CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 09 settembre 2021, n. 24407
Rapporto di lavoro – Espletamento delle mansioni di vulcanizzatore – Risarcimento dei danni non patrimoniali – Reato di omicidio colposo – Responsabilità
Rilevato che
La Corte d’appello di Lecce sez. distaccata di Taranto, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, condannava S.S. e la R.S. s.r.l. al risarcimento dei danni non patrimoniali, spettanti jure hereditatis, in favore di A.C., M.G.D. e L.D., per il decesso del dante causa V.D., riconducibile causalmente alla inalazione di sostanze tossiche protrattasi nel corso dell’espletamento delle mansioni di vulcanizzatore svolte alle dipendenze della surrichiamata . società, che quantificava nella misura di euro 585.521,00;
nel proprio incedere argomentativo – con il quale perveniva all’accoglimento parziale dell’appello incidentale proposto dagli eredi D. all’esito della reiezione di quello principale – il giudice di seconda istanza, in estrema sintesi, osservava che:
a) la responsabilità del datore di lavoro (accertata in sede penale per il reato di omicidio colposo con sentenza di questa Corte n.35273/2008), sussisteva anche nel caso scrutinato, in cui si atteggiava quale elemento concausale nella dinamica produttiva dell’evento dannoso, per aver il D. contratto altresì una epatite virale cronica da epatite B e C;
b) la liquidazione del danno, diversamente da quanto accertato dal giudice di prima istanza, andava modulata alla stregua delle tabelle milanesi, invece che di quelle locali, secondo i principi sanciti dai consolidati arresti della giurisprudenza di legittimità, volti a privilegiare il canone della uniformità di trattamento in tema di danno, sulla base del territorio nazionale;
c) il danno biologico puro andava liquidato nella misura del 80% (pari ad euro 461.409,00) il danno morale nella misura di euro 84.000,00 (pari ad euro 500,00 al mese per 14 anni,) e il danno tanatologico pari ad euro 40.000,00;
avverso tale decisione gli eredi D. interpongono ricorso per cassazione affidato a due motivi;
resistono con controricorso S.S. e la R.S. s.r.l. i quali dispiegano ricorso incidentale sostenuto da tre motivi, ai quali le controparti oppongono difese con controricorso ai sensi degli artt. 370-371 c.p.c.
Considerato che
1. con il primo motivo del ricorso principale si denuncia nullità della sentenza per violazione degli artt.132, 115 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. e 111 Cost. in relazione all’art.360 comma 1 n.4 c.p.c.;
si stigmatizza la decisione impugnata per omessa pronuncia in ordine al motivo di appello con il quale era stata censurata la liquidazione del danno mediante l’utilizzazione della invalidità nella misura dell’80% in luogo di quella del 100% e la decurtazione ulteriore praticata in relazione alla percezione da parte del danneggiato, della pensione Inail; si deduce che con motivazione apparente, i giudici del gravame abbiano proceduto alla quantificazione del danno non patrimoniale rivendicato, non essendo chiarito il ragionamento seguito per la formazione del proprio . convincimento;
2. il secondo motivo concerne violazione degli artt. 1223 e 2056 c.c. in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c. e violazione dell’art.112 c.p.c. ex art.360 comma 1 n.4 c.p.c.;
in subordine, per l’ipotesi in cui la sentenza impugnata dovesse essere interpretata come pronuncia di rigetto, si ripropongono le doglianze già formulate in sede di gravame in ordine alla violazione delle disposizioni codicistiche in tema di liquidazione del danno;
3. con il primo motivo del ricorso incidentale si denuncia violazione e falsa applicazione degli arttt. 1226, 2043, 2056, 2059, 2727 c.c. nonché degli artt. 2 e 3 Cost. in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c.;
si deduce che i giudici del gravame non avevano tenuto conto delle preesistenti condizioni di salute del lavoratore, pervenendo alla liquidazione del danno senza tener conto della patologia epatica da cui era affetto; si rimarca che con precedente sentenza penale del Pretore di Taranto in data 18/5/1998, èra stata disposta condanna del S. per il reato di lesioni colpose, sotto il profilo del solo aggravamento dello stato morboso diagnosticato stigmatizzandosi gli esiti ai quali era pervenuta la pronuncia impugnata, per non aver assunto detto accertamento quale elemento fondamentale della decisione “allorché si passava dall’an al quantum debeatur”;
4. il secondo motivo prospetta violazione o falsa applicazione degli artt. 1226, 2043, 2056, 2059, 2727 c.c. nonché dell’art. 3 Cost.in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c.;
si critica l’adozione quale criterio di liquidazione del danno, delle tabelle di Milano in luogo di quelle di Lecce, che maggiormente teneva conto delle condizioni del territorio, sollecitando la necessità di procedere ad una liquidazione che tenesse conto “di tutte le circostanze del caso, allegate e provate (sia pur per presunzioni)”;
5. con il terzo motivo si denuncia degli artt. 1226, 2043, 2056, 2059, 2727 c.c. nonché dell’art.3 Cost.in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c.;
si richiamano (PUNTO A) le considerazioni svolte in grado di appello con riferimento alla circostanza che il D. fosse portatore di epatopatia sin da epoca precedente alla assunzione;
si ribadisce che con sentenza n.273/2000 la Corte d’appello di Lecce sez. dist. Taranto aveva accertato che dal 1989 da parte datoriale, si era fatto tutto il possibile per evitare il danno alla salute del dipendente;
si criticano (PUNTO B) le risultanze della c.t.u. e la liquidazione del danno tanatologico disposta in sede di merito richiamandosi le censure già formulate in appello, avverso la sentenza di primo grado;
6. deve esaminarsi con priorità il ricorso incidentale proposto dai controricorrenti;
nel giudizio di cassazione, il ricorso incidentale non condizionato, con cui vengano proposte questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito la cui decisione, secondo l’ordine logico e giuridico, debba precedere quella del merito del ricorso principale, va esaminato con priorità rispetto a quest’ultimo, indipendentemente dalla rilevabilità d’ufficio delle questioni proposte poiché l’interesse all’impugnazione sorge per il solo fatto che il ricorrente incidentale è soccombente sulla questione pregiudiziale o preliminare decisa in senso a lui sfavorevole, così da rendere incerta la vittoria conseguita sul merito dalla stessa proposizione del ricorso principale e non già dalla sua eventuale fondatezza (vedi ex aliis, Cass. 31/10/2014 n. 23271); tanto giustifica l’esame nell’ordine logico delle questioni indicato dall’art.276, secondo comma, cod. proc. civ. applicabile, ai sensi dell’art. 141 disp. att. cod. proc. civ., anche nel giudizio di cassazione;
è dunque, prioritario l’esame della questione inerente al rapporto fra il giudicato penale concernente la sentenza di condanna del S. per il reato di omicidio colposo e gli accertamenti desumibili dal pregresso giudizio penale per lesioni colpose (successivamente conclusosi con proscioglimento dell’imputato per prescrizione), sollevata dai controricorrenti con il primo motivo ed il terzo motivo di ricorso, affinché “della situazione di fatto esistente e documentata” inerente alla diagnosticata patologia epatica di natura extralavorativa, si tenesse conto ai fini della liquidazione dei danni non patrimoniali;
7. la doglianza va disattesa per le ragioni di seguito esposte;
secondo l’insegnamento di questa Corte, invero, la sentenza del giudice penale che, accertando l’esistenza del reato, abbia altresì pronunciato condanna definitiva dell’imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile, demandandone la liquidazione ad un successivo e * separato giudizio, spiega, in sede civile, effetto vincolante in ordine all’affermata responsabilità dell’imputato, che non può più contestarne i presupposti (quali, in particolare, l’accertamento della sussistenza del fatto reato), nonché alla “declaratoria iuris” di generica condanna al risarcimento ed alle restituzioni (vedi Cass. 27/8/2014 n.18352);
il Giudice penale, in tal caso, è stato infatti chiamato ad accertare anche i fatti costitutivi dell’illecito ex art. 2043 c.c., sia in relazione all’aspetto psicologico della condotta, sia in relazione al collegamento di causalità materiale tra condotta ed evento lesivo con la conseguenza che la sentenza del giudice penale che, accertando l’esistenza del reato ovvero dichiarando “il reato estinto per amnistia o per prescrizione” ex art. 578 c.p.p., abbia altresì pronunciato condanna generica irrevocabile dell’imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile, demandandone la liquidazione ad un successivo e separato giudizio, spiega, in sede civile, effetto vincolante in ordine all’affermata responsabilità dell’imputato, che non può più contestarne i presupposti (quali, in particolare, l’accertamento della sussistenza del fatto reato), nonché effetto vincolante quanto alla “declaratoria juris” di generica condanna al risarcimento ed alle restituzioni (vedi in motivazione, Cass. 9/3/2018 n.5660);
quando, come nella specie, si sia svolto il giudizio in sede penale con la costituzione della parte civile, ogni questione inerente alla sussistenza di una concausa di origine virale nella eziologica della patologia che ha condotto all’exitus il lavoratore, quale quella sollevata da parte, controricorrente, non può sortire effetti nel presente giudizio, non essendo controvertibile alcuna questione già oggetto del dibattito penale ai sensi dell’art.651 c.p.p.;
da ciò consegue che il primo e il terzo motivo, da trattarsi congiuntamente stante la connessione logica -e giuridica che li connota, devono ritenersi privi di fondamento;
8. del pari va disatteso il secondo motivo, che non si confronta con la ratio della decisione la quale, nell’adottare il paradigma di riferimento per la liquidazione della obbligazione risarcitoria gravante sulla parte datoriale, ha fatto richiamo alle cd. tabelle milanesi, facendo leva sulla esigenza di assicurare il principio di equità mediante l’applicazione di un parametro uniforme su scala nazionale, non compatibile con la adozione di tabelle aventi uno spettro applicativo a livello locale, prospettata dalla parte datoriale;
i controricorrenti si sono infatti limitati ad argomentare genericamente che vertendosi in tema di “pretium doloris” da erogare, si dovesse tener conto delle condizioni del territorio in cui lo stesso dovesse essere utilizzato;
si tratta di mera argomentazione non sviluppata mediante specifiche ed esaurienti argomentazioni, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità; per contro deve rilevarsi che la statuizione, in tema, emessa dalla Corte di merito è del tutto congrua e conforme a diritto perché si colloca sulla scia della giurisprudenza di legittimità, ormai approdata alla definizione in termini di efficacia para-normativa delle Tabelle predisposte dal Tribunale di Milano, in quanto concretizzanti il criterio della liquidazione equitativa di cui all’art. 1226 c.c. (vedi di recente, Cass. 6/5/2020 n.8532);
in definitiva, al lume delle sinora esposte considerazioni, il ricorso incidentale va respinto;
9. è invece fondato il ricorso principale proposto dagli eredi D., nei sensi che si vanno ad esporre;
parte ricorrente, conformandosi al principio di specificità che governa il ricorso per cassazione, ha testualmente riprodotto il tenore dell’atto di appello, con il quale attingeva la statuizione della pronuncia del giudice di prima istanza inerente alla quantificazione del risarcimento del danno, modulata secondo “il paramentro dell’invalidità del 80%” riferita dal CTU all’invalidità riscontrata nel triennio antecedente all’exitus del lavoratore; stigmatizzava altresì la decurtazione del quantum in considerazione “dell’intervenuta percezione da parte del danneggiato della pensione di . invalidità Inail” e censurava il ristoro del danno biologico definito alla stregua del parametro della vita effettiva del danneggiato e non della vita media;
deve al riguardo rilevarsi che sussiste il denunciato error in procedendo sotto tutti i profili, delineati erilevanti in giudizio;
in nessuna parte della motivazione della sentenza impugnata vi è traccia di argomentazione riferibile alla questione de qua, ritualmente sollevata dai ricorrenti in sede di gravame, né si può indurre che la stessa sia stata decisa implicitamente dal giudice di appello;
così la Corte distrettuale ha indubbiamente violato il principio di diritto consolidato nella giurisprudenza di questa Corte alla cui stregua «Il vizio di omessa pronuncia su una domanda o eccezione di merito, che integra una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto pronunciato ex art. 112 cod. proc. civ., ricorre quando vi sia omissione di qualsiasi decisione.
su di un capo di domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisca un bene all’attore o al convenuto e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto» (Sez. 5, Sentenza n. 7653 del 16/05/2012, Cass. 28308 del 27/11/2017, Cass. 18797 del 16/07/2018);
e questo è il caso di cui si discute, essendo la Corte distrettuale negli esiti applicativi del proprio iter argomentativo, pervenuta alla quantificazione del risarcimento del danno rivendicato da parte ricorrente, omettendo ogni pronuncia in ordine alle censure formulate e così incorrendo in violazione del disposto di cui all’art.112.c.p.c. tale da determinare la nullità in parte qua, della decisione gravata;
in tali sensi il ricorso principale merita accoglimento, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte d’appello designata in dispositivo il che provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di cassazione;
trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi del comma 1 quater all’art. 13 DPR 115/2002 – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti in via incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso incidentale a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, ove dovuto;
P.Q.M.
Accoglie il ricorso principale, rigetta il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Lecce sez. dist. di Taranto in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio;
trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi del comma 1 quater all’art. 13 DPR 115/2002 – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti in via incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso incidentale a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, ove dovuto;