle quali esiste un orientamento consolidato della Corte rispetto al quale non sussistono ragioni per discostarsi (Cass. n. 7155/2017; conf. Cass. n. 4366/2018).
Nulla per le spese.
Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013) trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame (Cass. n. 22035 del 17/10/2014; Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014 e numerose successive conformi).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso; nulla per le spese.
Ai sensi dell’art. 13 comma quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis, dello stesso articolo 13.
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