CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 maggio 2019, n. 12493
Tributi – IRPEF – Cessione di terreno inserito in zona destinata ad insediamenti produttivi – Plusvalenza tassabile – Determinazione valore imponibile – Deduzione dei costi sostenuti – Contenzioso tributario – Appello – Modifica statuizione sulle spese del giudizio davanti alla CTP – Assenza di specifica richiesta di parte – Illegittimità
Rilevato che
1. L’Agenzia delle Entrate ha notificato al contribuente G.B. avviso di accertamento, con il quale ha recuperato, ai fini IRPEF, applicando l’art. 67 (già 81), comma 1, lett. b), del d.P.R. del 22/12/1986, n. 917, un componente attivo non dichiarato del reddito imponibile relativo all’anno d’imposta 2004, costituito dalla plusvalenza di euro 72.000,00, realizzata in seguito alla vendita, da parte dello stesso contribuente, di un terreno edificabile sito nel Comune di Bellizzi (SA).
2. Il contribuente ha impugnato l’avviso di accertamento dinnanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma, assumendo che nel caso di specie non poteva configurarsi, ai sensi dell’art. 67, comma 1, lett. b), del d.P.R. n. 917 del 1986, una plusvalenza realizzata a seguito di cessione a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione, in quanto era stato alienato un terreno che ricadeva , secondo il vigente strumento urbanistico adottato dal Comune, nella zona D (artigianale-industriale) del Piano per gli insediamenti produttivi (P.I.P.), ma con la destinazione urbanistica a «verde pubblico e strade e parcheggio di piano», che ne escludeva pertanto l’utilizzabilità edificatoria. Inoltre, il contribuente deduceva che la quantificazione della plusvalenza andava comunque ridotta, in considerazione di spese sostenute per l’immobile, che avrebbero dovuto essere sommate al prezzo iniziale di acquisto del bene, pagato dal contribuente.
3. La CTP ha accolto parzialmente il ricorso, ritenendo, ai fini fiscali, il terreno edificabile, perché inserito in zona destinata ad insediamenti produttivi, e confermando pertanto la sussistenza di una plusvalenza tassabile, tuttavia ridotta in ragione delle spese sostenute dal contribuente, ad euro 38.558,00.
4. Il contribuente ha quindi proposto appello, contro la decisione di primo grado, con ricorso alla Commissione tributaria regionale del Lazio, che lo ha respinto, condannando il ricorrente alle spese dei due gradi di giudizio, con la sentenza n. 148/37/12, depositata il 5 giugno 2012.
5. Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per la cassazione il contribuente, formulando cinque motivi.
6. L’Agenzia delle Entrate si è costituita, al solo fine di partecipare all’udienza di discussione.
7. Il Ministero dell’economia e delle finanze è rimasto intimato.
Considerato che
1. Con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, num. 3, il contribuente ricorrente ha censurato la decisione impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 67, comma 1, lett. b), del d.P.R. n. 917 del 1986, per avere il giudice a quo erroneamente ritenuto che la destinazione urbanistica del terreno a «verde pubblico e strade e parcheggio di piano» non escludesse, ai fini IRPEF, l’utilizzabilità edificatoria e, quindi, la contestata plusvalenza.
2. Con il secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, num. 3, il contribuente ricorrente ha censurato la decisione impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 67, comma 1, lett. b), del d.P.R. n. 917 del 1986, per avere il giudice a quo erroneamente ritenuto rilevante, ai fini della verifica dell’utilizzabilità edificatoria e, quindi, della contestata plusvalenza, la circostanza che l’acquirente del bene fosse un imprenditore edile, dato non significativo ai sensi della citata norma regolatrice della fattispecie.
3. Con il terzo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, num. 3, il contribuente ricorrente ha censurato la decisione impugnata per falsa applicazione dell’art. 67, comma 1, lett. b), del d.P.R. n. 917 del 1986, per avere il giudice a quo erroneamente ritenuto rilevante, ai fini della verifica della contestata plusvalenza, che il terreno fosse suscettibile comunque di «una certa valutazione economica», sostituendo la propria valutazione a quella del legislatore che, con la norma citata, prende in considerazione esclusivamente la sua edificabilità.
4. Con il quarto motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, num. 5, il contribuente ricorrente ha censurato la decisione impugnata per contraddittorietà della sua motivazione, nella parte in cui, al fine di accertare la plusvalenza, ha dato rilevanza alla circostanza che con lo stesso rogito notarile sia stato venduto anche un fabbricato rurale per il quale era stato rilasciato permesso di ristrutturazione, restauro e risanamento conservativo, sebbene i due immobili – il fabbricato ed il terreno- fossero stati alienati come entità tra loro indipendenti e con prezzi distinti.
5. Con il quinto motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, num. 4, il contribuente ricorrente ha censurato la decisione impugnata per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per avere erroneamente il giudice a quo condannato lo stesso contribuente appellante anche alle spese del primo grado di merito, sebbene la CTP le avesse compensate e l’Agenzia delle Entrate non avesse proposto appello avverso il relativo capo di sentenza.
6. Preliminarmente, è inammissibile il ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze, che dalla sentenza impugnata non risulta essere stato parte del giudizio d’appello.
7. Tanto premesso, i primi quattro motivi possono essere trattati congiuntamente, per la loro connessione, e sono infondati.
Infatti, con orientamento prevalente, questa Corte ha già ritenuto che «l’inclusione di un’area in una zona destinata dal piano regolatore generale a servizi pubblici o di interesse pubblico (quali parcheggi, strade, verde pubblico attrezzato) incide senz’altro nella determinazione del valore venale dell’immobile, da valutare in base alla maggiore o minore potenzialità edificatorie, ma non ne esclude l’oggettivo carattere edificabile, atteso che i vincoli d’inedificabilità assoluta, stabiliti in via generale e preventiva nel piano regolatore generale, vanno tenuti distinti dai vincoli di destinazione che non fanno venir meno l’originaria natura edificabile. Pertanto la cessione di tali aree a titolo oneroso è idonea a determinare l’insorgenza di una plusvalenza imponibile ai fini Irpef a norma dell’art. 67 comma primo lett. 6) d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917, dovendosi considerare che non sussiste alcun elemento interpretativo dal quale desumere che l’espressione “terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria”, contenuta nella norma citata, possa tradursi nella più restrittiva accezione di “terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria residenziale“. (Sez. 5, Sentenza n. 15320 del 19/06/2013, Rv. 627165; Sez. 5, Sentenza n. 14763 del 15/07/2015, Rv. 636122; Sez. 5, Sentenza n. 5161 del 05/03/2014, Rv. 629722)» (Cass., 15/07/2016, n. 14503, in motivazione. Nello stesso senso Cass. 06/12/2017, n. 29183).
Pertanto, non ha errato la CTR nel ritenere che, nel caso di specie, sussistesse una plusvalenza tassabile in relazione all’utilizzabilità edificatoria del terreno e nel sostenere, per quanto con espressione non puntuale, che quest’ultimo abbia «una certa valutazione economica».
Quanto poi alle ulteriori valutazioni, contenute nella sentenza impugnata e relative alla circostanza che con lo stesso rogito notarile è stato venduto, al medesimo acquirente, che è una società di costruzioni, anche un fabbricato rurale per il quale era stato rilasciato permesso di ristrutturazione, restauro e risanamento conservativo, deve ritenersi che, essendo stata nel caso di specie accertata la plusvalenza limitatamente alla vendita del terreno (così come dedotto nello stesso ricorso), si tratta di considerazioni ulteriori che non integrano, né contraddicono, la ratio decidendi, fondata sulla utilizzabilità edificatoria, nei termini già chiariti, dello stesso fondo.
Ed anzi, deve sottolinearsi che proprio le stesse argomentazioni del ricorrente – che rimarca come il fabbricato ed il terreno siano stati alienati, sia pur con il medesimo atto, come entità tra loro indipendenti e con prezzi distinti – contribuiscono ad evidenziare la sussistenza della plusvalenza contestata, escludendo che, al fine di sottrarre la fattispecie della vendita del terreno all’art. 67 comma primo lett. b) d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917, possa in ipotesi attribuirsi rilevanza alla contestuale vendita del fabbricato (peraltro già oggetto, comunque, di un permesso di ristrutturazione, restauro e risanamento conservativo).
8. Il quinto motivo è fondato, in quanto il giudice di appello che rigetti il gravame non può, in assenza di uno specifico motivo di impugnazione in ordine alla decisione sulle spese processuali, modificare tale statuizione (cfr. Cass. 27/08/2015, n. 17195. Nello stesso senso, con riferimento al giudizio di legittimità, Cass. 11/10/2018, n. 25357, secondo cui il controricorrente vittorioso in sede di legittimità, che intenda ottenere la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di lite, non solo del giudizio che si è svolto davanti alla Corte di cassazione, ma anche di quelle dei due gradi di merito, in relazione alle quali è intervenuta pronuncia di compensazione, deve proporre ricorso incidentale avverso quest’ultima statuizione del giudice di appello).
Nel caso di specie la CTR – senza dare atto che l’appellato Ufficio avesse proposto impugnazione incidentale, ma sul mero presupposto che la stessa parte aveva domandato la condanna dell’appellante alle spese dei due gradi di giudizio – pur avendo rigettato l’appello e confermato nel merito la decisione di primo grado, ha modificato la statuizione sulle spese del giudizio davanti alla CTP, condannando il contribuente appellante «alle spese dei due gradi di giudizio pari ad euro 1.000,00 (mille)».
La sentenza impugnata va quindi cassata in parte qua, con conseguente passaggio in giudicato del capo della sentenza di primo grado relativo alle spese di lite. Tuttavia, considerato che la sentenza della CTR ha espresso la quantificazione della condanna alle spese dei due gradi di merito con un importo unitario, senza che possa ricavarsi (neppure attraverso la lettura del dispositivo coordinata con la motivazione), la quota imputata dal giudice a quo alle spese di lite relative al giudizio d’appello (a loro volta non impugnate dall’appellato vittorioso nel merito), è necessario rinviare la causa alla CTR affinché provveda alla quantificazione delle sole spese del giudizio di appello, in misura che non ecceda comunque I’ importo di quelle liquidate nella sentenza impugnata per ambedue i gradi di merito.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze;
rigetta il primo, il secondo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso;
accoglie il quinto motivo di ricorso nei termini di cui in motivazione;
cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto;
rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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