CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 giugno 2019, n. 15548
Lavoro domestico – Accertamento dell’esistenza di un rapporto subordinato – Prova presuntiva della natura gratuita affecionis causa
Rilevato che
La corte d’Appello di Palermo con sentenza del 5.1.2016 ha parzialmente riformato la sentenza del tribunale di Trapani che aveva accolto in parte la domanda di G.M., erede di C.A., svolta nei confronti degli eredi di L.R. e diretta a far accertare la natura subordinata del rapporto di lavoro domestico intercorso tra la A. e la R. dal 2.1.1988 sino al 9.9.2008, riconoscendo soltanto un rapporto a tempo parziale di sei ore settimanali e condannando la datrice di lavoro alle differenze retributive e al TFR nei limiti delle ore accertate, respingendo le ulteriori domande;
la corte territoriale, accogliendo l’appello incidentale degli eredi della R., ha ritenuto che non sussistessero elementi per accertare l’esistenza di un rapporto di natura subordinata tra le parti, nonostante la convivenza tra le due signore e l’aiuto fornito dalla M. nel disbrigo delle attività domestiche.
secondo i giudici del gravame non potevano ritenersi rilevanti gli elementi emersi dalla testimonianza di una collaboratrice domestica che aveva lavorato dalla R. per dieci anni e che aveva riferito che la M. si occupava di cucinare, di fare la spesa e di lavare la biancheria;
per la Corte territoriale la convivenza tra le due donne nella casa di proprietà della R., il fatto che costei provvedeva al sostentamento della A., nonché la circostanza che la R. avesse disposto nel proprio testamento disposizioni a favore della A. di godimento della casa e di percezione di un vitalizio di euro 500,00 mensili, comprovavano che le prestazioni erano state rese affecionis causa, in un contesto familiare che escludeva qualsiasi rapporto di lavoro subordinato intercorso tra le parti;
Avverso la sentenza ha proposto ricorso la M. affidato ad un solo motivo, cui hanno resistito U. ed A.M.R. con controricorso;
Considerato che
Con l’unico motivo di ricorso si deduce la violazione degli artt. 2729 e 2697 c.c. in relazione alla legge n. 339/1958 sul lavoro domestico (art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c.) avrebbe errato la corte nel ritenere che sussistesse la prova presuntiva della natura gratuita affecionis causa del rapporto intercorso tra le due donne, ritenendo idonee per raggiungere la presunzione di gratuità sia la deposizione della domestica presso l’abitazione della R. per dieci anni sino al 2000, sia la disposizione testamentaria in favore della A., in assenza di prova dell’onerosità della prestazione, prova che erroneamente la sentenza ha posto a carico della M., con violazione dell’art. 2697 c.c.;
per la ricorrente poi le circostanze di fatto prese in esame dalla corte di merito non erano gravi , precise e concordanti, secondo quanto previsto dall’art. 2729 c.c., alla luce di quelle che erano state le deposizioni degli altri testi escussi; determinante poi sarebbe stata anche la ricostruzione dei fatti effettuata dai nipoti della R. nel memoria di costituzione di primo grado, laddove essi avevano riconosciuto che la A. aveva lavorato in qualità di domestica presso l’abitazione della R. fino a quando nel 1979 era stata dichiarata invalida civile, inabile al lavoro;
il ricorso non merita accoglimento;
la corte distrettuale ha ritenuto che vi fossero elementi idonei a comprovare la natura di gratuità delle prestazioni svolte dall’A. dopo il 1979, epoca in cui la stessa era divenuta inabile al 100% al lavoro di domestica prima svolto alle dipendenze della R.;
la corte palermitana ha evidenziato che la A. da tale epoca era rimasta presso l’abitazione dell’ex datrice di lavoro con un rapporto di convivenza in base al quale, a fronte dell’ospitalità ricevuta, svolgeva poche attività casalinghe, quali fare la spesa e cucinare o lavare e stendere la biancheria, attività confermate dalla testimonianza, ritenuta su tale punto determinante, della collaboratrice familiare della R.. Per i giudici di appello altro fatto dimostrativo del rapporto di affetto e di riconoscenza intercorrente tra le due donne era costituito dal lascito testamentario disposto dalla R. in favore dell’A. avente ad oggetto il vitalizio di euro 500,00 mensili e l’uso della casa sino al decesso;
la sentenza impugnata, con un ragionamento rispettoso dei presupposti richiesti dall’art. 2729 c.c. per ritenere raggiunta la prova presuntiva, ha accertato la natura gratuita delle prestazioni ed ha ritenuto che le ulteriori prove testimoniali non fossero sufficienti per contrastare la prova presuntiva di gratuità;
non vi è stata pertanto alcuna inversione dell’onere probatorio ai sensi dell’art. 2697 c.c. come lamentato dalla ricorrente, ma soltanto l’applicazione di un ragionamento probatorio presuntivo, che ha portato la corte territoriale a fondare il proprio convincimento esaminando e valutando precisi e concordanti gli elementi probatori secondari, offerti dalla parte convenuta in primo grado, da cui inferire il fatto principale della gratuità della prestazione dell’A. per il periodo in contestazione;
ne consegue che il ragionamento effettuato dalla corte di merito , immune da vizi interpretativi per quanto prima osservato, non è censurabile in questa sede, comportando altrimenti un riesame ed una nuova valutazione di merito rispetto a quella già effettuata dalla corte distrettuale, che non è consentita in questa sede, il ricorso deve pertanto essere rigettato e le spese di lite, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza;
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio che liquida in euro 200,00 per esborsi, euro 3500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater DPR n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13.
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