CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 09 ottobre 2020, n. 21789
Tributi – Accertamento – Maggiori ricavi non contabilizzati – Conto soci finanziamenti infruttiferi – Versamenti e prelevamenti bancari non giustificati
Ritenuto che
A seguito di verifica fiscale l’Agenzia delle Entrate notificava alla società A.O. srl in liquidazione, operante nel settore del commercio di autovetture di provenienza comunitaria, nonché a D.P. quale coobbligato per le sanzioni a norma dell’art. 11 del d.lgs. n. 472 del 1997, un avviso di accertamento relativo all’anno di imposta 2006 con cui accertava l’esistenza di maggiori ricavi non contabilizzati pari ad euro 1.267.372, e l’utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, con determinazione delle corrispondenti maggiori imposte Ires, Irap ed Iva, oltre sanzioni. In particolare i maggiori ricavi contestati dall’Ufficio erano così composti:1) ricavi “in nero” desunti dal conto soci finanziamenti infruttiferi per euro 312.050; 2) ricavi “in nero” desunti dal raffronto tra il conto cassa ed il conto bancario per euro 380,762; 3) ricavi in nero derivanti da versamenti bancari non giustificati per euro 282.863; 4) ricavi in nero derivanti da prelevamenti bancari non giustificati per euro 291.697.
Contro l’avviso di accertamento la società e D.P. proponevano ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Napoli che lo accoglieva parzialmente, annullando la irrogazione delle sanzioni nei confronti del coobbligato solidale D.P., confermando nel resto l’atto impositivo impugnato.
Contro la sentenza di primo grado proponeva appello la società e l’Agenzia delle Entrate si costituiva proponendo appello incidentale. La Commissione tributaria regionale della Campania con sentenza n. 3745 del 7 aprile 2014 accoglieva l’appello dell’Ufficio, confermando la sussistenza a carico di D.P. dell’obbligo di pagamento delle sanzioni; accoglieva parzialmente l’appello della società nei seguenti termini: riduceva ad euro 53.050 i ricavi “in nero” accertati in euro 312.050; annullava i ricavi “in nero” di euro 380.762; annullava il recupero di costi indeducibili per euro 37.227, cosi rideterminando il reddito di impresa in euro 957.223.
Contro la sentenza di appello l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi. Deposita memoria e controricorso al ricorso incidentale.
La società A.O. srl in liquidazione e D.P. resistono con controricorso e propongono appello incidentale sulla base di due motivi.
Considerato che
A) Ricorso principale.
1. Il primo motivo denuncia:”Violazione e falsa applicazione degli artt. 132 c.p.c.in relazione all’art. 360 n. 4 cod.proc.civ”, nella parte in cui la C.T.R. ha annullato le riprese relative ai ricavi non contabilizzati e ai costi non documentati.
1.1. Il motivo è parzialmente fondato. Va premesso che la motivazione apparente, quale error in procedendo previsto dall’art.360 n.4 cod.proc.civ, attiene alle ipotesi in cui la motivazione, pur esistente graficamente, è priva di contenuto argomentativo intellegibile, di modo che permane indecifrabile l’iter logico seguito dal giudice per pervenire alla determinazione assunta, (in tal senso Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016; Sez.U n.9279 del 3/4/2019).
1.2. Con riguardo alla somma di euro 312.050, contabilizzata come finanziamento soci ma considerata dall’Ufficio riferibile a ricavi non contabilizzati, la ratio evidenziata dal giudice per ridurne l’importo ad euro 53.050 non presenta profili di incomprensibilità, avendo ritenuto la necessità di riconoscere l’esistenza di corrispondenti costi, determinati facendo ricorso al margine di profitto ritenuto pertinente al settore di competenza (commercio delle autovetture).
1.3. Il motivo è invece fondato con riguardo agli ulteriori annullamenti. Il giudice di appello ha annullato la ripresa dei ricavi “in nero” per euro 380.762 “in quanto originata verosimilmente da pasticci contabili come posto in evidenza dagli stessi verificatori al foglio 29 del p.v.c.”. La motivazione non rivela l’iter logico seguito dal giudice perché, a prescindere dalla natura perplessa della statuizione (basata sulla “verosimiglianza”), il passo del citato p.v.c., riportato nel ricorso, afferma ben diversamente l’esistenza di “grossolani artifici contabili” con i quali la società ha cercato di occultare i predetti ricavi. La ripresa a tassazione di costi non documentati per euro 37.237 è stata annullata “tenuto conto della loro modesta entità in relazione al volume di affari dichiarato per l’anno 2008 di euro 1.007.062”. L’argomento utilizzato è del tutto inconferente, atteso che la modestia ( relativa) dei costi non documentati non giustifica, per ciò solo, la deducibilità degli stessi a prescindere dalla prova della loro effettiva esistenza.
2.11 secondo motivo denuncia:”Violazione e falsa applicazione degli artt.39 D.P.R.600/1973; 2697 cod.civ. , in relazione all’art.360 n.3 cod.proc.civ
Il motivo è assorbito dall’accoglimento del primo motivo.
B) Ricorso incidentale
1. Il primo motivo denuncia: “Violazione e falsa applicazione dell’art.132 cod.proc.civ in relazione all’art.360 comma 1 n.4 cod.proc.civ”, nella parte in cui ha confermato la ripresa a tassazione, quali ricavi non contabilizzati, dei versamenti e dei prelievi ingiustificati risultanti dai conti bancari e la indeducibilità dei costi relativi ad operazioni inesistenti.
Il motivo è infondato. Quanto ai costi per euro 331.050 documentati con fatture relative ad operazioni inesistenti, la motivazione non è affatto apparente avendo il giudice di appello osservato che detti costi, riguardanti n.23 fatture emesse dalla R. srl, devono considerarsi relative ad operazioni inesistenti poiché “la R. srl è risultata essere un mero evasore totale che ha intrattenuto pseudo-rapporti commerciali con la A.O…. tale V.F. espressamente indicato quale materiale percettore,per conto della A.O. srl , delle somme restituite per le fatturazioni, è stato ritrovato in sede di verifica nei locali della società qui percossa a svolgere attività di addetto alle vendite come da foglio 2 e 29 del p.v.c.”. Quanto ai ricavi non contabilizzati desunti dalle movimentazioni bancarie ( euro 282.863 per prelevamenti ed euro 291,697 per versamenti) in forza della presunzione legale prevista dall’art.32 primo comma n.2) d.P.R. 29 settembre 1973 n.600, il giudice di merito ha affermato che le giustificazioni fornite dalla società ( le quali pertanto sono state esaminate) non erano idonee a vincere la presunzione legale. Non ricorre la fattispecie di motivazione apparente in quanto l’iter logico seguito dal giudice a sostegno della propria determinazione risulta da un lato comprensibile, e dall’altro insindacabile nel merito. Occorre inoltre considerare che alla sentenza impugnata si applica, ratione temporis, il novellato l’art.360 n.5 cod.proc.civ che preclude la censura del vizio di motivazione carente.
2. Il secondo motivo denuncia:”Violazione e falsa applicazione dell’art.7 del d.l. 30/9/2003 n. 269 e dell’art. 11 del d.lgs. n.472 del 1997, in relazione all’art.360 comma 1 n.3 cod.proc.civ”, in quanto la C.T.R., nel confermare le sanzioni a carico della persona fisica D.P. ha violato l’art.7 del d.l. n.336 del 2003 secondo cui, in caso di società avente personalità giuridica, le sanzioni possono essere irrogate esclusivamente a carico delle stessa società.
Il motivo è infondato. La giurisprudenza di questa Corte ha affermato che le sanzioni amministrative relative al rapporto tributario proprio di società o enti con personalità giuridica, ex art. 7 del d. l. n. 269 del 2003, convertito nella legge 326 del 2003, sono esclusivamente a carico della persona giuridica. Tuttavia tale regola incontra un limite nella artificiosa costituzione a fini illeciti della società di capitali, potendo allora le sanzioni amministrative tributarie essere irrogate nei confronti della persona fisica che ha beneficiato materialmente delle violazioni contestate. In tal caso, la persona fisica che ha agito per conto della società è, nel contempo, trasgressore e contribuente, e la persona giuridica è una mera fictio, creata nell’esclusivo interesse della persona fisica. Non opera pertanto l’art. 7 del D.L. n. 269/2003, secondo cui nel caso di rapporti fiscali facenti capo a persone giuridiche le sanzioni possono essere irrogate nei soli confronti dell’ente, in quanto detta norma intende regolamentare l’ipotesi di un amministratore di una persona giuridica che, in forza del proprio mandato, compie violazioni nell’interesse della persona giuridica. (Sez.5 19716/2013, riportata nella motivazione di Sez.5 n.28331/ 2018; Sez.5 n.5924/2017).
La motivazione della sentenza impugnata è conforme all’interpretazione della giurisprudenza di legittimità, avendo il giudice di appello osservato che la limitazione della responsabilità alla sola società con personalità giuridica, prescritta dal citato art.7, non opera “allorquando la persona giuridica fa da scudo alla persona fisica che trae vantaggio diretto e personale dalla violazione”, come nella fattispecie in esame , in cui Paolo De Simone, socio ed amministratore della società “aveva il suo interesse a perpetrare l’evasione perché ne raccoglieva direttamente i frutti”.
La sentenza deve pertanto essere cassata in accoglimento parziale del primo motivo di ricorso principale, nei termini indicati in motivazione, assorbito il secondo; il ricorso incidentale deve essere rigettato e la causa deve essere rinviata alla Commissione tributaria regionale della Campania in diversa composizione, alla quale è demandata anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie parzialmente, nei termini indicati in motivazione, il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo; rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto del ricorso principale e rinvia la causa, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Campania in diversa composizione. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato a carico del ricorrente incidentale.
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