CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 giugno 2022, n. 18867

Rapporto di lavoro – Contratto a termine – Nullità – Conversione dei rapporti in contratti a tempo indeterminato

Rilevato che

1. il Tribunale di Termini Imerese respingeva tutte le domande proposte da E. L.C. e dagli altri litisconsorti indicati in epigrafe i quali avevano convenuto in giudizio il Consorzio Intercomunale Rifiuti Energia e Servizi (Coinres) chiedendo l’accertamento della nullità dei termini apposti ai contratti stipulati con l’ente a far tempo dal 31 luglio 2008, la conversione dei rapporti in contratti a tempo indeterminato e sostenendo, quale conseguenza dell’auspicata conversione, che la risoluzione dell’ultimo rapporto di lavoro fosse qualificata come licenziamento collettivo senza l’osservanza della procedura di cui alla l. 223/91 ovvero come licenziamento individuale plurimo privo di giusta causa o di giustificato motivo con conseguente diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro ex art. 18 l. n. 300/1970;

il Tribunale riteneva che il Consorzio dovesse essere qualificato ente pubblico non economico ed a tal fine valorizzava la natura dell’attività istituzionalmente svolta, finalizzata alla cura di interessi fondamentali della collettività, quali sono l’igiene e la salute, perseguiti non in vista di un corrispettivo bensì in adempimento di un dovere gravante sulla Pubblica Amministrazione;

richiamava, poi, l’art. 45, comma 2, della L.R. Sicilia n. 2/2007, che subordina l’assunzione di nuovo personale all’esperimento di procedure di evidenza pubblica, e, accogliendo l’eccezione proposta dal resistente, riteneva che i contratti a termine dedotti in giudizio fossero stati stipulati in violazione della norma imperativa, perché il Consorzio, in quanto amministrazione pubblica, avrebbe dovuto rispettare le forme imposte dall’art. 35 del d.lgs. n. 165/2001 e non affidare la selezione ad un soggetto privato, la T. S.p.A., che aveva operato la scelta senza adottare meccanismi oggettivi e trasparenti;

escludeva, peraltro, che i ricorrenti, facendo leva su contratti nulli, in quanto tali improduttivi di effetti giuridici, potessero rivendicare la riammissione in servizio, il risarcimento del danno ex art. 32 della legge n. 183/2010, il pagamento delle retribuzioni riferibili al periodo successivo alla scadenza del termine;

2. la Corte d’appello di Palermo, con ordinanza ex art. 348 bis cod. proc. civ., depositata il 25.11.2014, dichiarava inammissibile l’impugnazione evidenziando che l’invocata conversione era impedita dall’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001 e che gli appellanti non avevano dimostrato la sussistenza di un danno risarcibile;

3. per la cassazione della sentenza del Tribunale di Termini Imerese i litisconsorti indicati in epigrafe hanno proposto ricorso, al quale il Coinres ha opposto difese con controricorso;

4. i ricorrenti hanno, altresì, depositato memoria.

Considerato che

1. il ricorso, articolato in dieci motivi (erroneamente numerati), censura innanzitutto il capo della sentenza impugnata che ha qualificato il Coinres ente pubblico non economico e denuncia il vizio motivazionale nonché la violazione di norme processuali (artt. 112, 113, 115, 116, 132 cod. proc. civ.), dell’ordinanza del Commissario Straordinario per i rifiuti n. 2983/1999, dello Statuto dell’ente, della legge n. 142/1990, del d.lgs. n. 267/2000;

dalla asserita natura di ente pubblico economico i ricorrenti fanno derivare altre conseguenze in termini di conversione del rapporto e di risarcimento del danno;

1.1. in particolare, con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione degli artt. 112, 113, 115 e 116 e dell’art. 132 cod. proc. civ., la violazione dello Statuto, la violazione dell’ordinanza n. 2983/1999, la violazione e falsa applicazione della l. n. 142/1990 e succ. modif. e integr. e del d.lgs. n. 267/2000, della l. regionale n. 9/2010; della l. regionale n. 2/1997, omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti;

sostengono che la Corte territoriale ha dato una errata lettura dell’ordinanza istitutiva del Consorzio dovendo riconoscersi a quest’ultimo natura di impresa;

1.2. con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la violazione degli artt. 112, 113, 115 e 116 e dell’art. 132 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione della l. n. 142/1990, del d.lgs. n. 267/2000 omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti;

deducono il mancato rispetto delle norme in materia di aziende speciali degli enti locali;

1.3. con il terzo motivo i ricorrenti denunciano la violazione degli artt. 112, 113, 115 e 116 e dell’art. 132 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione della l. n. 142/1990, la violazione del d.lgs. n. 267/2000, omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti;

lamentano l’errata applicazione delle disposizioni relative ai soggetti istituiti per lo svolgimento di servizi pubblici;

1.4. con il quarto motivo i ricorrenti denunciano la violazione degli artt. 112, 113, 115 e 116 e dell’art. 132 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione della l. n. 142/1990, del d.lgs. n. 267/2000, dell’Accordo quadro del 2004, del c.c.n.l. Federambiente e delle delibere assembleari, la violazione degli obblighi contrattuali, del d.lgs. n. 368/2001, della legge 28 giugno 2012, n. 92, della direttiva 99/CE/70, del d.lgs. n. 165/2001, dell’art. 97 Cost., dell’art. 111 Cost., delle sentenze della Corte di Giustizia, nullità delle clausole contrattuali di apposizione del termine, omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione; sostengono che la Corte territoriale abbia errato nel non applicare ai rapporti in questione il c.c.n.l. Federambiente e per aver omesso conseguentemente di applicare la disciplina in tema di contratto di lavoro a termine nel settore privato;

1.5. con il quinto motivo i ricorrenti denunciano la violazione degli artt. 112, 113, 115 e 116 e dell’art. 132 cod. proc. civ., erroneità dei presupposti, violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 275/2003, violazione della direttiva 1999/70/CE, contraddittorietà con precedente decisione;

rilevano che lo stesso Tribunale di Termini Imerese aveva, in altra e precedente decisione, riconosciuto la natura subordinata dei rapporti in questione per violazione delle norme sul contratto di somministrazione evidenziando che le assunzioni erano avvenute tramite una procedura ad evidenza pubblica;

1.6. con il sesto motivo i ricorrenti denunciano la violazione degli artt. 112, 113, 115 e 116 e dell’art. 132 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 35 e 36 della l. n. 165/2001;

rilevano che le assunzioni a tempo determinato non richiederebbero l’utilizzo di procedure ad evidenza pubblica;

1.7. con il settimo motivo i ricorrenti denunciano la violazione della l.r. n. 9/2010, della l.r. n. 2/2002, degli artt. 112, 113, 115 e 116 e dell’art. 132 cod. proc. civ., omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti;

censurano la sentenza impugnata per non aver considerato che alla data delle leggi suddette i lavoratori erano legittimamente dipendenti del Coinres;

1.8. con l’ottavo motivo i ricorrenti denunciano la violazione degli artt. 112, 113, 115 e 116 e dell’art. 132 cod. proc. civ., erroneità dei presupposti, inefficacia, invalidità e/o nullità del licenziamento per violazione e falsa applicazione degli artt. 4, 5 e 24 della l. n. 223/1991, assenza di giusta causa e giustificato motivo;

sostengono che, nella specie, vi sono stati licenziamenti intimati in violazione delle norme sulla riduzione del personale per motivi economici;

1.9. con il nono motivo i ricorrenti denunciano la violazione degli artt. 112, 113, 115 e 116 e dell’art. 132 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione della l. regionale n. 9/2010 ed ancora omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti e falsa applicazione degli artt. 83 e successivi e 182 e ss. cod. proc. civ., difetto e nullità della procura e del mandato ad litem, violazione dello Statuto del Coinres;

sostengono che il commissario liquidatore è stato nominato in violazione dello Statuto del Consorzio il che avrebbe avuto influenza sulla validità degli atti per cui è causa e in quanto, essendo il Coinres ente pubblico, lo stesso sarebbe soggetto alla relativa disciplina contabile;

1.10. con il decimo motivo i ricorrenti denunciano la violazione del d.lgs. n. 165/2001; censurano la sentenza impugnata per non aver accolto le domande di risarcimento del danno;

2. esaminando, secondo un ordine logico le varie questione, va innanzitutto rilevata l’inammissibilità del nono motivo di ricorso con il quale i ricorrenti sostengono che il commissario liquidatore sia stato nominato in violazione dello Statuto del Consorzio il che avrebbe avuto influenza sulla validità degli atti per cui è causa;

il motivo, infatti, è fondato su previsioni dello Statuto che non è prodotto né trascritto nelle parti di interesse;

non risulta, inoltre, se la questione della legittimazione del Commissario liquidatore si stata sollevata già nel giudizio di primo grado;

neppure è stata dimostrata la sussistenza del presupposto per l’applicazione dell’art. 19 della l.r. n. 9 del 2010 (secondo cui i consorzi e le società d’ambito costituiti ai sensi dell’articolo 201 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, sono posti in liquidazione) e cioè l’emissione dell’ordinanza ai sensi dell’art. 191 del d.lgs. n. 152 del 2006;

si aggiunga che, come da questa Corte già affermato (Cass., Sez. Un., n. 20596/2007), in tema di rappresentanza processuale delle persone giuridiche, la persona fisica che ha conferito il mandato al difensore non ha l’onere di dimostrare tale sua qualità, neppure nel caso in cui l’ente si sia costituito in giudizio per mezzo di persona diversa dal legale rappresentante e l’organo che ha conferito il potere di rappresentanza processuale derivi tale potestà dall’atto costitutivo o dallo statuto, poiché i terzi hanno la possibilità di verificare il potere rappresentativo consultando gli atti soggetti a pubblicità legale e, quindi, spetta a loro fornire la prova negativa; solo nel caso in cui il potere rappresentativo abbia origine da un atto della persona giuridica non soggetto a pubblicità legale, incombe a chi agisce l’onere di riscontrare l’esistenza di tale potere a condizione, però, che la contestazione della relativa qualità ad opera della controparte sia tempestiva, non essendo il giudice tenuto a svolgere di sua iniziativa accertamenti in ordine all’effettiva esistenza della qualità spesa dal rappresentante, dovendo egli solo verificare se il soggetto che ha dichiarato di agire in nome e per conto della persona giuridica abbia anche asserito di farlo in una veste astrattamente idonea ad abilitarlo alla rappresentanza processuale della persona giuridica stessa;

3. le critiche di cui ai primi tre motivi si incentrano sulla qualificazione del C. come ente pubblico non economico che, ad avviso dei ricorrenti, si pone in contrasto con gli atti costitutivi, che affidano all’ente la gestione di un’attività imprenditoriale secondo criteri di efficienza ed economicità e con obbligo di pareggio di bilancio, ed invocano l’applicazione della disciplina dettata per le aziende speciali e dal codice civile, ignorata dal giudice di merito; sulla natura di ente pubblico economico del Consorzio i ricorrenti fondano anche le ulteriori censure (quarto, quinto, sesto motivo), con le quali addebitano al Tribunale di avere erroneamente ritenuto applicabile l’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001, anziché il d.lgs. n. 368/2001, e di avere illegittimamente escluso la conversione dei rapporti a termine in contratti a tempo indeterminato, in violazione della normativa eurounitaria, della L.R. Sicilia n. 2/2007, del d.lgs. n. 276/2003, dell’art. 35 del d.lgs. n. 165/2001, della L.R. Sicilia n. 9/2010;

in particolare, ribadito che la conversione doveva essere disposta in ragione della natura privatistica dei rapporti, aggiungono che i contratti a termine erano stati stipulati previo esperimento di procedura di evidenza pubblica (sesto motivo), sebbene la stessa non fosse necessaria in ragione dell’inapplicabilità della L.R. Sicilia n. 2/2007 ai consorzi già costituiti, e deducono, inoltre, che il diritto all’assunzione doveva comunque essere riconosciuto ai sensi dell’art. 19 della L.R. Sicilia n. 9/2010 (settimo motivo);

denunciano la violazione degli artt. 4, 5 e 24 della legge n. 223/1991 perché non potevano essere risolti, in assenza di giusta causa e di giustificato motivo, i contratti che si erano trasformati per l’illegittimità del termine in rapporti a tempo indeterminato (ottavo motivo);

rinviano, infine, a quanto dedotto nell’atto di appello sul diritto al risarcimento del danno, che andava riconosciuto in conseguenza della violazione di norme imperative (decimo motivo);

5. analoghi ricorsi sono stati decisi da questa Corte con le pronunce Cass. 12 novembre 2020, nn. 25624 e 25625 i cui percorso argomentativo il Collegio ritiene di confermare;

6. come già evidenziato nei precedenti citati, non è determinante e essenziale l’accertamento sulla natura economica o non economica del Consorzio, giacché, come questa Corte ha già evidenziato nel decidere controversie nelle quali venivano in rilievo le medesime questioni, per la Regione Sicilia la regola della concorsualità, che rende nulli i contratti stipulati in assenza di evidenza pubblica nel settore degli “ambiti territoriali” per la gestione dei rifiuti e ne impedisce la conversione in rapporti a tempo indeterminato, va tratta dall’art. 45, comma 2, della L.R. Sicilia n. 2/2007, applicabile anche ai contratti stipulati dai consorzi già costituiti alla data di entrata in vigore della legge (Cass. n. 26347/2016, punti 60 e 61; Cass. n. 25749/2016 punto 36; Cass. n. 6394/2017 punto 45);

con le pronunce richiamate, alle quali si rinvia ex art. 118 disp. att. cod. proc. civ., si è anche evidenziato che nella Regione Sicilia «l’amministrazione regionale, le aziende ed enti dalla stessa dipendenti o comunque sottoposti a controllo, tutela e vigilanza, gli enti locali territoriali e/o istituzionali, le aziende sanitarie locali, nonché gli enti da essi dipendenti e comunque sottoposti a controllo, tutela e vigilanza» (art. 49 della L.R. Sicilia n. 15/2004), ossia tutti gli enti pubblici economici e non economici operanti sul territorio regionale, sono tenuti, dopo l’entrata in vigore della L.R. n. 15/2004, al rispetto della regola della concorsualità, qualificata o semplificata, che opera anche per i profili professionali di minore rilievo, regola dalla quale le Sezioni Unite di questa Corte hanno tratto l’impossibilità di convertire in rapporti a tempo indeterminato i contratti a termine stipulati con enti pubblici economici nella vigenza della normativa indicata (Cass., S.U., n. 4685/2015); si tratta di argomenti assorbenti, che rendono non rilevante la questione concernente la correttezza degli indici utilizzati dal Tribunale ai fini dell’accertamento della natura dell’ente;

7. l’orientamento già espresso da questa Corte, qui ribadito perché condiviso dal Collegio, porta, inoltre, a ritenere infondati i motivi che muovono da un’interpretazione non corretta della normativa regionale ed inoltre prospettano inammissibilmente una questione di fatto, non di diritto, nella parte in cui tendono a sostenere che le assunzioni sarebbero state precedute da una valida procedura di evidenza pubblica;

8. accertata, dunque, la necessità per l’assunzione delle previste procedure di evidenza pubblica non può che derivare l’impossibilità di conversione dei rapporti in applicazione del principio affermato da questa Corte secondo il quale è la regola della concorsualità che impedisce conversione (v. anche Cass. n. 5286/2017; Cass. n. 5525/2018; Cass. n. 6818/2018; Cass. 27343/2020).

Pur quando non si applica l’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001 (ad esempio nel caso delle società a partecipazione pubblica), è la regola della concorsualità che impedisce conversione (si vedano anche le più recenti pronunce intervenute in materia di Consorzi di Bonifica: Cass. 22 gennaio 2019, n. 1628; Cass. 9 gennaio 2019, n. 274; Cass. 21 ottobre 2020, n. 22981; Cass. 6 dicembre 2021, n. 38657);

in tali pronunce si è evidenziato che le Sezioni Unite della Cassazione nella sentenza n. 26724/2007, nel delimitare l’ambito delle cosiddette nullità virtuali, hanno osservato che in linea generale occorre tener conto della “tradizionale distinzione tra norme di comportamento dei contraenti e norme di validità del contratto: la violazione delle prime, tanto nella fase prenegoziale quanto in quella attuativa del rapporto, ove non sia altrimenti stabilito dalla legge, genera responsabilità …. ma non incide sulla genesi dell’atto negoziale, quanto meno nel senso che non è idonea a provocarne la nullità”;

si è, così, precisato che le norme che incidono sulla validità del contratto non sono solo quelle che si riferiscono alla struttura o al contenuto del regolamento negoziale ma anche quelle che “in assoluto, oppure in presenza o in difetto di determinate condizioni oggettive o soggettive, direttamente o indirettamente, vietano la stipulazione stessa del contratto: come è il caso dei contratti conclusi in assenza di una particolare autorizzazione al riguardo richiesta dalla legge, o in mancanza dell’iscrizione di uno dei contraenti in albi o registri cui la legge eventualmente condiziona la loro legittimazione a stipulare quel genere di contratto, e simili”;

in conseguenza, “se il legislatore vieta, in determinate circostanze, di stipulare il contratto e, nondimeno, il contratto viene stipulato, è la sua stessa esistenza a porsi in contrasto con la norma imperativa; e non par dubbio che ne discenda la nullità dell’atto per ragioni – se così può dirsi – ancor più radicali di quelle dipendenti dalla contrarietà a norma imperativa del contenuto dell’atto medesimo”;

l’applicazione alla fattispecie del principio di diritto richiamato induce ad escludere che l’omesso esperimento delle procedure concorsuali o selettive possa solo generare responsabilità contabile a carico dei dirigenti delle società partecipate, posto che l’individuazione del contraente con modalità difformi da quelle prescritte dal legislatore, si risolve nella mancanza in capo a quest’ultimo dei requisiti soggettivi necessari per l’assunzione;

9. è, invece, fondato il decimo motivo con il quale, riprendendo quanto anticipato nel quarto motivo sulla fondatezza della domanda risarcitoria, si sostiene che, una volta esclusa la conversione del rapporto, ove il lavoratore abbia allegato l’abuso nella reiterazione del contratto a termine ed invocato l’applicazione della direttiva eurounitaria 1999/70/CE, non può il giudice negare anche il risarcimento del danno, perché la Corte di Giustizia ha ripetutamente affermato che la trasformazione del rapporto non è imposta dal diritto dell’Unione, ma a condizione che la reiterazione abusiva del contratto a termine sia sanzionata da altra misura dissuasiva ed idonea a garantire l’effettività della tutela;

9.1. le Sezioni Unite di questa Corte nel sottolineare la necessità di fornire un’interpretazione del diritto nazionale orientata al rispetto della direttiva 1999/70/CE, hanno affermato che « in materia di pubblico impiego privatizzato, nell’ipotesi di abusiva reiterazione di contratti a termine, la misura risarcitoria prevista dall’art. 36, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, va interpretata in conformità al canone di effettività della tutela affermato dalla Corte di Giustizia UE (ordinanza 12 dicembre 2013, in C-50/13), sicché, mentre va escluso – siccome incongruo – il ricorso ai criteri previsti per il licenziamento illegittimo, può farsi riferimento alla fattispecie omogenea di cui all’art. 32, comma 5, della l. n. 183 del 2010, quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come “danno comunitario”, determinato tra un minimo ed un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto, senza che ne derivi una posizione di favore del lavoratore privato rispetto al dipendente pubblico, atteso che, per il primo, l’indennità forfetizzata limita il danno risarcibile, per il secondo, invece, agevola l’onere probatorio del danno subito” (Cass., Sez. Un., n. 5072/2016);

9.2. con la richiamata pronuncia, alla quale le stesse Sezioni Unite hanno dato continuità con la più recente sentenza n. 19165/2017, si è in sintesi osservato che, ove venga in rilievo la clausola 5 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE, il diritto dell’Unione non impone la conversione del rapporto a termine in contratto a tempo indeterminato, giacché può costituire una misura adeguata anche il risarcimento del danno;

9.3. nell’impiego pubblico contrattualizzato, poiché la conversione è impedita dall’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001, attuativo del precetto costituzionale dettato dall’art. 97 Cost., il danno risarcibile, derivante dalla prestazione in violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori da parte della P.A, consiste di norma nella perdita di chance di un’occupazione alternativa migliore, con onere della prova a carico del lavoratore, ai sensi dell’art. 1223 c.c.;

9.4. peraltro, poiché la prova di detto danno non sempre è agevole, è necessario fare ricorso ad un’interpretazione orientata alla compatibilità comunitaria, che secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia richiede un’adeguata reazione dell’ordinamento volta ad assicurare effettività alla tutela del lavoratore, sì che quest’ultimo non sia gravato da un onere probatorio difficile da assolvere;

9.5. sulla questione controversa è, poi, nuovamente intervenuta la Corte di Lussemburgo che, chiamata a pronunciare sulla conformità al diritto dell’Unione, dell’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001, come interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte, ha evidenziato che “la clausola 5 dell’accordo quadro dev’essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale che, da un lato, non sanziona il ricorso abusivo, da parte di un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico, a una successione di contratti a tempo determinato mediante il versamento, al lavoratore interessato, di un’indennità volta a compensare la mancata trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato bensì, dall’altro, prevede la concessione di un’indennità compresa tra 2,5 e 12 mensilità dell’ultima retribuzione di detto lavoratore, accompagnata dalla possibilità, per quest’ultimo, di ottenere il risarcimento integrale del danno” anche facendo ricorso, quanto alla prova, a presunzioni (Corte di Giustizia 7.3.2018 in causa C – 494/16 Santoro);

9.6. i richiamati principi devono trovare applicazione ogniqualvolta la conversione non possa operare in presenza di una norma di legge speciale che, anche a prescindere dall’applicabilità della disciplina dettata dal d.lgs. n. 165/2001, impedisca, direttamente o indirettamente, la conversione (cfr. Cass. nn. 5229 e 6413 del 2017; Cass. n. 23945/2018; Cass. 12876/2010); 9.7. in taL.C., infatti, poiché il divieto discende sempre dalla natura sostanzialmente pubblica del datore, le norme di diritto interno vanno interpretate in modo da assicurare il rispetto dell’art. 97 Cost., ma salvaguardando al contempo il canone di effettività della tutela, affermato dalla Corte di Giustizia UE nell’ordinanza 12 dicembre 2013, in C-50/13 e ribadito nelle successive pronunce;

10. il Tribunale di Termini Imerese, nel ritenere che la nullità del contratto a termine ed il divieto di conversione impedissero anche il riconoscimento del risarcimento del danno, a prescindere da ogni indagine sulla sussistenza o meno di una reiterazione abusiva del rapporto a tempo determinato, non si è attenuto ai principi di diritto sopra richiamati, ribaditi dal Collegio, e, pertanto, limitatamente a detto capo, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio, ex art. 383, comma 4, cod. proc. civ., alla Corte d’appello di Palermo (che avrebbe dovuto pronunciare sull’appello), che procederà al relativo esame nel rispetto di quanto precisato nei punti da 9. a 9.7., provvedendo anche sulle spese del giudizio di legittimità;

11. non sussistono le condizioni processuali richieste per il raddoppio del contributo unificato dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della I. n. 228/2012;

P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità alla Corte d’appello di Palermo.