CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 giugno 2021, n. 16455
Tributi – Contenzioso tributario – Appello – Omessa censura specifica su un punto della sentenza – Formazione di giudicato interno – Inammissibilità dell’appello. – Accertamento integrativo – Sopravvenuta conoscenza di nuovi fatti di evasione – Legittimità
Rilevato che
Con sentenza n. 62/44/13 la Commissione tributaria regionale della Campania accoglieva l’appello proposto dall’Ufficio avverso la sentenza con la quale la Commissione tributaria provinciale di Napoli aveva accolto il ricorso del contribuente avverso l’avviso di accertamento con il quale erano state recuperati a tassazione, oltre a costi non di competenza, gli importi relativi a fatture contabilizzate a fronte di operazioni soggettivamente inesistenti, relativamente all’anno 2003.
Osservava la CTR che fondato era il rilievo concernente l’avvenuta emanazione dell’avviso prima della scadenza del termine previsto dall’art. 12 dello Statuto del contribuente, non venendo in rilievo alcuna nullità prevista dalla normativa ed in considerazione della natura vincolata del provvedimento, e che, quanto al merito, era errato quanto ritenuto dai primi giudici circa l’applicazione degli studi di settore che, nel caso in esame, erano stati utilizzati dall’Ufficio solo per determinare l’ammontare della pretesa fiscale.
Le pretese dell’Ufficio erano, infine, ampiamente motivate, in quanto fondate sui riscontri documentali effettuati dalla GdF di Napoli, mentre le giustificazioni addotte dal contribuente non apparivano sufficienti ad inficiare l’opposto accertamento.
Avverso tale sentenza il Fallimento R. Italia s.r.I., già R. Italia s.p.a., già C.N. Industriale s.r.I., propone ricorso per cassazione, affidato a sei motivi. L’Ufficio ha depositato atto con il quale ha dichiarato di costituirsi al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.
Il P.G. ha depositato in data 9.11.2020 la requisitoria nella quale conclude per l’accoglimento del primo ed in subordine del terzo motivo, con assorbimento dei restanti.
Con separata sentenza n. 171/17/13 la Commissione tributaria regionale della Campania accoglieva l’appello proposto da C.N. Distribuzione s.r.l. avverso la sentenza con la quale la Commissione tributaria provinciale di Napoli ne aveva solo parzialmente accolto il ricorso avverso l’avviso con il quale l’Ufficio aveva accertato, ai sensi degli artt. 39 e 40 del d.P.R. del 29 settembre 1973, n. 600, per l’anno d’imposta 2003, il reddito d’impresa tassabile ai fini Irpeg in € 310.400,51.
Osservava la CTR che il pvc dal quale era scaturito l’accertamento impugnato costituiva un’estensione di un precedente accertamento relativo alla stessa annualità, con il quale l’Ente impositore aveva già provveduto a rettificare, ai fini delle imposte dirette e dell’Iva, il reddito complessivo, determinato sulla base di un accertamento induttivo in relazione allo studio di settore, sicché non era dato comprendere come l’Ufficio potesse aver integrato un reddito, determinato mediante gli studi di settore con un precedente verbale di accertamento, sommando ad esso un nuovo maggior reddito, determinato con accertamento analitico sulla base di fatture passive ipoteticamente inesistenti.
L’Ufficio, infatti, dopo aver emesso e notificato il precedente accertamento, avrebbe dovuto con il nuovo avviso annullare o sostituire il precedente, cosa che invece non era avvenuta in quanto l’Ente impositore era pervenuto alla determinazione del maggior reddito imponibile mediante una duplicazione di imposte, rendendo di per sé nullo il successivo accertamento.
Del resto una differente sezione della stessa CTR aveva già provveduto ad annullare il precedente accertamento, a sua volta inficiato da un grave vizio formale.
Avverso tale sentenza l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Resiste il Fallimento della R. Italia s.r.l. (già C.N. Distribuzione s.r.I.) mediante controricorso.
Considerato che
1. Appare opportuno, per l’evidente connessione delle questioni trattate con il ricorso iscritto al n.r.g. 15690/2014 rispetto a quelle del ricorso iscritto al n.r.g. 27823/2013, disporre la riunione dei procedimenti. La questione posta dal secondo ricorso, infatti, trae origine da un accertamento che ha integrato quello oggetto del primo procedimento.
In relazione al giudizio rubricato al n.r.g. 15690/2014 si osserva quanto segue.
Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 53 del d.lgs. del 31 dicembre 1992, n. 546, degli artt. 329 e 324 cod. proc. civ., dell’art. 2909 cod. civ. e dell’art. 112 cod. proc. civ. (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.), avendo la CTR omesso di dichiarare l’inammissibilità dell’appello, sia perché difettoso sotto il profilo della specificità dei motivi, sia perché, a fronte dell’accoglimento del ricorso pronunciato dalla CTP per violazione dell’art. 12, comma 7, dello Statuto del contribuente e per la riscontrata assenza di qualsiasi elemento probatorio circa le contestate operazioni soggettivamente inesistenti, l’atto di appello proposto dall’Ufficio aveva lamentato unicamente la scorretta applicazione dell’art. 12 cit.
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 12, comma 7, dello Statuto del contribuente, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ, avendo la CTR omesso di applicare il principio, enunciato da Sez. U n. 18184 del 2013, secondo cui la violazione del termine previsto dalla norma determina la nullità dell’avviso di accertamento.
Con il terzo motivo si censura la violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., nonché l’art. 36, n. 4, del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., apparendo la pronuncia della CTR viziata da difetto assoluto di motivazione, il giudice del gravame essendosi limitato a rendere una motivazione del tutto apparente nella condivisione integrale dei contenuti dell’avviso di accertamento.
Il quarto motivo lamenta la violazione dell’art. 39, comma 2, d.P.R. n. 600 del 1973, dell’art. 10, comma 4, della legge dell’8 maggio 1988, n. 146, e dell’art. 62 sexies del d.l. del 30 agosto 1993, n. 331 (conv. Con modif. in legge 29 ottobre 1993, n. 427), in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., avendo la CTR erroneamente ritenuto legittimo l’accertamento effettuato sulla base degli studi di settore, posto che questi ultimi erano inapplicabili nel caso di specie.
Il quinto motivo lamenta la violazione degli artt. 2697, 2727, 2729 cod. civ., nonché dell’art. 39, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 54 d.P.R. del 26 ottobre 1972, n. 633, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., avendo la CTR confermato l’operato dell’Ufficio pur non avendo quest’ultimo fornito alcuna prova circa l’asserita fittizietà soggettiva delle fatture. Con il sesto motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992, dell’art. 329 cod. proc. civ., degli artt. 344 cod. proc. civ. e 2909 cod. civ., oltre che dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., avendo l’Ufficio espressamente ammesso, nel ricorso per cassazione n. 27823 del 2013, che la pretesa oggetto del presente giudizio era stata superata da un secondo avviso di accertamento oggetto del richiamato procedimento.
Il primo motivo è fondato.
Dall’esame del contenuto della sentenza della CTP (trascritta nel ricorso) emerge chiaramente come il giudice di prime cure abbia inteso accogliere il ricorso del contribuente sulla base di due distinte rationes decidendi: in primo luogo per essere stato emanato l’avviso di accertamento prima della scadenza del termine previsto dall’art. 12 dello Statuto del contribuente, senza che risultassero esplicitate ragioni di urgenza; in secondo luogo per la constatata assenza di prova, da parte dell’Ufficio, di elementi atti a dimostrare l’inesistenza soggettiva delle operazioni.
L’ufficio, nell’atto di appello, ha circoscritto i motivi di gravame solo al primo dei descritti rilievi, profondendosi poi in un’ampia elencazione delle ragioni per le quali, a suo avviso, era possibile nel caso di specie procedere all’adozione di un avviso anticipato senza incorrere nel vizio di nullità.
L’ufficio, inoltre, ha operato un richiamo del tutto generico alle ragioni già precedentemente sostenute nel corso del giudizio di primo grado, nel verbale di accertamento e nel processo verbale di contestazione.
A fronte di tali contestazioni, il giudice di appello, dopo aver accolto la tesi dell’Ufficio circa l’inesistenza di ragioni di nullità nell’adozione dell’avviso di accertamento anticipato, ne ha poi condiviso l’operato, nonostante la CTP avesse disatteso la fondatezza dell’accertamento con una statuizione non impugnata dall’appellante.
In definitiva, come ha correttamente osservato il P.G., la CTR avrebbe dovuto dichiarare inammissibile l’appello in quanto, pur avendo l’Ufficio efficacemente replicato riguardo alla prima ratio decidendi utilizzata dalla CTP, l’atto di appello non conteneva tuttavia una specifica censura riguardo alla seconda, sulla quale si è dunque formato il giudicato.
Del tutto insufficiente, poi, deve ritenersi il richiamo operato dall’Ufficio alle proprie precedenti difese, mancando del tutto il necessario momento di critica rispetto allo specifico profilo esaminato dalla CTP, riguardante la totale mancanza di prova a fondamento della contestazione delle operazioni soggettivamente inesistenti.
Sul punto va richiamato il condivisibile principio affermato da Cass. 18/01/2013, n. 1248, secondo cui «L’onere di specificazione dei motivi di appello, imposto dall’art. 342 cod. proc. civ., non è assolto con il semplice richiamo “per relationem” alle difese svolte in primo grado, perché per dettato di legge i motivi di gravame devono essere contenuti nell’atto d’impugnazione e, peraltro, la generica “relatio” a tutto quanto prospettato in prime cure finisce per eludere il menzionato precetto normativo, domandando inoltre al giudice “ad quem” un’opera d’individuazione delle censure che la legge processuale non gli affida».
Alla luce di tali principi, la CTR avrebbe dovuto dunque dichiarare inammissibile l’appello, essendosi formato il giudicato sulla statuizione del primo giudice, costituente autonoma ratio decidendi di per sé idonea a sorreggere la decisione.
In conclusione, va accolto il primo motivo di ricorso, assorbiti i restanti, stante l’inammissibilità dell’appello, e la sentenza impugnata va cassata senza rinvio, ai sensi dell’art. 382, terzo comma, cod. proc. civ. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
In relazione al giudizio rubricato al n.r.g. 27823/2013 si osserva quanto segue.
Il primo motivo lamenta la violazione dell’art. 36, comma 2, n. 4), del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e dell’art. 111 Cost. (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.), avendo la seconda parte della sentenza impugnata testualmente trasposto il contenuto dell’atto di appello del contribuente.
Il motivo è infondato.
Secondo quanto statuito da Sez. U, 16/01/2015, n. 642, «La sentenza la cui motivazione si limiti a riprodurre il contenuto di un atto di parte o di altri atti processuali o provvedimenti giudiziari, senza niente aggiungervi, non è nulla qualora le ragioni della decisione siano, in ogni caso, attribuibili all’organo giudicante e risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo, posto che, in base alle disposizioni costituzionali e processuali, tale tecnica di redazione non può ritenersi, di per sé, sintomatica di un difetto d’imparzialità del giudice, al quale non è imposta l’originalità né dei contenuti né delle modalità espositive>>.
Del resto, esaminando il contenuto della sentenza impugnata, non vi è dubbio che la stessa sia pienamente rispettosa dei requisiti minimi considerati dalla Corte indispensabili per integrare gli estremi di una valida decisione, potendo il percorso motivazionale, chiaramente ed esaustiva mente esposto, considerarsi pienamente attribuibile, sul piano ricostruttivo, all’organo giudicante, indipendentemente dall’originalità dei suoi contenuti rispetto all’atto di parte.
Il secondo motivo lamenta la violazione dell’art. 43 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), avendo la CTR errato nel ritenere per l’Ufficio necessario procedere all’annullamento del primo avviso di accertamento, in quanto il secondo avviso, lungi dal costituire un accertamento autonomo, costituiva invece un accertamento integrativo, pienamente consentito dall’art. 43, ultimo comma, d.P.R. n. 600 del 1973 e che non postula l’invalidità del precedente provvedimento ma al contrario ne presuppone la validità e vi fa seguito completandolo.
Con il terzo motivo l’Ufficio lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 67 del d.P.R. n. 600 del 1973 e la violazione dell’art. 100 cod. proc. civ. (in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, cod. proc. civ.), avendo la CTR errato nel ritenere che l’accertamento integrativo comportasse una duplicazione di imposta, non risultando invece in alcun modo la prova che le fatture oggettivamente inesistenti, contestate con l’avviso integrativo, fossero già comprese nel primo accertamento. Del resto la stessa sentenza di primo grado aveva comunque espunto dall’avviso integrativo ogni menzione delle somme accertate in quello precedente, riducendosi la portata dall’atto impugnato al solo importo relativo alle nuove fatture oggettivamente inesistenti. Il secondo ed il terzo motivo, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto logicamente connessi, sono fondati. Va in proposito premesso che l’avviso di accertamento di cui si tratta (RE9030401626) costituisce l’estensione dell’avviso di accertamento (RE9030401058/2008) oggetto del ricorso riunito (n. 15690/2014), esaminato in precedenza.
Nel presente procedimento, dunque, si discute della legittimità di tale avviso in estensione, se esso comprenda o meno le somme e le causali già contestate mediante il precedente accertamento. In proposito deve osservarsi che l’art. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973 prevede che «Fino alla scadenza del termine stabilito nei commi precedenti l’accertamento può essere integrato o modificato in aumento mediante la notificazione di nuovi avvisi, in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi da parte dell’Agenzia delle entrate. Nell’avviso devono essere specificamente indicati, a pena di nullità, i nuovi elementi e gli atti o fatti attraverso i quali sono venuti a conoscenza dell’ufficio delle imposte».
L’Ufficio, dunque, invoca tale disposizione onde sostenere la legittimità dell’avviso integrativo, essendo venuto, dopo il primo accertamento, a conoscenza di nuovi elementi (l’esistenza di fatture per operazioni fittizie) ignorati in precedenza.
La CTR dal proprio canto, ha affermato che l’Ufficio impositore avrebbe dovuto necessariamente annullare il precedente avviso, sicché, omettendone il ritiro, sarebbe pervenuto ad una duplicazione delle imposte.
Il giudice di appello, così opinando, ha fatto scaturire l’illegittimità dell’operato integrativo dell’Ufficio, automaticamente e necessariamente, dalla ritenuta impossibilità di procedere, dopo la determinazione sintetica del reddito operata sulla base degli studi di settore, ad un nuovo accertamento analitico (ed integrativo) sulla base di fatture passive inesistenti, conosciute successivamente al primo accertamento.
Tale considerazione è tuttavia scorretta, in quanto l’accertamento integrativo configura un nuovo accertamento e dunque ben può basarsi su metodologie diverse da quello precedente, trattandosi di una pretesa del tutto nuova rispetto a quella oggetto dell’avviso integrato (cfr. Cass. 30/10/2018, n. 27543).
Che i metodi di accertamento, posti rispettivamente a fondamento dell’avviso originario e di quello integrativo, possano essere differenti si ricava, del resto, anche dal principio enunciato da Cass. 07/11/2005, n. 21567, secondo cui <<In tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’art. 43, terzo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 disciplina soltanto l’integrazione o la modificazione in aumento, rispetto all’accertamento originario, e non anche quelle in diminuzione, integrando soltanto le prime una pretesa tributaria “nuova” rispetto a quella originaria, mentre le seconde si risolvono in una mera riduzione della pretesa originaria e, quindi, in una revoca parziale del relativo avviso di accertamento. In questa prospettiva, a sostegno della medesima pretesa tributaria, l’ufficio accertatore può anche, senza necessità di ricorrere a formalità particolari, sostituire un accertamento analitico ad un accertamento sintetico (o viceversa), purché la pretesa tributaria non venga ampliata>>.
Né può ritenersi che la CTR abbia compiuto, quanto al contenuto dei due avvisi, un reale accertamento in punto di fatto: tale circostanza avrebbe potuto riscontrarsi ove la sentenza impugnata avesse puntualmente indicato le ragioni per le quali era possibile ritenere che il nuovo accertamento ricomprendesse le somme già oggetto del primo, chiarendo e specificando le circostanze dalle quali era possibile desumere tale conclusione.
Escluso dunque che la CTR abbia compiuto un reale accertamento in punto di fatto circa l’effettiva e concreta sussistenza di una duplicazione di imposte, va affermato il principio secondo cui la sostituzione in autotutela dell’avviso di accertamento è istituto diverso dall’accertamento integrativo, in quanto quest’ultimo trova fondamento nella sopravvenuta conoscenza di nuovi fatti di evasione, precedentemente non conosciuti dall’Ufficio accertatore. La sua adozione, pertanto, non comporta pertanto una duplicazione delle imposte accertate mediante il precedente avviso, ove si fondi effettivamente ed esclusivamente sul riscontro di fatti ed elementi autonomi da quelli accertati in precedenza.
Le considerazioni che precedono impongono, dunque, l’accoglimento del ricorso, quanto al secondo e terzo motivo, respinto il primo, sicché la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla CTR della Campania, in differente composizione, anche per le spese della fase di legittimità.
P.Q.M.
riunisce i ricorsi indicati in epigrafe; in relazione al n. 15690 del 2014, accoglie il ricorso, cassa senza rinvio la sentenza impugnata e liquida le spese della fase di legittimità in favore del ricorrente in € 5000 per compenso ed € 200 per spese vive, oltre al rimborso forfettario delle spese generali ed accessori di legge; in relazione al ricorso n. 27823 del 2013, accoglie il ricorso nei termini indicati in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR della Campania, in differente composizione, anche per le spese della fase di legittimità.
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