CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 09 settembre 2021, n. 24256
Tributi – Accertamento – Fatture per operazioni oggettivamente inesistenti – Ripartizione dell’onere di prova
Rilevato che
I fatti di causa sono riassunti nella impugnata sentenza come segue: avverso sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Caserta l’Agenzia delle Entrate, soccombente, proponeva distinti atti di gravame nei confronti di Z. sas di F.A. (società in atti pacificamente cancellata dal registro delle imprese in data 15.12.2006) e di B.G., socio unico della stessa; si costituiva quest’ultimo, il quale svolgeva pure appello incidentale con il quale riproponeva le ragioni pregiudiziali disattese espressamente in primo grado e quelle rimaste assorbite o non esaminate.
La CTR – premesso di poter prescindere dalle questioni pregiudiziali attinenti alla dedotta invalidità di un avviso di accertamento nei confronti di una società estinta – ha rigettato gli appelli dell’Ufficio.
Il giudizio di primo grado – ha osservato la CTR, con riguardo al primo motivo dell’appello – si è formato sulla inconsistenza della prova offerta dall’Ufficio, la cui pretesa impositiva ha per oggetto operazioni oggettivamente inesistenti tra la società cessionaria Realizzazioni e Bonifiche Arezzo spa e la cedente Z. sas; tali fatture, utilizzate dalla cessionaria, sono state giudizialmente disconosciute dalla società parte dell’odierno contenzioso come non di sua provenienza, con la conseguenza che la CTP ha concluso per l’accoglimento del ricorso di parte contribuente sul decisivo rilievo che l’unica documentazione recata dall’Ufficio sarebbe stata costituita da copia delle fatture, non sottoscritte dalla parte e da questa giudizialmente disconosciute.
Con riguardo poi alla restante parte dell’appello, con cui l’Ufficio assume di avere recato in giudizio utili elementi di fatto tali da fare presumere la inconsistenza delle operazioni, la CTR afferma di condividere la decisione della CTP laddove, con riferimento alle Fatture di cui si parla, ha rilevato “l’assenza di prova pertinente riguardo al punto controverso, e cioè la riconducibilità di quei documenti cartolari utilizzati dalla Realizzazioni e Bonifiche spa alla emissione della Z. sas. Tutti gli elementi introdotti in accertamento confermano la inesistenza delle operazioni i cui costi o la cui imposta IVA sono stati dedotti o detratti dalla Realizzazioni e Bonifiche, ma nessuno prova la emissione delle fatture false da parte di Z. sas, che è appunto il fatto da provare per rendere operativo l’obbligo del pagamento della intera IVA esposta a fondare la presunzione di reddito illecito”. Osserva ancora la CTR che “la documentazione contabile in atti di sistema riferita alla Z. sas conferma l’eccepita falsità delle fatture e dunque la non attribuibilità della emissione alla medesima”, aggiungendo che l’Ufficio si è limitato a operare “deduzioni dalla falsa dichiarazione della Realizzazioni e Bonifiche spa e dalle fatture rinvenute, delle quali però manca la prova di effettiva emissione e provenienza dalla Z. sas, di cui recano solo la indicazione, ma che ben possono essere formate da altri, mancando appunto -come rilevato dal giudice di primo grado- di qualsiasi elemento di riferibilità” per concludere evidenziando che la stessa Agenzia rappresenta “elementi che confermano la falsità cartolare delle fatture”, che lo stesso sistema informatico dell’Agenzia attesta che Z. sas non ha emesso le fatture, che tra le due società non risulta alcun collegamento e che, in definitiva, l’Ufficio non ha fornito la prova – il cui onere, su di esso gravante, nasceva dal disconoscimento operato dalla contribuenteche le fatture erano state emesse da Z. e dunque fossero ad essa riferibili.
– In conclusione la CTR rigettava l’appello principale -previa riunione dei distinti atti di gravame- e dichiarava assorbito l’appello incidentale.
– Per la cassazione di tale sentenza l’Agenzia delle Entrate propone ricorso -affidato a due motivi- illustrato da memoria, al quale resiste con controricorso parte contribuente.
Considerato che
I motivi di cui consta il ricorso recano: li) “Violazione e falsa applicazione degli articoli 14, comma 4, legge 537/1993; 21, comma 7, DPR 633/1972; 33 e 41 bis DPR 600/1973; 2697 e ss. C.c., in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c.”; 2) “Violazione e falsa applicazione degli articoli 112 e 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.”.
Con il primo motivo la ricorrente premette che la CTR ha annullato l’atto impositivo per infondatezza della pretesa fiscale e, nel merito della controversia, ha dato preliminarmente per pacifico che le operazioni oggetto dei rilievi impositivi sono inesistenti.
Fatta questa premessa, la CTR ha affermato che gli atti impositivi sarebbero illegittimi in quanto l’Ufficio non avrebbe fornito la prova del coinvolgimento della società contribuente nell’operazione contestata.
– Il motivo è fondato.
La CTR basa la propria decisione sul fatto che le fatture relative alle operazioni inesistenti non sarebbero state emesse dalla società odierna resistente, che le avrebbe disconosciute. Invero il regime probatorio in materia prevede che, in prima battuta, l’Amministrazione fornisca elementi probatori in ordine alla mancata effettuazione della operazione fatturata, passando poi l’onere probatorio in capo a parte contribuente. Nella fattispecie, l’Ufficio ha provveduto, per parte sua, attraverso alcuni elementi presuntivi, dettagliatamente esposti, rinvenibili nell’avviso di accertamento alla pagg. 4 e 5 (riportate dalla ricorrente in ricorso in ossequio al principio di autosufficienza), sicchè l’atto impositivo viene a basarsi su elementi diversi dalle fatture, mentre dall’altra parte nessun elemento contrario è stato recato se non quello attinente al disconoscimento, da parte della contribuente, delle fatture in questione.
Concludendo sul punto, si evidenzia che la CTR afferma in maniera netta che “tutti gli elementi introdotti in accertamento confermano la inesistenza delle operazioni”, salvo poi soggiungere c:he difetta la prova che le fatture siano state emesse dalla odierna resistente e, pure recando l’indicazione della Z. sas, non sono però ad essa riferibili.
Così decidendo la sentenza impugnata resta censurabile -ad avviso del collegio che intende dare continuità ad un consolidato orientamento giurisprudenziale in materia (cfr., di recente ord. 7.3.2019 n. 6643)- in virtù del fatto che ha imposto all’Ufficio l’onere pieno ed esclusivo della prova (laddove il regime probatorio che regola la materia è quello sopra descritto, in forza del quale, mentre l’Ufficio ha fornito elementi presuntivi, la contribuente ha omesso di offrire la necessaria prova contraria) dando rilievo al disconoscimento delle fatture, omettendo di valutare l’inerzia della società in ordine al fatto -innegabilmente non irrilevante- della emissione delle fatture a suo nome ad opera di terzi soggetti; in conclusione la CTR non fatto corretto uso delle norme che regolano l’onere della prova, ponendo in essere una inversione dello stesso in danno della ricorrente, avendo preso le mosse dall’erroneo presupposto che l’unico elemento da provare fosse costituito dalla riferibilità o meno delle fatture e non invece la partecipazione o meno della odierna controricorrente al rapporto fraudolento.
– Accolto il primo motivo, il secondo motivo resta assorbito; la sentenza impugnata va cassata con rinvio, anche per le spese, alla Commissione Tributaria Regionale della Campania in diversa composizione.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo, assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, in diversa composizione.
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