CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 aprile 2019, n. 10009
Tributi – TARSU – Aree produttive di rifiuti speciali (magazzino e deposito merci) – Rifiuti di imballaggi terziari – Esenzione – Condizioni
Rilevato che
1. La società L.S.D. s.r.l. impugnava la cartella esattoriale relativa a Tarsu per gli anni di imposta 2006 e 2007, eccependone l’illegittimità per aver il comune tassato le aree produttive di rifiuti speciali (magazzino e deposito merci) non assimilabili agli urbani, dove, svolgendo attività di logistica automatizzata di colli, produceva imballaggi terziari per i quali essa provvedeva all’auto-smaltimento.
La C.T.P. di Lodi respingeva il ricorso, sul presupposto che gli imballaggi dovevano ritenersi assimilabili ai rifiuti solidi urbani per i quali era allestito il servizio di raccolta.
La società impugnava la sentenza della C.T.P. censurandola nella parte in cui aveva ritenuto che i rifiuti speciali fossero assimilabili agli urbani in violazione del decreto Ronchi e del regolamento comunale che escludono dalla tassazione le aree dove si producono rifiuti speciali non assimilati e non assimilabili, come quelli da essa prodotti, invocando il divieto di assimilazione degli imballaggi terziari.
2. In particolare, la CTR lombarda, nell’accogliere il gravame, accertava la natura dei rifiuti prodotti dalla società che, svolgendo servizi di logistica integrata consistente nella movimentazione automatizzata di colli preconfezionati, produceva imballaggi terziari classificati dal cit. art. 7 come speciali, nonché lo smaltimento dei rifiuti medesimi mediante smaltitore privato autorizzato, come dai contratti di servizi prodotti, modelli Mud allegati e inoltrati al Comune per ottenere l’esenzione.
Una volta affermata la natura dei rifiuti come imballaggi terziari, i giudici regionali escludevano l’assimilabilità dei rifiuti in questione, vietata come previsto dal d.lgs n. 22/97 (confermata dal nuovo codice dell’ambiente), in quanto esclusi dal ciclo della gestione dei rifiuti urbani e dunque inconferibili al servizio pubblico, statuendo che in ogni caso i giudici di primo grado avrebbero dovuto verificare l’esistenza di una eventuale assimilazione con delibera comunale.
Il Comune ricorre per la cassazione della sentenza della C.T.R. della Lombardia n. 197/34/13, che ha accolto l’appello proposto avverso la sentenza di primo grado, affidandosi ad un unico motivo, illustrato nel ricorso.
La società L.S.D. – oggi società L. in liquidazione – resiste con controricorso.
Motivi della decisione
3, Con un unico articolato motivo l’ente ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. dell’art. 62 del D.lgs 507/93, dell’art. 7 d.lgs 22/97 nonché dell’art. 5 del reg. comunale; per avere i giudici regionali errato nel qualificare i rifiuti prodotti dalla società logistica come rifiuti speciali pericolosi e per non aver considerato che, ai sensi della delibera consiliare n. 24 del 30 giugno 1998, il comune aveva assimilato i rifiuti speciali a quelli urbani; potere di assimilazione riconosciuto dall’art. 21 del decreto Ronchi, il quale consente ai comuni di assimilare i rifiuti speciali non pericolosi a quelli urbani. La società, del resto, mai aveva impugnato la delibera, né aveva contestato l’effettiva attivazione del servizio di raccolta.
Deduce, di poi, che, escluso che la società ricorrente producesse rifiuti speciali pericolosi, l’esenzione avrebbe potuto essere riconosciuta solo nel caso in cui la stessa avesse dimostrato l’avvio al recupero dei rifiuti medesimi, nel qual caso non sarebbe prevista la detassazione, ma una riduzione della tassa che il comune ha facoltà di stabilire con apposita regolamentazione.
4. La società contribuente ha eccepito la novità dell’allegazione difensiva relativa all’assimilazione degli imballaggi terziari ai rifiuti urbani secondo il regolamento comunale del 30.06.1998 depositato per la prima volta nel presente giudizio.
5. L’amministrazione locale, nel censurare la violazione degli artt. 62 d.lgs. n. 507/93 e 5 del reg. comunale citati, ha introdotto surrettiziamente una rivisitazione del merito della controversia, limitandosi a contrapporre alle argomentazioni dei giudici di merito proprie valutazioni su elementi di fatto (individuazione areè, natura rifiuti). Ne consegue che non appare sufficiente l’astratto e generico riferimento alle menzionate norme per censurare la declaratoria di illegittimità dell’atto impositivo, essendo, invece, indispensabile che il ricorrente indichi – censura mancante – in modo specifico non solo i canoni in concreto non ossérvati, ma anche e soprattutto il modo in cui il giudice si sia da essi discostato (Cass. n. 16175/2017).
6. In ogni caso, osserva la Corte che la CTR ha correttamente deciso, con la conseguente infondatezza della censura.
7. Con riferimento alla dedotta assimilazione degli imballaggi terziari, vale osservare che il Titolo 2^ (specificamente dedicato alla “gestione degli imballaggi”) del decreto Ronchi, premesso che la gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio è disciplinata “sia per prevenirne e ridurne l’impatto sull’ambiente ed assicurare un elevato livello di tutela dell’ambiente, sia per garantire il funzionamento del mercato e prevenire l’insorgere di ostacoli agli scambi, nonché distorsioni e restrizioni alla concorrenza”, ai sensi della citata direttiva 94/62/CE (art. 34, comma 1), ha disposto che:
a) gli imballaggi si distinguono in primari (quelli costituiti da “un’unità di vendita per l’utente finale o per il consumatore”), secondari o multipli (quelli costituiti dal “raggruppamento di un certo numero di unità di vendita”) e terziari (quelli concepiti “in modo da facilitare la manipolazione ed il trasporto di un certo numero di unità di vendita oppure di imballaggi multipli”) (art. 35, comma 1);
b) “i produttori e gli utilizzatori sono responsabili della corretta gestione ambientale degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio generati dal consumo dei propri prodotti”; oltre ai vari obblighi in tema di raccolta, riutilizzo, riciclaggio e recupero dei rifiuti di imballaggio, sono a carico dei produttori e degli utilizzatori i costi per – fra l’altro – la raccolta dei rifiuti di imballaggio secondari e terziari, la raccolta differenziata dei rifiuti di imballaggio conferiti al servizio pubblico, il riciclaggio e il recupero dei rifiuti di imballaggio, lo smaltimento dei rifiuti di imballaggio secondari e terziari (art. 38);
c) “dal 1 gennaio 1998 è vietato immettere nel normale circuito di raccolta dei rifiuti urbani imballaggi terziari di qualsiasi natura. Dalla stessa data eventuali imballaggi secondari non restituiti all’utilizzatore dal commerciante al dettaglio possono essere conferiti al servizio pubblico solo in raccolta differenziata, ove la stessa sia stata attivata” (art. 43, comma 2).
Infine, l’art. 49, compreso nel Titolo 3^, ha istituito la “tariffa per la gestione dei rifiuti urbani” (usualmente denominata TIA, “tariffa di igiene ambientale”), in sostituzione della soppressa TARSU, prevedendo, in particolare, nella modulazione della tariffa, agevolazioni per la raccolta differenziata, “ad eccezione della raccolta differenziata dei rifiuti di imballaggio, che resta a carico dei produttori e degli utilizzatori” (comma 10), e disponendo altresì che “sulla tariffa è applicato un coefficiente di riduzione proporzionale alle quantità di rifiuti assimilati che il produttore dimostri di aver avviato al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua” detta attività (comma 14). Va poi ricordato che i termini del regime transitorio per la soppressione della TARSU e l’operatività della TIA – regime introdotto dal D.P.R. n. 158 del 1999, modificato dalla L. n. 488 del 1999, art. 33, salva la possibilità per i comuni di introdurre in via sperimentale la TIA – hanno subito varie proroghe e che, infine, il D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 238 (recante “Norme in materia ambientale”) ha soppresso tale tariffa, sostituendola con una nuova – “tariffa integrata ambientale”, come definita dal D.L. n. 208 del 2008, convertito nella L. n. 13 del 2009, cd. TIA 2 -, e l’art. 264 ha abrogato l’intero D.Lgs. n. 22 del 1997 (sia pur prevedendo anche in questo caso una disciplina transitoria: v. Cass. 17488, 17487, 22981, 22890, 226637, 22545 del 2017; Cass. 10812 del 2016 e n. 41291 del 2016).
6. L’art. 238 del d.lgs. n. 152 del 2006 (Codice dell’Ambiente), che ha istituito la nuova “tariffa” sui rifiuti TIA 2, destinata a sostituire quella di cui al d.lgs. n. 22 del 1997, ha previsto al comma 1, che: “la tariffa di cui all’art. 49 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, è soppressa a decorrere dall’entrata in vigore del presente articolo, salvo quanto previsto dal comma 11″, il quale recita che sino alla emanazione del regolamento di cui al comma 6 e fino al compimento degli adempimenti per l’applicazione della tariffa continuano ad applicarsi le discipline regolamentari vigenti”.
Invero, il regolamento ministeriale di cui sopra non è stato adottato (entro il prorogato termine del 30 giugno 2010), pertanto sono rimaste in vigore, ed applicate dai Comuni nei rispettivi territori, per quanto qui d’interesse, sia la TARSU che la TIA 1 alla quale sono stati estesi i criteri di determinazione della TARSU.
Ciò premesso, il quadro normativo rimane quello costituito dal d.lgs. n. 507 del 1993 e dal d.lgs. n. 22 del 1997.
8. Questa Corte ha già statuito che per effetto dell’art. 17, comma terzo, della legge 24 aprile 1998, n. 128, che ha abrogato l’art. 39 della legge 26 febbraio 1994, n. 146, è venuta meno l’assimilazione “ope legis” ai rifiuti urbani di quelli provenienti dalle attività artigianali, commerciali e di servizi, purché aventi una composizione merceologica analoga a quella urbana, secondo i dettagli tecnici contenuti nella deliberazione CIPE del 27 luglio 1984, con la conseguenza che è divenuto pienamente operante l’art. 21, comma 2, lettera g), del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, che ha attribuito ai Comuni la facoltà di assimilare o meno ai rifiuti urbani quelli derivanti dalle attività economiche.
Con l’entrata in vigore del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, e quindi a partire da tale annualità d’imposta, era stato restituito ai comuni (Cass. nn. 18303/2004,18382/2004) il potere di assimilare ai rifiuti urbani ordinari alcune categorie di rifiuti speciali, anche “per qualità e quantità” (art. 21, comma 2, lett. g). Il citato art. 21 consentiva l’assimilazione per qualità e quantità dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani ai fini della raccolta e dello smaltimento sulla base dei criteri fissati dallo Stato con Deliberazione CI 27 luglio 1984 (punto 1.1.1. lett. a), laddove erano indicati tra i rifiuti assimilabili agli urbani gli imballaggi in genere.
Ma dall’esame del Titolo 2A del decreto Ronchi si ricava che i rifiuti di imballaggio costituiscono oggetto di un regime speciale rispetto a quello dei rifiuti in genere, regime caratterizzato essenzialmente dalla attribuzione ai produttori ed agli utilizzatori della loro “gestione” (termine che comprende tutte le fasi, dalla raccolta allo smaltimento) (art. 38 cit.); ciò vale in assoluto per gli imballaggi terziari, per i quali è stabilito il divieto di immissione nel normale circuito di raccolta dei rifiuti urbani, cioè, in sostanza, il divieto di assoggettamento al regime di privativa comunale.
9. Ne deriva che i rifiuti degli imballaggi terziari, nonché quelli degli imballaggi secondari ove non sia attivata la raccolta differenziata, non possono essere assimilati dai comuni ai rifiuti urbani, nell’esercizio del potere ad essi restituito dall’art. 21 del decreto Ronchi e dalla successiva abrogazione della L. n. 146 del 1994, art. 39, ed i regolamenti che una tale assimilazione abbiano previsto vanno perciò disapplicati in parte qua dal giudice tributario (Cass. n. 627 del 19.10.2011; Cass. n. 627/2012; Cass. n. 4793/2016; Cass. 14414/2017; Cass. n. 6358 e 6359 del 2016).
Con la conseguenza che il regolamento comunale dovrebbe essere disapplicato nella parte in cui, come affermato, avesse previsto l’assimilazione ai rifiuti urbani dei rifiuti speciali in genere, senza prevedere l’esclusione degli imballaggi terziari.
In ogni caso, stante la non assimilabilità assoluta degli imballaggi terziari ai rifiuti urbani, la tassa in relazione agli stessi non è dovuta, indipendentemente dall’assimilazione agli urbani eventualmente operata dal Comune.
10. Va osservato, poi, che l’operata assimilazione è priva di rilevanza nel caso concreto, ove, trattandosi di imballaggi terziari, si applica la disciplina stabilita per i rifiuti speciali (D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3), e la tassa è esclusa per la sola parte della superficie in cui, per struttura e destinazione, si formano esclusivamente i rifiuti speciali, circostanza fattuale accertata dal giudice regionale.
11. Ciò non comporta, quindi, che tali categorie di rifiuti (imballaggi terziari) siano, di per sé, esenti dalla TARSU, ma che ad esse si applichi la disciplina stabilita per i rifiuti speciali, che è quella dettata dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, il quale rapporta la tassa alle superfici dei locali occupati o detenuti, stabilendo l’esclusione dalla tassa della sola parte della superficie in cui, per struttura e destinazione, si formano esclusivamente i rifiuti speciali (Cass., n. 4793 del 15.12.2015; Cass. nn. 4792 e 4793 del 2016).
12. La CTR ha correttamente escluso le aree individuate dalla società (nei MUd, nella denuncia e nel ricorso) come esenti dalla applicazione della TARSU a norma dell’art. 62, commi 2 e 3, D.Lgs. n. 507 del 1993, in quanto ha accertato che in tali aree, produttive di imballaggi terziari, l’ente contribuente provvedeva in proprio allo smaltimento dei rifiuti.
Del resto, la contestazione in ordine alle superficie nelle quali si producono imballaggi terziari viene sollevata per la prima volta solo con il ricorso per cassazione, desumendosi dalla impugnata sentenza che l’amministrazione comunale aveva negato esclusivamente la natura speciale dei rifiuti prodotti senza nulla obiettare in ordine alla quantificazione delle superficie nelle quali si producono detti rifiuti, peraltro già delimitate dalla contribuente nell’area magazzino e deposito.
In conclusione, la società, in quanto produttrice di rifiuti speciali non assimilabili (imballaggi terziari), può beneficiare di una riduzione parametrata alla intera superficie su cui l’attività viene svolta, circostanza di cui la CTR ha tenuto conto, dopo aver operato i necessari accertamenti sul punto.
13. Il ricorso va, dunque, respinto.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
– Rigetta il ricorso;
Condanna l’ente comunale alla refusione delle spese sostenute dalla controricorrente che liquida in euro 5.600,00 per compensi, oltre rimborso forfettario e accessori di legge:
– Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo dì contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
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