CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 09 settembre 2019, n. 22507
Tributi – Contenzioso tributario – Sentenza – Contenuto minimo – Motivazione apparente – Nullità della sentenza
Rilevato che
– in controversia relativa ad impugnazione di una intimazione di pagamento di quanto dal contribunte dovuto per TARSU anno 2004, emesso sulla scorta di una cartella di pagamento che il contribuente sosteneva non essergli mai stata notificata, con conseguente prescrizione del diritto alla riscossione del predetto tributo, con la sentenza in epigrafe indicata la CTR rigettava l’appello del contribuente avverso la sfavorevole sentenza di primo grado, sostenendo la regolarità della notifica della cartelle e ritenendo assorbiti tutti gli altri motivi di impugnazione;
– avverso tale statuizione il contribuente propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui replica con controricorso l’Agenzia delle entrate – Riscossione, restando intimato il Comune di Lecce;
– sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis cod. proc. civ., risulta regolarmente costituito il contraddittorio;
Considerato che
1. Con il primo motivo di ricorso viene dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 139 e 140 cod. proc. civ., 8, comma 2, della legge n. 890 del 1982 e 60 d.P.R. n. 600 del 1973, per avere la CTR erroneamente affermato la regolarità della notifica della cartella di pagamento, prodromica all’intimazione di pagamento impugnata.
2. Il secondo motivo, con cui viene dedotta la violazione dell’art. 36 d.lgs. n. 546 del 1992, è incentrato sul vizio di carenza assoluta di motivazione della sentenza impugnata, sub specie di motivazione apparente.
3. Tale ultimo motivo, che va esaminato preliminarmente per ragioni di ordine logico – giuridico, è fondato e va accolto.
4. Al riguardo va ricordato che il vizio di motivazione meramente apparente della sentenza ricorre allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (Cost., art. 111, sesto comma), e cioè dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. (in materia di processo civile ordinario) e dell’omologo art. 36, comma 2, n. 4, d.lgs. n. 546 del 1992 (in materia di processo tributario), omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata, l’obbligo del giudice «di specificare le ragioni del suo convincimento», quale «elemento essenziale di ogni decisione di carattere giurisdizionale» è affermazione che ha origine lontane nella giurisprudenza di questa Corte e precisamente alla sentenza delle sezioni unite n. 1093 del 1947, in cui la Corte precisò che «l’omissione di qualsiasi motivazione in fatto e in diritto costituisce una violazione di legge di particolare gravità» e che «le decisioni di carattere giurisdizionale senza motivazione alcuna sono da considerarsi come non esistenti» (in termini, Cass. n. 2876 del 2017; v. anche Cass., Sez. U., n. 16599 e n. 22232 del 2016 e n. 7667 del 2017 nonché la giurisprudenza ivi richiamata).
4.1. Alla stregua di tali principi consegue che la sanzione di nullità colpisce non solo le sentenze che siano del tutto prive di motivazione dal punto di vista grafico (che sembra potersi ritenere mera ipotesi di scuola) o quelle che presentano un «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e che presentano una «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile» (cfr. Cass. S.U. n. 8053 del 2014; conf. Cass. n. 21257 del 2014), ma anche quelle che contengono una motivazione meramente apparente, del tutto equiparabile alla prima più grave forma di vizio, perché dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, la motivazione addotta dal giudice è tale da non l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato» (cfr. Cass. n. 4448 del 2014), venendo quindi meno alla finalità sua propria, che è quella di esternare un <<ragionamento che, partendo da determinate premesse prevenga con un certo procedimento enunciativo>>, logico e consequenziale, <<a spiegare il risultato cui si previene sulla res decidendi>> (Cass. Cit.; v. anche Cass., Sez. un. n. 22232 del 2016 e la giurisprudenza ivi richiamata).
4.2. Deve quindi ribadirsi il principio più volte affermato da questa Corte secondo cui la motivazione è solo apparente – e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo – quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., Sez. U, Sentenza n. 22232 del 2016, Rv. 641526-01; conf Cass., Sez. 6-5, Ordinanza n. 14927 del 2017).
4.3. Va altresì ricordato che «La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione» (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).
5. La motivazione della sentenza impugnata rientra paradigmaticamente nelle gravi anomalie argomentative individuate in detti arresti giurisprudenziali, dunque, concretizzando un chiaro esempio di “motivazione apparente” e comunque “perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, si pone sicuramente al di sotto del “minimo costituzionale”.
5.1. La CTR, infatti, ha rigettato l’appello del contribuente affermando che «dall’esame della documentatone in atti risulta, così come notato dai giudici di prime cure, che la cartella in questione era stata regolarmente notificata il 31-1-2005, mediante la procedura prevista dagli artt. 139 e 140 c.p.c.». Orbene, tali considerazioni/affermazioni, specie se ragguardati alla stregua dei motivi di appello proposti dal contribuente, che aveva contestato anche la mancata prova della consegna della raccomandata informativa, non estrinsecano il percorso argomentativo che ha indotto i giudici di appello a tale convincimento e pertanto nel loro – limitato – ordito realizzano un tipico esempio di “motivazione apparente”, così come denunciato nella censura de qua, posto che non è dato comprendere quale documentazione la CTR ha esaminato e la valenza probatoria della stessa. Peraltro, in analogo vizio incorre la sentenza impugnata là dove dichiara assorbiti motivi di illegittimità dell’intimazione di pagamento pure proposti dal ricorrente.
6. A ciò aggiungasi che è del tutto irrilevante la successiva conoscenza dell’iscrizione a ruolo desumibile dall’istanza di sgravio della cartella impugnata, presentata dal contribuente, contrariamente a quanto sostenuto dalla CTR, secondo cui «lo stesso ricorrente, in data 18-1-2008, presentava un’istanza al Comune di Lecce per la cessazione della cartella esattoriale relativa alla tassazione dello smaltimento rifiuti solidi urbani intestata alla P.R. e C. S.a.S., dimostrando, con tale atto, di conoscere i ruoli iscritti a tale titolo».
6.1. Al riguardo, infatti, deve ricordarsi che «In tema di contenzioso tributario, solo la piena conoscenza dell’atto da parte del contribuente consente il consapevole esercizio del diritto di impugnativa», e «la ratio della previsione secondo cui al contribuente non va – di regola – notificato l’estratto di ruolo, bensì la cartella di pagamento nella quale il ruolo viene trasfuso, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 25 e 26, risiede proprio nell’esigenza di rendere ostensibili al medesimo le ragioni ed i presupposti che hanno dato origine alla pretesa fiscale azionata dall’Amministrazione finanziaria» (cfr. Cass., Sez. 5, Sentenza n. 7874 del 17/04/2015, Rv. 635301) con la conseguenza che l’acquisizione da parte del contribuente di una copia dell’estratto di ruolo importante l’indicazione di avvenuta iscrizione a ruolo di quanto poi trasfuso nella relativa cartella di pagamento, avente il valore di una mera informazione di un fatto verificatosi, non può assurgere a prova della piena conoscenza dell’atto impositivo impugnabile, ai fini della decorrenza del termine di cui al d.lgs. n. 546 del 1992, art. 21, potendo legittimare al più l’impugnazione, peraltro facoltativa, del solo estratto di ruolo.
6.2. D’altro canto le Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 19704 del 2015, hanno puntualizzato che l’estratto di ruolo è un documento non previsto da alcuna disposizione di legge, un elaborato informatico creato dal concessionario della riscossione a richiesta dell’interessato, contenente unicamente gli “elementi” di un atto impositivo e non una pretesa impositiva, diretta o indiretta (essendo l’esattore carente del relativo potere), ed è pertanto, in quanto tale, non impugnabile sia perché trattasi di atto non rientrante nel novero degli atti impugnabili ai sensi dell’art.19 del d.lgs. 546/92 sia perché trattasi di atto per il cui annullamento il debitore manca di interesse (ex art. 100 c.p.c.) non avendo alcun senso l’eliminazione di esso dal mondo giuridico, senza incidere su quanto in esso rappresentato (in linea con la sentenza delle Sezioni Unite, v. Cass. ordinanza n.22184 del 22/09/2017; Cass. sentenza n. 6610 del 15/03/2013). Con la ricordata pronuncia del Supremo consesso e con varie pronunce successive delle Sezioni semplici (Cass. 11439/2016; Cass. 20611/2016) è stato tuttavia anche evidenziato che le cose stanno diversamente là dove l’impugnazione investa l’estratto di ruolo per il suo contenuto, ossia in riferimento agli atti che nell’estratto di ruolo sono indicati e riportati e cioè il ruolo e la cartella, mai notificati. In tal caso sussiste evidentemente l’interesse ad agire e sussiste anche la possibilità di farlo non ostandovi “l’ultima parte del comma 3 dell’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, in quanto una lettura costituzionalmente orientata impone di ritenere che l’impugnabilità dell’atto precedente non notificato unitamente all’atto successivo notificato – impugnabilità prevista da tale norma – non costituisca l’unica possibilità di far valere l’invalidità della notifica di un atto del quale il contribuente sia comunque venuto legittimamente a conoscenza e quindi non escluda la possibilità di far valere l’invalidità stessa anche prima, giacché l’esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale non può essere compresso, ritardato, reso più difficile o gravoso, ove non ricorra la stringente necessità di garantire diritti o interessi di pari rilievo, rispetto ai quali si ponga un concreto problema di reciproca limitazione” (Cass. n. 19704/2015); ovviamente l’impugnazione dell’estratto di ruolo è soggetta al rispetto del termine generale previsto dall’art. 21 del d.lgs.546 del 1992, essendo ininfluente la facoltatività dell’impugnazione dell’estratto, per la permanenza, in capo al contribuente, del diritto di impugnare anche il primo atto impositivo tipico successivamente notificatogli (cfr., in motivazione, Cass., Sez. 5, Sentenza n. 27799 del 31/10/2018, Rv. 651082).
7. Pertanto, alla stregua delle suesposte considerazioni, va accolto il secondo motivo di ricorso, assorbito il primo, la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata alla competente CTR perché riesamini la vicenda processuale alla stregua dei suesposti principi, fornendo congrua motivazione, e provveda altresì a regolamentare le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbito il primo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Commissione tributaria regionale della Puglia, Sezione staccata di Lecce, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.