CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 luglio 2019, n. 18554
Call center – Illiceità dell’appalto – Discrimine tra appalto e somministrazione – Indici rivelatori della intermediazione
Rilevato che:
1. la Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 4264 pubblicata il 10.6.2014, ha respinto l’appello proposto da A. s.p.a. nei confronti di M. D., De L. N., F. R., F. S. e T. V., confermando la pronuncia di primo grado con cui era stata dichiarata l’illiceità dell’appalto tra A. s.p.a. e Cos – C. Services s.p.a. e l’instaurazione di rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra A. e le suddette lavoratrici, con condanna della società al ripristino dei rapporti medesimi; ha dichiarato cessata la materia del contendere nei confronti degli altri appellati;
2. la Corte di merito ha ritenuto che, ai sensi dell’art. 20, comma 3, lett. g) del D.Lgs. n. 276 del 2003, la gestione dei call center rientrasse tra le ipotesi tipiche di somministrazione di lavoro; ha desunto da tale previsione l’eccezionaiità del ricorso all’appalto per la gestione dei call center, addossando di conseguenza al committente l’onere di dimostrare i requisiti di configurabilità dello stesso, in particolare l’esercizio del potere organizzativo e direttivo non limitato alla gestione del personale ma esteso al contenuto professionale della prestazione;
3. ha accertato, in base all’istruttoria, che l’attività di call center fosse svolta dai dipendenti Cos in locali e con mezzi messi a disposizione da A.; che nei medesimi locali lavorassero dipendenti A. addetti al call center; che la appaltatrice Cos metteva a disposizione solo il personale “con conseguente evanescenza del rischio d’impresa, anche in considerazione della previsione di un corrispettivo fisso fino ad una certa quantità di telefonate”; che non era dimostrato l’utilizzo dei dipendenti Cos, in conformità alle previsioni del contratto di appalto, nei soli casi in cui i lavoratori dell’A. fossero occupati oppure al fuori dall’orario di lavoro dei medesimi;
4. ha ritenuto non dimostrato che l’appaltatrice Cos esercitasse un potere organizzativo e direttivo sui propri dipendenti impiegati nell’appalto ed ha anzi accertato che le modalità di svolgimento dell’attività comportassero inevitabilmente l’esercizio da parte di A. del potere organizzativo e direttivo sui dipendenti Cos, inseriti logisticamente e funzionalmente nell’organizzazione dalla stessa predisposta per il funzionamento del call center, come peraltro documentalmente confermato dalla trasmissione di istruzioni da A. a tutti gli addetti al call center, dipendenti Cos o A., e dalla identica sottoposizione di tutti i lavoratori a controlli sul contenuto dell’attività svolta, anche mediante chiamate cd. civetta;
5. avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione A. s.p.a., affidato a due motivi, cui hanno resistito con controricorso, illustrato da successiva memoria, M. D., De L. N., F. R., F. S. e T. V.;
Considerato che
6. col primo motivo di ricorso A. ha censurato la sentenza, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per violazione e falsa applicazione dell’art. 1655 c.c., degli artt. 20, comma 3, 27 e 29, commi 1 e 3 bis del D.Lgs. n. 276 del 2003 e dell’art. 41 Cost.;
7. ha sostenuto come non fosse ravvisabile alcun collegamento testuale tra l’art. 20, comma 3, cit. in materia di somministrazione e l’art. 29 cit., con conseguente infondatezza della presunzione semplice di illegittimità dell’appalto per il call center che la Corte di merito ha invece individuato;
8. ha aggiunto come, dal punto di vista logico giuridico, l’assunto della sentenza impugnata, di eccezionalità dell’appalto rispetto alla somministrazione, si scontra col carattere eccezionale del lavoro somministrato nel nostro ordinamento;
9. ha censurato l’interpretazione dell’art. 29 cit. data dalla Corte di merito secondo cui, ai fini della genuinità dell’appalto, occorre la prova che i dipendenti dell’appaltatore, oltre a possedere le competenze e il know how proprio del settore produttivo dell’appaltatore, abbiano il know how specifico relativo al contenuto dei servizi resi dalla committente;
10. col secondo motivo di ricorso la società A. ha dedotto, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 1655 c.c., dell’art. 29, commi 1 e 3 bis del D.Lgs. n. 276 del 2003 e dell’art. 41 Cost.;
11. ha criticato la pronuncia d’appello nella parte in cui ha ritenuto illecito l’appalto in quanto non avente ad oggetto l’intero servizio di call center A., ma unicamente il cd. “trabocco di fonia”, cioè la risposta alle chiamate in overflow (a cui non riusciva a rispondere il servizio interno A.) oppure in overtime (cioè in orari in cui non era attivo il servizio interno A.);
12. ha sottolineto l’irrilevanza della quantità del servizio appaltato e l’erronea tesi del giudice d’appello sulla interferenza della committente ove non sia appaltato l’intero servizio; ha affermato come dovesse riconoscersi un ruolo decisivo unicamente alla conformità dell’appalto alle previsioni dell’art. 1655 c.c. integrata dall’art. 29, comma 1, D.Lgs. n. 276 del 2003;
13. i due motivi di ricorso, che si esaminano unitariamente per ragioni di connessione logica, sono infondati;
14. occorre infatti considerare come, a prescindere dalla erroneità in diritto della tesi esposta nella sentenza impugnata sulla presunzione semplice di illegittimità dell’appalto per i call center, la decisione dei giudici d’appello poggia su un accertamento in fatto motivato in base all’istruttoria svolta, non censurabile in questa sede di legittimità, e risulta conforme ai principi enunciati da questa Corte sul discrimine tra appalto e somministrazione, di cui all’art. 29, D.Lgs. n. 276 del 2003;
15. la Corte territoriale ha accertato, in base all’istruttoria svolta, come i dipendenti Cos lavorassero nei locali e con i mezzi dell’A. e fossero “pienamente inseriti, logisticamente e funzionalmente, nell’organizzazione predisposta da A. per il funzionamento del call center”, senza che risultasse in capo alla appaltatrice alcun potere organizzativo e direttivo sui propri dipendenti e neanche un reale rischio di impresa, atteso che era previsto un corrispettivo fisso parametrato ad un certo numero di telefonate; neppure era stato dimostrato con certezza che il lavoro dei dipendenti Cos si svolgesse conformemente all’oggetto dell’appalto e fosse cioè limitato ai casi di cd. overflow, avendo “alcuni testi riferito che i dipendenti Cos potevano rispondere anche se i dipendenti A. non erano impegnati al telefono”; infine era documentalmente dimostrata “la trasmissione continua di istruzioni a tutti gli addetti al call center, dipendenti Cos o A., e il controllo sul contenuto dell’attività svolta (anche tramite le cd. chiamate civetta, cfr. istruttoria sul punto);
16. posta tale ricostruzione in fatto, la sentenza impugnata ha interpretato ed applicato il disposto dell’art. 29 del d.lgs n. 276 del 2003 in maniera conforme ai principi affermati da questa Corte, secondo cui il legislatore delegato se, da un lato, ha consentito che l’appaltatore, in relazione alla peculiarità dell’opera o del servizio, possa limitarsi a mettere a disposizione dell’utilizzatore la propria professionalità, intesa come capacità organizzativa e direttiva delle maestranze, a prescindere dalla proprietà di macchine ed attrezzature, dall’altro ha ritenuto imprescindibile ai fini della configurabilità dell’appalto lecito che sia l’appaltatore stesso ad organizzare il processo produttivo con impiego di manodopera propria, esercitando nei confronti dei lavoratori un potere direttivo in senso effettivo e non meramente formale. Ne discende che, anche per gli appalti stipulati nella vigenza del richiamato decreto legislativo, opera il principio, ripetutamente affermato da questa Corte, secondo cui si configura intermediazione illecita “ogni qual volta l’appaltatore metta a disposizione del committente una prestazione lavorativa, rimanendo eventualmente in capo a lui, datore di lavoro, i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto (quali retribuzione, pianificazione delle ferie, assicurazione della continuità della prestazione), ma senza una reale organizzazione della prestazione stessa, finalizzata ad un risultato produttivo autonomo” (Cass. 7898 del 2011 e negli stessi termini fra le più recenti Cass. n. 27213 del 2018; n. 27105 del 2018; n. 10057 del 2016; n. 7820 del 2013);
17. è stato poi osservato che, una volta accertata l’estraneità dell’appaltatore alla organizzazione e direzione dei prestatori di lavoro nell’esecuzione dell’appalto, è del tutto ultronea qualsiasi questione inerente il rischio economico e l’autonoma organizzazione dell’appalto, né rileva che l’impresa appaltatrice sia effettivamente operante sul mercato, atteso che, se la prestazione risulta diretta ed organizzata dal committente, per ciò solo si deve escludere l’organizzazione del servizio ad opera dell’appaltante (in questi termini Cass. n. 11720 del 2009; n. 17444 del 2009; Cass. n. 9624 del 2008 che ha ritenuto sussistenti gli indici rivelatori della intermediazione vietata in fattispecie nella quale era stato accertato che la direzione tecnica e il controllo della prestazione lavorativa era affidata nella sostanza alla competenza esclusiva del committente mentre le società appaltatrici, lungi dall’interferire sulla organizzazione del servizio appaltato, si limitavano alla gestione dei turni, alla corresponsione della retribuzione, alla gestione delle ferie ed in genere all’amministrazione del personale);
18. la decisione dei giudici di appello si pone in linea con i citati precedenti di legittimità e si sottrae alle dedotte censure di violazione di legge; da ciò consegue il rigetto del ricorso;
19. le spese del giudizio di legittimità, nella misura indicata in dispositivo, seguono la soccombenza;
20. ai sensi dell’art. 13 c. 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5.000,00 per compensi professionali, in euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art, 13 c. 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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