CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 giugno 2022, n. 18873
Licenziamento per giusta causa – Valutazioni negative particolarmente offensive nei confronti del presidente – Onere della prova
Rilevato che
1. La Corte d’appello di Catania, in parziale accoglimento dell’appello proposto da S. S., ha dichiarato illegittimo il licenziamento per giusta causa intimatogli il 15.10.2010 ed ha condannato la società datoriale, Q. – L.B.S. soc. coop. sociale, a reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro e a risarcirgli il danno in misura pari alla retribuzione globale di fatto dalla data del licenziamento fino alla reintegra, oltre accessori di legge e versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.
2. La Corte territoriale, per quanto ancora rileva, ha ritenuto non provati i fatti contestati e posti a base della decisione di recesso, cioè l’avere il S., nel corso di due riunioni col personale della cooperativa, espresso valutazioni negative particolarmente offensive nei confronti del presidente.
3. Avverso tale sentenza la società Q. – L.B.S. soc. coop. sociale ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo. S. S. ha resistito con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria, ai sensi dell’art. 380 bis.1 cod. proc. civ.
Considerato che
4. Con l’unico motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 cod. civ., dell’art. 116 cod. proc. civ. e dell’art. 12 delle preleggi.
5. Si censura la sentenza d’appello nella parte in cui ha ritenuto non provati i fatti contestati al dipendente. Si assume che la Corte di merito abbia “inadeguatamente valutato le condotte poste in essere dal lavoratore”, che le stesse erano state pienamente provate in giudizio attraverso i testimoni e che integravano una giusta causa di recesso in quanto idonee a mettere in dubbio la futura correttezza della prestazione lavorativa.
6. Il motivo di ricorso non può trovare accoglimento poiché, sotto l’apparente censura della violazione di norme di legge, prospetta una lettura alternativa delle risultanze istruttorie e sollecita la completa revisione del ragionamento decisorio seguito in sede di merito. Una simile critica, estranea al perimetro segnato dall’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. e relativo all’omesso esame di un fatto storico determinato e decisivo (v. Cass., SU n. 8053 del 2014), non può trovare ingresso nel giudizio di legittimità.
7. Per le ragioni esposte il ricorso risulta inammissibile.
8. Le spese del giudizio di legittimità sono regolate secondo il criterio di soccombenza e liquidate come in dispositivo.
9. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 4.000 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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