CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 luglio 2019, n. 18568
Indennità di malattia – Cartella di pagamento – Omesso versamento contributi – art. 20, comma 1, d.l. n. 112 del 2008
Rilevato che
il giudice del lavoro del Tribunale di Milano ha riconosciuto dovuta la somma di euro 31.367,52, maggiorata dei soli interessi legali, in parziale accoglimento dell’opposizione proposta da M. I. C. and C. s.p.a. avverso la cartella di pagamento con la quale l’Inps aveva preteso il pagamento di euro 273.666,75 a titolo di omesso versamento di contributi relativi alle indennità di malattia concernenti i periodi 1.11.1994 – 31.12.1994, 1.3.1995 – 31.3.1995, 1.9.1995 – 31.12.1995, 1.1.1996- 31.12.1996;
per quanto qui di interesse e tralasciando le vicende di quel giudizio, che era stato sospeso per via della questione di costituzionalità ivi sollevata, il Tribunale ha ritenuto non applicabile retroattivamente il disposto dell’art.20, comma 1 d.l. n. 112 del 2008 conv. in I. n. 133 del 2008 e solo in parte (quanto al periodo contributivo precedente alla data di deposito del ricorso originario del 14 settembre 1995) fondata l’eccezione di giudicato determinatosi tra le parti, tra le quali era intercorso un corposo contenzioso, per effetto della sentenza n. 10232 del 2003 delle Sezioni Unite della Corte di cassazione che aveva affermato l’obbligo delle società del gruppo di versare la contribuzione per l’indennità di malattia anche se le stesse erogavano in forza di contrattazione collettiva tale prestazione ai propri dipendenti;
pronunciando sugli appelli, poi riuniti, proposti sia dalla società che dall’Inps, la Corte d’appello di Milano ha riformato in parte la sentenza di primo grado rigettando l’opposizione a cartella, in parziale accoglimento dell’impugnazione dell’Istituto riferita alla efficacia preclusiva dell’applicazione del citato art. 20, comma 1, relativamente all’intero periodo contributivo oggetto di causa e ciò in quanto il giudizio, al cui esito fu pronunciata la sentenza n. 10232 del 2003 della Corte di cassazione, non era di mero accertamento ma aveva avuto ad oggetto la espressa domanda di condanna portata dal decreto ingiuntivo n. 7731 del 1996, emesso nei confronti della s.p.a. S. S. all’ingrosso Lombarda di Cinisello Balsamo (oggi odierna ricorrente) e riferito al periodo contributivo intercorrente dal 1.1.1994 al 30.8.1995;
pertanto, ad avviso della Corte territoriale, ravvisata la natura non interpretativa del citato art. 20, comma 1, d.l. n. 112 del 2008, i principi in tema di giudicato nei rapporti contributivi imponevano di ritenere sussistente l’obbligo di pagamento in quanto la legge sopravvenuta aveva previsto l’esonero dall’obbligo contributivo solo dal 1 gennaio 2009; inoltre, in relazione al disposto della seconda parte dell’articolo sopra citato, la Corte territoriale ha ritenuto irripetibile la contribuzione già versata ed applicabile il regime sanzionatorio dell’omissione contributiva di cui all’art. 116, comma 8, lettera a) I. n. 388 del 2000;
per la cassazione della sentenza ricorre la suddetta società con sei motivi; l’Inps resiste con controricorso;
il P.G. ha concluso chiedendo l’accoglimento del terzo motivo, il rigetto del primo e del secondo e l’assorbimento degli altri;
Considerato che
col primo motivo, dedotto per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ., degli artt. 163, 414, 442 cod.proc.civ., dell’art. 6 I. n. 138 e dell’art.20, comma 1 primo inciso, d.l. n. 112 del 2008 conv. in I. n. 133 del 2008, si deduce l’erroneità della sentenza impugnata laddove si è ravvisata l’esistenza del giudicato esterno, derivato dalla sentenza della Corte di cassazione SS.UU. n. 10232 del 2003, in assenza della piena identità tra l’azione esercitata in quel giudizio e quella qui in oggetto, quanto a petitum ed a causa petendi;
con il secondo motivo, si deduce la violazione e o la falsa applicazione degli artt. 2909 cod. civ., dell’art. 20, comma 1 primo inciso,d.l. n. 112 del 2008 conv. in I. n. 133 del 2008 e dell’art. 6 I. n. 138 del 1943, laddove la sentenza impugnata ha negato il principio secondo il quale gli effetti dello ius superveniens nelle obbligazioni di durata travolgono un eventuale giudicato esterno;
il terzo motivo denuncia la violazione e o la falsa applicazione dell’art. 20, comma 1 primo inciso e secondo inciso, d.l. n. 112 del 2008 conv. in I. n. 133 del 2008 e l’illegittimità costituzionale dell’art. 20 comma 1- secondo inciso- d.l. n. 112 del 2008 conv. in I. n. 133 del 2008, laddove la sentenza impugnata non ha accolto l’eccezione di avvenuto pagamento con richiesta di restituzione della contribuzione versata con riferimento agli anni precedenti al primo gennaio 2009, in considerazione dell’intervenuta sentenza n. 82 del 2013 della Corte Costituzionale che ha dichiarato la illegittimità costituzionale del secondo inciso della citata disposizione; il quarto motivo denuncia l’omesso esame del fatto, decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti, costituito dall’avvenuto pagamento con riserva di ripetizione della contribuzione per il finanziamento dell’indennità di malattia, che la Corte d’appello ha ritenuto di inutile accertamento;
il quinto motivo deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti relativo al pagamento, con riserva di ripetizione, da parte della società ricorrente degli importi pretesi a titolo di sanzioni;
il sesto motivo denuncia, infine, in via subordinata rispetto all’accoglimento dei primi due motivi, la violazione e o falsa applicazione dell’art. 116, comma 15, I. n.388 del 2000 riguardo al mancato riconoscimento del regime sanzionatone più favorevole;
il primo ed il secondo motivo, esaminabili congiuntamente per ragioni di connessione, sono infondati;
la Corte territoriale ha ritenuto che il contenzioso intercorso tra le parti e sfociato nella sentenza di questa Corte di cassazione n. 10233 del 2003 abbia reso intangibile, dal successivo intervento normativo, l’accertamento dell’obbligo contributivo controverso anche per il periodo che forma oggetto del presente giudizio, sostanzialmente compreso, con intervalli, nell’arco temporale trascorso tra il novembre 1994 ed il dicembre 1996; la decisione è stata motivata, in sostanza, mediante la considerazione che il giudicato di cui si discute si innesta non solo sulla domanda di accertamento negativo promossa originariamente nel settembre 1995, poi riassunta dinanzi al Pretore di Milano, ma anche sulla opposizione al decreto ingiuntivo n. 7731 del 1996 che fu proposto, per ottenere la revoca del provvedimento monitorio relativo alla stessa contribuzione qui in rilievo, dalla dante causa della odierna ricorrente, per cui l’intangibilità del giudicato copre anche la pretesa impositiva fatta valere dall’Inps, senza che la legge successivamente intervenuta possa impedire l’efficacia del giudicato medesimo;
la ricorrente ritiene che il giudicato non si sia formato in quanto lo stesso presuppone che, comparando il giudizio pendente con quello relativo alla sentenza definitiva, sussista piena identità tra petitum e causa petendi e tale coincidenza di petitum non sussisterebbe, nel caso di specie, perché il giudizio pendente ha per oggetto la pretesa dell’Inps di ottenere il pagamento della contribuzione sopra indicata a mezzo della cartella opposta, mentre il giudizio definito ha riguardato l’accertamento negativo dell’obbligo di pagare la contribuzione relativa alla indennità di malattia e, su talepresupposto, l’insussistenza del credito portato dal decreto ingiuntivo n. 7731 del 1996;
dunque, da tale circostanza e dal fatto che il periodo contributivo accertato con la sentenza definitiva era precedente a quello richiesto nel presente giudizio, la ricorrente trae la conclusione della piena applicazione dello ius superveniens che giudica di natura interpretativa e, quindi, ad efficacia retroattiva;
la tesi giuridica che viene sostenuta è contraria alla consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità in quanto sembra sostenere che non possa aversi identità di azione nel caso in cui lo stesso diritto sia stato azionato con la procedura per decreto ingiuntivo e con la iscrizione a ruolo e successiva notifica di cartella di pagamento, ma ciò non risponde al principio più volte affermato (Cass. n. 4806 del 2019; Cass. n. 25024 del 2011), secondo il quale, in tema di omissioni contributive, l’ente previdenziale ancorché abbia già ottenuto un titolo esecutivo giudiziale, può esperire la procedura di riscossione mediante iscrizione a ruolo ed emanazione della relativa cartella esattoriale ex d.lgs. n. 46 del 1999, in quanto nessuna norma impedisce tale scelta, né contempla sanzioni sul piano della validità della cartella esattoriale, senza che assuma rilievo il principio del “ne bis in idem”, non implicando il ricorso alla procedura citata la richiesta di un nuovo accertamento della pretesa creditoria; inoltre, la sentenza di questa Corte n. 10332 del 2003 ha chiaramente indicato l’oggetto del petitum, riferito ai ricorsi al Pretore di Milano depositati tra il 14 settembre 1995 ed il 10 maggio 1996, con i quali le società indicate, chiedevano, in via diretta oppure in opposizione a decreti ingiuntivi, l’accertamento negativo del loro obbligo a versare all’Inps i contributi per malattia a decorrere dal 1^ gennaio 1994, giacché in base al contratto collettivo aziendale del 14 dicembre 1990, esse erano tenute a corrispondere ai dipendenti ammalati l’importo dell’intera retribuzione netta, sostituendosi così all’Istituto previdenziale nell’obbligazione indennitaria; inoltre, quanto al periodo non coperto dalla sentenza n. 10332 del 2003 (che la Corte territoriale ha individuato nell’arco temporale compreso tra il 1.9.1995 ed il 31.12.1996), va confermato quanto affermato dalla sentenza impugnata circa l’effetto espansivo del giudicato esterno rispetto al periodo successivo, posto che la società ha continuato a far valere ai fini dell’esclusione dell’obbligo di versamento del contributo per malattia nella misura del 2,44%, l’esistenza della contrattazione collettiva del 14 dicembre 1990 ed ha sollevato i medesimi dubbi di legittimità costituzionale; è, dunque, evidente che l’efficacia del giudicato di cui si è sin qui detto rende inapplicabile alla fattispecie qui in esame la disposizioni sopravvenuta dovendosi fare applicazione del principio secondo il quale, in ordine ai rapporti giuridici di durata e alle obbligazioni periodiche che eventualmente ne costituiscano il contenuto, sui quali il giudice pronuncia con accertamento su una fattispecie attuale ma con conseguenze destinate ad esplicarsi anche in futuro, l’autorità del giudicato impedisce il riesame e la deduzione di questioni tendenti ad una nuova decisione di quelle già risolte con provvedimento definitivo, il quale pertanto esplica la propria efficacia anche nel tempo successivo alla sua emanazione, con l’unico limite di una sopravvenienza, di fatto o di diritto, che muti il contenuto materiale del rapporto o ne modifichi il regolamento ( Cass. n. 20765 del 2018; n. 15493 del 2015);
quanto, poi, alla possibile incidenza su tale giudicato dello ius superveniens costituito dalla disciplina introdotta dall’art. 20 del D.L. n. 112 del 2008, convertito in legge dalla L. 6 agosto 2008, n. 133, questa Corte di legittimità (da ultimo, Cassazione civile sez. I, 10/12/2018, n.31904) ha chiarito che “il fondamento del giudicato sostanziale, regolato dall’art. 2909 c. c., che risponde al generale principio della certezza del diritto, è quello di rendere insensibili le situazioni di fatto dallo stesso considerate, per le quali è stata individuata ed applicata la corrispondente “regula iuris”, ai successivi mutamenti della normativa di riferimento, anche con riguardo allo “ius superveniens” che contenga norme retroattive, salva una diversa volontà espressa dal legislatore” (Cass. 18339/2003; conf. Cass. 1583/2010); l’applicazione di tali principi al caso in oggetto fa sì che la norma di cui alla d. l. n. 112 del 2008 conv. in I. n. 133 del 2008, che non contiene previsione alcuna di caducazione dei giudicati sostanziali già formatisi, non è suscettibile di incidere, nel caso concreto, in relazione alle situazioni giuridiche già oggetto di sentenza definitiva passata in giudicato;
il terzo motivo è fondato avendo questa Corte pure affermato (Cass. n. 24997 del 2013) che per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 82 del 2013 secondo la quale l’art. 20 (nel testo originario) del D.L. n. 112 del 2008, convertito in legge dalla L. 6 agosto 2008, n. 133, art. 1 – che ha introdotto una nuova disciplina del contributo previdenziale relativo all’assicurazione contro le malattia, stabilendo (innovando rispetto al diritto vivente) la non debenza dei contributi di malattia da parte dei datori di lavoro che corrispondono ai propri dipendenti il trattamento di malattia mantenendo fermi i pagamenti (indebiti) eventualmente già eseguiti a tale titolo da quei datori di lavoro – ha dichiarato il predetto art. 20 illegittimo, per violazione del principio di uguaglianza consacrato nell’art. 3 Cost., nella parte in cui (art. 20, comma 1, secondo periodo, originaria formulazione) a fronte della non debenza della prestazione patrimoniale di cui trattasi, prevede l’irripetibilità di quanto sia stato versato nell’apparente adempimento della (in realtà inesistente) obbligazione; da ciò consegue che, a fronte della richiesta di parte ricorrente di ottenere la restituzione dei contributi per indennità di malattia non dovuti e versati con riferimento al periodo 1997-1998, successivo al 31.12.1996 (come si è visto coperto dal giudicato sull’an), ed avendo la sentenza impugnata ritenuto irrilevante tale accertamento posta la irripetibilità di tali somme, prevista dalla disposizione dichiarata incostituzionale, la sentenza va, in parte qua, cassata, al fine di esaminare la domanda di restituzione sopra descritta;
gli ulteriori motivi, a fronte dell’accoglimento del terzo motivo, restano assorbiti essendo relativi ai profili sanzionatori connessi al pagamento dei contributi di cui si chiede la restituzione;
la sentenza impugnata va, dunque, cassata in parte qua con rinvio alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità;
P.Q.M.
Accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta il primo ed il secondo, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata quanto al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità.
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