CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 dicembre 2018, n. 31879
Rapporto di lavoro subordinato – Accertamento – Assoggettamento al potere direttivo e disciplinare del datore – Onere probatorio
Rilevato che
1. il Tribunale di Torino, con sentenza non definitiva, aveva accertato che tra il Ristorante G. di M. D. & c. s.n.c. e P. M. G. era intercorso un rapporto di lavoro subordinato nel periodo dal 23.11.2004 al 21.8.2005, prevedente l’espletamento da parte della lavoratrice di mansioni di cuoca; con separata ordinanza, si era provveduto in ordine alla prosecuzione del giudizio;
2. con sentenza del 3.2.2014, la Corte di appello di Torino, in accoglimento del gravame proposto dalla società, respingeva le domande proposte con il ricorso introduttivo, intese, tra l’altro, al pagamento dell’importo di euro 25.684,82, o di quello eventualmente maggiore dovuto ai sensi dell’art. 36 Cost. e dell’art. 2099 c.c., con detrazione di euro 4000,00, già percepiti dalla P.;
3. la Corte osservava che la stipulazione del contratto di cessione di quote del ristorante in favore di P. M. G. e della sorella di quest’ultima, P. L. M., assumeva rilevanza sotto il profilo probatorio per la valutazione del contesto in cui il preteso rapporto di lavoro con l’appellata si sarebbe realizzato e che l’onere probatorio gravante su parte ricorrente non era risultato assolto attraverso la svolta istruttoria testimoniale, avendo trovato, anzi, elementi in contrario nella documentazione prodotta; che, in particolare, i testi non avevano dimostrato l’assoggettamento dell’appellata al potere direttivo e disciplinare di M. D. e G. G., non essendo emerso, neanche dalle deposizioni più favorevoli all’appellata, periodi certi della prestazione lavorativa, orari e contenuto delle istruzioni impartite dal M. e della G., la cui presenza nel ristorante trovava spiegazione nell’intento di agevolare il passaggio alla nuova gestione in piena autonomia delle nuove conduttrici, fino all’avvenuta rinuncia all’acquisto delle quote nell’agosto 2005 ed alla restituzione dei beni collocati nel locale in vista della trasformazione del ristorante da “cucina piemontese” in “toscana”;
4. di tale decisione ha domandato la cassazione M. G. P., affidando l’impugnazione a due motivi, cui hanno resistito, con controricorso, la società e M. D.; G. G. è rimasta intimata.
Considerato che
1. con il primo motivo, la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 112, 342, 346 e 434 c.p.c., violazione dell’art. 2909 c.c., omesso esame circa fatto decisivo per il giudizio, nullità della sentenza per motivazione insufficiente, illogica e contraddittoria, in violazione dell’art. 132, comma 2, c.p.c., e nullità del sentenza per violazione del giudicato interno, in relazione agli artt. 360, comma 1, nn. 3 4 e 5, c.p.c., assumendo che i motivi di gravame inerivano a P. L. M., che tale difformità era stata oggetto di rilievo nella memoria di costituzione in appello e che la Corte aveva comunque pronunciato in assenza di specifiche censure, riferite ad altro soggetto, nonostante che dovesse ritenersi formato, per tale ragione, il giudicato interno sull’accertamento di un rapporto di lavoro subordinato con essa ricorrente;
2. con il secondo motivo, la P. si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 1351, 1372, comma 2, 2733 e 2735 c.c. e degli artt. 115, 116 e 232 c.p.c., dell’omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio, della nullità della sentenza per motivazione insufficiente, illogica e contraddittoria, in violazione dell’art. 132, comma 2, c.p.c., sostenendo che la Corte abbia trascurato di considerare il modello CUD 2006 relativo all’anno 2005, in cui era indicato quale datore di lavoro il M., ciò che costituiva fatto decisivo trascurato, idoneo a fornire piena prova, ex art. 2733 e 2735 c.c., del rapporto di lavoro subordinato, stante il valore di confessione stragiudiziale attribuibile alla dichiarazione nello stesso contenuta. Si adduce che quest’ultima non era stata validamente contrastata dall’esistenza di un contratto preliminare del 1.12.2004, che, non avendo avuto esecuzione, non aveva determinato la produzione degli effetti del contratto definitivo, non ancora stipulato, e che vi erano altri riscontri documentali e testimoniali della subordinazione non valutati dalla Corte, la quale aveva anche omesso di considerare il valore della mancata risposta del M. all’interrogatorio formale deferitogli;
3. come affermato reiteratamente da questa Corte, “l’erronea indicazione di una delle parti nella intestazione e nel corpo della sentenza non comporta la nullità della decisione, sempre che si accerti che il contraddittorio si è instaurato e il processo si è svolto nei confronti della parte effettiva, ma dà luogo ad una mera irregolarità, emendabile con l’apposita procedura di correzione degli errori materiali” (cfr. Cass. 24.3.2005 n. 6399);
4. non sussiste, invero, la nullità dell’atto introduttivo del giudizio nel rito del lavoro per violazione dell’art. 414, n. 2, cod. proc. civ. qualora il nome dell’attore non risulti totalmente omesso o assolutamente incerto, ma sia solo non correttamente indicato, per eventuale errore materiale, e tanto non determini alcuna incertezza nell’identificazione della parte attrice, considerato il tenore letterale del ricorso e degli atti nello stesso espressamente richiamati, né arrechi alcun pregiudizio alla controparte nello svolgimento delle sue difese. Cass. 16.11.2007 n. 23816);
5. essendo, poi, il giudizio per Cassazione diretto al solo controllo di legittimità delle decisioni impugnate, la procedura doveva essere esperita davanti al giudice che ha emesso la sentenza impugnata (cfr. Cass. 30.5.2006 n. 12834);
6. non può, pertanto, ritenersi che si sia formato il giudicato interno, posta la riferibilità delle censure a P. M. G., al di là dell’indicazione erronea, contenuta nel corpo del motivo di gravame, del nominativo di diverso soggetto;
7. quanto al secondo motivo, al di là dell’invocazione di violazioni di norme di diritto, nella sostanza si mira a contestare la ricostruzione effettuata dal giudice del gravame con valutazione di merito insindacabile;
8. il contratto preliminare di cessione di quote viene, infatti, richiamato in rapporto al suo valore meramente indicativo della volontà delle parti di procedere gradualmente al cambio di gestione del locale e il c.u.d., essendo riferito a dati contenuti in dichiarazioni rese a soggetti terzi, assume il valore di confessione stragiudiziale liberamente valutabile;
9. in relazione alla dedotta omessa valutazione della mancata risposta del M. l’interrogatorio formale allo stesso deferito, è principio affermato da questa Corte quello alla cui stregua la sentenza nella quale il giudice ometta di prendere in considerazione la mancata risposta all’interrogatorio formale non è affetta da vizio di motivazione, atteso che l’art. 232 cod. proc. civ., a differenza dell’effetto automatico di “ficta confessio” ricollegato a tale vicenda dall’abrogato art. 218 del precedente codice di rito, riconnette a tale comportamento della parte soltanto una presunzione semplice che consente di desumere elementi indiziari a favore della avversa tesi processuale (prevedendo che il giudice possa ritenere come ammessi i fatti dedotti nell’interrogatorio “valutato ogni altro elemento di prova”), onde l’esercizio di tale facoltà, rientrando nell’ambito del potere discrezionale del giudice stesso, non è suscettibile di censure in sede di legittimità (cfr. Cass. 28.9.2009, n. 20740, Cass. 19.9.2014 n. 19833, Cass. 1.3.2018 n. 4837);
10. neanche sussiste la denunziata violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. con riferimento al dedotto malgoverno delle prove da parte della Corte territoriale, in quanto la violazione delle norme denunciate è tratta, in maniera incongrua e apodittica, dal mero confronto con le conclusioni cui è pervenuto il giudice di merito. Di tal che la stessa – ad onta dei richiami normativi in essi contenuti – si risolve nel sollecitare una generale rivisitazione del materiale di causa e nel chiederne un nuovo apprezzamento nel merito, operazione non consentita in sede di legittimità neppure sotto forma di denuncia di vizio di motivazione;
11. le violazioni denunziate non integrano, infine, l’omesso esame di fatti intesi correttamente ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., nella nuova formulazione, lamentandosi, nella sostanza, vizi di motivazione non più rientranti nel catalogo di quelli denunziabili con il richiamo alla violazione del n. 5 del citato articolo di legge, in quanto la censura sollecita esclusivamente, come già detto, una rivisitazione del materiale istruttorio affinché se ne fornisca una valutazione diversa da quella accolta dalla sentenza impugnata;
12. conclusivamente, poiché il giudice del gravame si è attenuto ai principi suesposti, cui questa Corte intende dare giuridica continuità, e non sono integrati i vizi dedotti, deve pervenirsi al rigetto integrale del ricorso;
13. le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo in favore dei controricorrenti, laddove nulla va statuito nei confronti della parte rimasta intimata;
14. sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 115 del 2002;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 3500,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonché al rimborso delle spese forfetarie in misura del 15%.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1bis, del citato D.P.R.
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