CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 maggio 2019, n. 12522

Tributi – Accise sugli oli minerali – Furto di prodotti petroliferi mediante atti fraudolenti – Avviso di pagamento – Motivazione per relationem a pvc e sentenza di patteggiamento del procedimento penale – Legittimità

Fatti di causa

La Agenzia delle Dogane di Palermo – in esito a processo verbale della Guardia di Finanza in data 31 luglio 2002, che aveva riscontrato come alcuni soggetti, fra cui S.D., si erano impossessati, negli anni 2000, 2001 e 2002 di una determinata quantità di prodotti petroliferi soggetti ad accisa mediante atti fraudolenti, provvedendo a trasportarli al di fuori del deposito fiscale della Srl E.I. della stessa città, con conseguente evasione fiscale, cui era conseguito un procedimento penale definito, su richiesta del D., con sentenza del tribunale di Palermo n. 962 del 19.2.2012, divenuta irrevocabile il 3 aprile 2003, di applicazione della pena di un anno e sei mesi di reclusione ed euro 200 di multa – aveva emesso, nei confronti di S.D., che ora interessa, l’avviso di pagamento protocollo n. 21109/2007, notificato il 20 ottobre 2007, concernente “accisa sugli oli minerali” per complessivi euro 730.788,30 per i tre anni in contestazione, mentre la Agenzia delle Entrate — Ufficio di Bagheria aveva emesso autonomamente, nei confronti dello stesso D., tre avvisi di accertamento per IRPEF, IRAP ed IVA.

Il contribuente impugnava l’avviso di pagamento lamentando, per quanto ancora interessa, la nullità derivata dell’atto per vizi di legittimità della procedura di verifica, la carenza di motivazione dell’avviso per omessa allegazione del pvc e la inattendibilità del criterio di ricostruzione impositiva contenuto nel pvc, con conseguente irragionevolezza della pretesa erariale e mancanza di prova dovuta alla mancata allegazione di elementi concreti di supporto, ma la Commissione Tributaria Provinciale di Palermo, con la sentenza n. 411/10/2009, depositata il 24 novembre 2009, rigettava il ricorso del contribuente.

Investita dall’appello del contribuente che riproponeva le questioni prospettate in primo grado, mentre la Agenzia delle Dogane contestava tutte le doglianze, la Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, con sentenza n. 127/29/2012, depositata il 27 settembre 2012, ha accolto l’appello e compensato fra le parti le spese del giudizio di merito. Ha rilevato in primo luogo che erano nel frattempo passate in giudicato le sentenze della CTR della Sicilia n. 93/29/2009, 94/29/2009, 6/29/2009 e 34/35/2009 che avevano annullato gli accertamenti afferenti ad IRPEF, IRAP ed IVA che traevano origine dal medesimo processo verbale di constatazione riguardante i medesimi fatti storici, successive al passaggio in giudicato della sentenza di patteggiamento e che era stata emessa, altresì, la sentenza d’appello n. 81/29/2012 che aveva annullato analogo avviso di pagamento emesso nei confronti di altri soggetti ritenuti corresponsabili con l’odierno contribuente della stessa pretesa erariale. Ha rilevato poi che la sentenza di patteggiamento, pur se definitiva e relativa agli stessi fatti, non aveva natura ed efficacia giuridica tale da consentire una “automatica” applicazione nel giudizio tributario, restando al contrario priva di valenza probatoria in altri giudizi, come risultava dall’art. 445 cpc, il che inficiava l’argomento portato dai giudici di primo grado che avevano ritenuto che con la sentenza di patteggiamento l’imputato aveva rinunciato alla facoltà di contestare l’accusa. Infine, la CTR ha ritenuto di condividere le argomentazioni dell’appellante con riferimento ai vizi del pvc per essere stato il contribuente avvertito del diritto di farsi assistere da un difensore solo al momento della sua presentazione al Comando della Guardia di Finanza e non durante le operazioni le precedenti operazioni di verifica, in violazione dell’art. 12, comma 2, della legge n. 212 del 2000 e per avere le operazioni di verifica avuto durata superiore ai 30 giorni, in violazione dell’art. 12, comma 5, della stessa legge n. 212 del 2000, nonché ai vizi del provvedimento impugnato che era motivato con mero richiamo al pvc, senza alcun altro riferimento, in violazione dell’art. 7 della legge n. 212 del 2000, in mancanza di qualsiasi prova della pretesa erariale, spettante all’Ufficio, mentre la pretesa probatoria oggetto del presente giudizio risultava ormai destituita di fondamento per effetto dell’annullamento in primo grado, in virtù delle sentenze n. 213/1/2006 e 214/1/2006, degli avvisi di accertamento emessi dalla Agenzia delle Entrate nei confronti dell’odierno ricorrente per i medesimi anni. Contro la sentenza d’appello, non notificata, ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, la Agenzia delle Dogane con atto consegnato all’UNEP in data 11.7.2013 e notifica completata il 18 luglio successivo.

Resiste l’intimato con controricorso con cui deduce la inammissibilità e comunque la infondatezza del ricorso.

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo la Agenzia delle Dogane lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 cpc, per avere la sentenza impugnata riconosciuto effetto di giudicato nel presente giudizio ad altre sentenze sia definitive che non definitive per fatti che riguardavano direttamente o indirettamente l’odierna controversia, mentre era principio consolidato nella giurisprudenza della Corte di cassazione che l’accoglimento dei ricorsi contro gli avvisi di accertamento relativi ad altre imposte non potevano mai fare stato nel giudizio promosso contro un avviso di pagamento per accise, pur se gli atti impositivi traevano origine dallo stesso processo verbale e che ugualmente nessuna efficacia poteva riconoscersi alla sentenza 28/29/2012 della CTR di Palermo, peraltro neppure in giudicato, che riguardava un soggetto diverso e cioè B.D.V., pur responsabile in solido con l’attuale ricorrente.

2. Con il secondo motivo denuncia violazione degli artt. 2697 e 2700 c.c., ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc, per avere la sentenza impugnata accolto l’appello del contribuente sotto il profilo che la Agenzia delle Dogane non avrebbe sollevato alcuna contestazione né prodotto elementi di prova a sostegno del preteso sistema di scarico del carburante dalle navi e neppure fornito alcun elemento di prova a sostegno della pretesa erariale, benchè emergesse dalle controdeduzioni in appello, pagg. 4 e 10 (trascritte integralmente a pagina 11 del ricorso per cassazione), che la Agenzia aveva puntualmente contestato i motivi di appello e rilevato che il pvc — il quale aveva l’efficacia probatoria di cui all’art. 2700 c.c., fino a querela di falso, in ordine alle dichiarazioni rese davanti ai pubblici ufficiali ed agli accertamenti da essi svolti, erroneamente disconosciuta dalla sentenza impugnata – aveva descritto dettagliatamente i meccanismi ed i metodi di rilevazione che avevano portato alla quantificazione del prodotto sottratto, nonché trascritto le specifiche dichiarazioni rese da D.S. che aveva spiegato come “il livello dei serbatoi del deposito, determinato in seguito ad operazioni di scarico nave, veniva ritoccato al ribasso di 4.000, 5.000 o 8.000 litri, a seconda dei casi, chiarendo come avveniva il sistema di scarico delle navi e confermando così la propria responsabilità in ordine ai fatti contestati come risulta dalla sopracitata sentenza di patteggiamento -, spiegando in tal modo e dimostrando il meccanismo fraudolento che aveva portato all’accertamento del prodotto sottratto ed in seguito venduto in nero.

3. Con il terzo motivo si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 445 cpp e 116 cpc, in relazione all’art. 360 n. 4 cpc, per avere la sentenza impugnata erroneamente escluso qualsiasi valenza probatoria della sentenza di patteggiamento nel processo tributario, benchè l’art. 445 cpp non faccia alcun riferimento ai giudizi tributari e la norma, così come interpretata dalla giurisprudenza della Corte di cassazione anche a sezioni unite, preveda, al contrario, che la sentenza di patteggiamento costituisce indiscutibile elemento di prova utilizzabile anche in via esclusiva, per la formazione del proprio convincimento, dal giudice civile o tributario, dovendosi altrimenti spiegare le ragioni per le quali l’imputato abbia ammesso una sua insussistente responsabilità ed il giudice penale abbia prestato fede ad una tale ammissione.

4. Con il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 12 comma 2 della legge n. 212 del 2000, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc, per avere la sentenza impugnata erroneamente applicato tale disposizione in ipotesi di verifica nei confronti di altro soggetto e solo successivamente estesa al ricorrente.

5. Con il quinto motivo denuncia violazione dell’art. 360 n. 5 cpc per avere la sentenza impugnata affermato “analogamente condivisibili risultano i motivi di ricorso con riferimento alla violazione dell’art. 12 comma 5 della legge n. 212 del 2000 nella parte in cui prevede che le operazioni di verifica non possono superare la durata di trenta giorni lavorativi”, pur trattandosi di norma che pone solo un termine ordinatorio il cui prolungamento non comporta alcuna invalidità dell’accertamento, come ritenuto anche dalla giurisprudenza consolidata della Suprema Corte.

Infine, con il sesto motivo, deduce violazione e falsa applicazione degli art. 7 della legge n. 212 del 2000 e 11, comma 5 bis del D. Lgs. n. 374 del 1990, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc, per avere la sentenza impugnata ritenuto che “il semplice richiamo al pvc nell’avviso di pagamento, senza alcun altro riferimento, non integra il requisito della motivazione previsto dall’art. 7 della legge n. 212 del 2000 il quale recita: Gli atti dell’Amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dall’art. 3 della legge 7 agosto 1990 n. 241”, e quindi la nullità dell’accertamento per difetto di motivazione, benchè, da un lato, non vi fosse l’obbligo di allegare all’accertamento il pvc, peraltro nella specie già notificato alla parte, bensì solo di richiamarlo nei suoi tratti essenziali, al fine della validità della motivazione per relationem, come peraltro espressamente previsto dall’art. 11, comma 5 bis della legge n. 374 del 1990, completamente ignorato dalla sentenza impugnata, che riguardava specificamente l’accertamento in materia doganale, e, da altro lato, dall’avviso di pagamento risultasse testualmente “Recupero accisa sugli oli minerali, a seguito di p.v. di constatazione della Guardia di Finanza Nucleo Regionale Polizia tributaria Sicilia del 31.7.2002, relativamente a oli minerali sottratti negli anni 2000, 2001 e 2002 presso il Deposito Costiero E.I. Srl di Palermo. Sentenza n. 962/02 del 9.11.2002” e quindi una motivazione completa, basata su atti notificati e conosciuti dalla parte.

7. Preliminarmente occorre rilevare che deve essere disattesa la tesi dell’intimato di inammissibilità del ricorso per cassazione presentato dalla Agenzia delle Dogane per omessa impugnazione della ratio decidendi, concorrente o alternativa, della sentenza di appello secondo cui “la Agenzia delle Dogane non aveva sollevato alcuna contestazione né prodotto alcun elemento di prova a sostegno delle proprie tesi”, poiché il secondo motivo di ricorso della Agenzia delle Dogane, al contrario di quanto sostiene la parte intimata, trascrive testualmente proprio tale ratio decidendi e denuncia violazione degli artt. 2697 e 2700 c.c. ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc “per avere la sentenza impugnata accolto l’appello del contribuente sotto il profilo che la Agenzia delle Dogane non avrebbe sollevato alcuna contestazione né prodotto elementi di prova a sostegno del pretesi sistemi di scarico del carburante dalle navi e neppure fornito alcun elemento di prova a sostegno della pretesa erariale”, benchè emergesse dalle controdeduzioni in appello (trascritte integralmente a pagina 11 del ricorso per cassazione), che la Agenzia aveva puntualmente contestato i motivi di appello del contribuente ed indicato precise e dettagliate prove fra cui il pvc che aveva l’efficacia probatoria di cui all’art. 2700 c.c., fino a querela di falso e la sentenza di applicazione al contribuente della pena concordata per i medesimi fatti oggetto dell’accertamento.

7.1. I motivi di ricorso per cassazione seguono l’ordine delle motivazioni addotte dalla sentenza impugnata a sostegno della riforma della sentenza di primo grado, che era stata favorevole alla Agenzia delle Dogane, cosicché consentono di verificare che in realtà il ricorso ha preso in esame tutte le sei ragioni giustificatrici della riforma della sentenza di primo grado (già indicate nella parte espositiva della presente sentenza), ciascuna delle quali avrebbe autorizzato l’annullamento dell’avviso di pagamento, se fondata, e che sono state perciò sottoposte correttamente a censura con i sei separati motivi di ricorso per cassazione.

7.2. Anche la richiesta di inammissibilità dei singoli motivi di ricorso, contenuta nel controricorso -per pretese carenze della prospettazione dei vizi o errori in cui si suppone incorso il giudice di merito in tema di errata individuazione o interpretazione della norma di diritto, con riguardo in particolare ai luoghi del processo onde rinvenire gli atti, le pronunce o le omissioni che si pongono in contrasto con la norma, così da consentire il controllo da parte del giudice-, è priva di fondamento poiché la Agenzia delle Dogane ricorrente ha puntualmente e fedelmente trascritto le parti della sentenza impugnata che ha censurato, nonché gli atti in cui era avvenuta la contestazione nel giudizio di merito ed i princìpi giuridici che erano stati violati, mentre il contribuente ha cercato di attribuire alla motivazione della sentenza significati arbitrari, ad esempio laddove sostiene che il giudice di appello non avrebbe fatto applicazione del principio del giudicato, bensì si sarebbe limitato a sostenere che le precedenti sentenze avrebbero costituito un valido elemento che il giudice avrebbe potuto valutare. E non è vero neppure che i motivi di ricorso per cassazione richiedano, nella specie, una diversa valutazione degli elementi fattuali posti a ragione della decisione — il che rientra pacificamente nel potere discrezionale, come tale insindacabile, del giudice del merito – ovvero una diversa ricognizione della fattispecie concreta — che non integra la violazione di legge —, così da divenire per questo inammissibili, poiché, al contrario, i motivi di ricorso, posti specificamente sotto il profilo della violazione di legge, deducono una erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge, e quindi implicano necessariamente un problema interpretativo della stessa, ovvero censurano i criteri ermeneutici asseritamene violati (ad esempio quelli derivanti dagli artt. 2697 e 2700 c.c. con riguardo alla omessa applicazione della norma relativa alla ripartizione dell’onere probatorio o all’efficacia probatoria del pvc) o ancora la omessa applicazione di una norma processuale o indicano specificamente un preciso “error in iudicando” (v., da ultimo, Sez. 1 -, Ordinanza n. 24155 del 13/10/2017 Rv. 645538 — 03 e numerose altre conformi).

7.3. La prospettazione del controricorso, per cui le contestazioni avrebbero potuto essere poste sotto il profilo del vizio di motivazione, è ugualmente infondata poiché, pur essendo possibile, astrattamente, la censura sotto il diverso profilo della violazione di legge o del vizio di motivazione non si può censurare la scelta della parte ricorrente, a meno che il vizio dedotto sia inammissibile o insussistente.

8. Ciò posto, il primo motivo è fondato.

8.1. La sentenza impugnata, dopo avere illustrato le diverse controversie, alcune concluse anche con sentenza passata in giudicato, che erano collegate direttamente o indirettamente alla presente controversia poichè coinvolgevano altri soggetti interessati dalla stessa operazione della Guardia di Finanze per tributi sia pure diversi ma scaturiti dallo stesso processo verbale di constatazione, ha ritenuto (v. pag. 4 e pag. 6) che, in particolare, dalle sentenze nn. 213/01/06 e 214/01/06 dei giudici tributari di Palermo, che avevano annullato gli avvisi di accertamento emessi dalla Agenzia delle Entrate nei confronti dell’odierno contribuente, riguardanti le stesse annualità di imposta 2000 2001 e 2002, sia pure per diversi tributi (IRPEF, IRAP ed IVA), discendesse automaticamente la destituzione di fondamento della pretesa tributaria relativa alle accise, oggetto del presente giudizio, e ciò tanto più che la Commissione Tributaria Regionale aveva accolto le ragioni di altri soggetti (diversi da S.D.) per il tributo doganale, il che imponeva “per le superiori ragioni” l’accoglimento del ricorso iniziale del contribuente.

8.2. Il giudice di appello, al contrario di quanto sostenuto dall’intimato che ha adombrato trattarsi di un mero richiamo ad altre sentenze come elemento utile ai fini della decisione, ha quindi fatto applicazione del principio del giudicato, come lamentato dalla Agenzia delle Dogane, con riguardo a sentenze che, pur relative allo stesso ricorrente, coinvolgevano la Agenzia delle Entrate e riguardavano diversi tributi (IRPEF, IRAP e IVA) ed addirittura sentenze non ancora passate in giudicato, tanto è vero che ha annullato l’atto impugnato in primo luogo per tale assorbente motivo, richiamato sia al principio che alla fine della motivazione, pur prospettando poi altri cinque argomenti che avrebbero portato ugualmente ed autonomamente all’annullamento dello stesso atto.

8.3. La applicazione del principio del giudicato, da parte della sentenza di appello, si pone però in contrasto con il diverso principio, consolidato in giurisprudenza, per cui il giudicato, formatosi in materia di tributi diretti, non è, ad esempio, preclusivo delle questioni concernenti il diverso rapporto giuridico d’imposta in tema di IVA, anche se relativo alla stessa annualità e scaturente dalla medesima indagine di fatto e tanto più qualora si sia in presenza di tributi avente struttura diversa ed oggettivamente diversi, come ad esempio i tributi diretti e quelli doganali, accertati da diversa Agenzia fiscale, ancorché la pretesa impositiva sia fondata sui medesimi presupposti di fatto (v. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 25200 del 30/11/2009 Rv. 610389 — 01; Sez. 5, Sentenza n. 235 del 09/01/2014 Rv. 629378 — 01; Sez. 5 -, Ordinanza n. 14596 del 06/06/2018 Rv. 649015 — 01; Cass. n. 7884 del 20/4/16; n. 235 del 9/1/2014; n. 3756 del 15/2/2013; n. 802 del 14/1/2011; n. 3706 del 17/2/2010).

8.4. Nella specie, con riguardo al ricorrente, non esisteva d’altronde neppure il giudicato, bensì solo una sentenza di primo grado – come risulta dalla sentenza impugnata – con riguardo all’accertamento effettuato dalla Agenzia delle Entrate, sia pure in base allo stesso pvc, per cui la applicazione della regola dell’automatico annullamento dell’avvivo di pagamento delle accise, in conseguenza dell’annullamento dell’accertamento delle Agenzie delle Entrate, da parte della CTP di Palermo, si pone in palese violazione della regola iuris derivante dall’art. 2909 cc, con riguardo alla interpretazione del cd. giudicato esterno, offerta dalla giurisprudenza consolidata della Corte di cassazione che costituisce il cd. diritto vivente.

8. 5. In proposito questa Corte intende dare continuità al consolidato orientamento secondo il quale non ricorre comunque l’efficacia estensiva del giudicato esterno qualora siano oggetto dei separati giudizi tributi diversi aventi diversità strutturale ed oggettivamente differenti, il che comporta l’accoglimento del primo motivo di ricorso. E’ poi chiaramente da escludere che il giudicato esterno sia estensibile in caso di soggetti diversi.

9. Anche il secondo motivo è fondato ed intacca la seconda ragione giustificativa dell’annullamento dell’atto impugnato, fondata sulla asserita mancanza di contestazione e di prova, da parte dell’Agenzia delle Dogane, in ordine alla sussistenza della pretesa fiscale.

9.1. E’ pacifico che la prova della pretesa fiscale la debba offrire l’Ufficio e ciò lo riconosce espressamente anche la Agenzia delle Dogane, però quest’ultima lamenta – fondatamente – che la sentenza impugnata abbia ricollegato la ritenuta mancanza di prova al disconoscimento del valore probatorio del pvc, il che integra violazione di legge con riguardo alla violazione della regola di distribuzione dell’onere della prova e del valore probatorio del pvc.

9.2. E’ consolidato l’indirizzo per cui, in tema di accertamenti tributari, il processo verbale di constatazione assume un valore probatorio diverso a seconda della natura dei fatti da esso attestati, potendosi distinguere al riguardo un triplice livello di attendibilità: a) il verbale è assistito da fede privilegiata, ai sensi dell’art. 2700 c.c., relativamente ai fatti attestati dal pubblico ufficiale come da lui compiuti o avvenuti in sua presenza o che abbia potuto conoscere senza alcun margine di apprezzamento o di percezione sensoriale, nonché quanto alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni a lui rese; b) quanto alla veridicità sostanziale delle dichiarazioni a lui rese dalle parti o da terzi — e dunque anche del contenuto di documenti formati dalla stessa parte e/o da terzi — esso fa fede fino a prova contraria, che può essere fornita qualora la specifica indicazione delle fonti di conoscenza consenta al giudice ed alle parti l’eventuale controllo e valutazione del contenuto delle dichiarazioni; c) in mancanza della indicazione specifica dei soggetti le cui dichiarazioni vengono riportate nel verbale, esso costituisce comunque elemento di prova, che il giudice deve in ogni caso valutare, in concorso con gli altri elementi, potendo essere disatteso solo in caso di sua motivata intrinseca inattendibilità o di contrasto con altri elementi acquisiti nel giudizio, attesa la certezza, fino a querela di falso, che quei documenti sono comunque stati esaminati dall’agente verificatore (v, per tutte, da ultimo, Sez. 5 -, Ordinanza n. 24461 del 05/10/2018: Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che non aveva valutato la presenza dei chiari, precisi e concordanti elementi di prova evincibili dal processo verbale di constatazione, contro il quale non era stata proposta querela di falso ed a fronte dei quali non era stata prodotta documentazione decisiva di segno contrario ritualmente al processo; v. ancora Cass. N. 28060 del 2017 Rv. 646225 – 02).

9.4. Nella specie, la sentenza impugnata riporta a pagine 2 e 3 il contenuto del pvc con riguardo agli accertamenti svolti dai verificatori che avevano constatato come alcuni soggetti, fra cui S.D., si erano impossessati di quantità di prodotti petroliferi soggetti ad accisa provvedendo a trasportarli al di fuori del deposito fiscale costiero della E.I. Srl della città di Palermo con conseguente evasione fiscale, ma anche la motivazione della sentenza di primo grado che aveva richiamato sia la sentenza di patteggiamento su richiesta di S.D., divenuta irrevocabile, sia il contenuto del pvc con riguardo ai dati acquisiti dalla Guardia di Finanza in ordine ai prodotti petroliferi sottratti dal deposito costiero della E.I. srl, per cui la successiva riforma della detta sentenza basata sulla pretesa mancanza di qualsiasi prova, in conseguenza dell’apodittico disconoscimento del valore probatorio del pvc, viola sia l’art. 2697 c.c. che l’art. 2700 c.c., poiché ha escluso la applicabilità di tali regole, così ponendosi in contrasto con i princìpi giuridici consolidati, sopra indicati.

9.5. La difesa dell’intimato sostiene che il vizio sarebbe stato erroneamente dedotto come violazione di legge, mentre avrebbe dovuto essere dedotto come vizio di motivazione, ma, a parte il rilievo che, anche laddove fossero stati prospettabili entrambi i vizi, la controparte non può scegliere in luogo del ricorrente, quand’anche la questione fosse stata prospettabile ed inquadrabile fra più motivi previsti dall’art. 360 cpc, la deduzione della violazione di legge è la più appropriata nel caso in esame, poiché la Agenzia ricorrente non tende alla diversa interpretazione di mero fatto e non deduce neppure carenze motivazionali (pure prospettabili) bensì soltanto la violazione di regole iuris erroneamente applicate da parte del giudice di appello, in contrasto con la corretta applicazione che ne aveva fatto il primo giudice.

10. E’ fondato anche il terzo motivo con cui si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 445 cpp e 116 cpc, in relazione all’art. 360 n. 4 cpc, per avere la sentenza impugnata erroneamente escluso qualsiasi valenza probatoria della sentenza di patteggiamento nel processo tributario, benchè l’art. 445 cpp, nella interpretazione che ne avevano dato le sezioni unite della Corte Suprema, preveda, al contrario di quanto ritenuto dal giudice di appello (fra l’altro in contrasto con il decisum del primo giudice che aveva invece fatto corretta applicazione della norma) che la sentenza di patteggiamento costituisce indiscutibile elemento di prova utilizzabile anche in via esclusiva, per la formazione del proprio convincimento, dal giudice civile o tributario, dovendosi altrimenti spiegare le ragioni per le quali l’imputato abbia ammesso una sua insussistente responsabilità ed il giudice penale abbia prestato fede ad una tale ammissione.

10.1. In effetti la sentenza penale di applicazione della pena ex art. 444 cod. proc.pen. (cosiddetto “patteggiamento”) costituisce indiscutibile elemento di prova, addirittura se costituente unica prova, per il giudice di merito il quale, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l’imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità ed il giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione. Detto riconoscimento, pertanto, pur non essendo oggetto di statuizione assistita dall’efficacia del giudicato, ben può essere utilizzato come prova dal giudice tributario nel giudizio di legittimità dell’accertamento (v. per tutte Cass. Sez. 5, Sentenza n. 24587 del 03/12/2010 Rv. 615119 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 9456 del 18/04/2013 (Rv. 625807 – 01) Sez. 5-; Ordinanza n. 13034 del 24/05/2017 Rv. 644241 -01).

10.2. La sentenza impugnata ha invece apoditticamente affermato che dall’art. 445 cpp scaturiva la “non valenza probatoria” della sentenza di patteggiamento in altri giudizi, il che comportava l’accoglimento dell’appello e la riforma della sentenza di primo grado per “assoluta mancanza probatoria” della sentenza di patteggiamento nel giudizio tributario. Le argomentazioni sul punto della Commissione tributaria regionale sono palesemente errate, in quanto, ferma restando la irrilevanza del richiamo all’art. 445 c.p.p. che si limita ad escludere il valore di giudicato in un diverso processo, non è contestato che i fatti oggetto della sentenza penale siano gli stessi oggi considerati in sede tributaria, mentre il valore probatorio della sentenza di patteggiamento nel giudizio tributario fondato sugli stessi fatti deriva proprio dagli artt. 444 e 445 cpp nella interpretazione consolidata che ne ha dato questa Corte.

10.3. Ne consegue la rilevanza della sentenza di patteggiamento nel giudizio tributario, arbitrariamente negata dalla sentenza impugnata e la deducibilità del vizio ai sensi dell’art. 360 n. 4 cpp, per violazione dell’art. 116 c.p.c. (norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale), così come prospettato con il quarto motivo di ricorso, posto che la violazione dell’art. 116 cpc è idonea ad integrare il vizio di cui all’art. 360, n. 4, c.p.c. quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime (v. per tutte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016 Rv. 640193 – 01). Poiché l’art. 116 cod. proc. civ. prescrive come regola di valutazione delle prove quella secondo cui il giudice deve valutarle secondo prudente apprezzamento, a meno che la legge non disponga altrimenti, la sua violazione e, quindi, la deduzione in sede di ricorso per cassazione ai sensi del n. 4 dell’art. 360 cod. proc. civ., è infatti concepibile quando il giudice di merito valuta una determinata prova ed in genere una risultanza probatoria, per la quale l’ordinamento non prevede uno specifico criterio di valutazione diverso dal suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore ovvero il valore che il legislatore attribuisce ad una diversa risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale) o ancora di escludere qualsiasi valore ad una prova  prevista dall’ordinamento; ovvero quando il giudice di merito dichiara di valutare secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza soggetta ad altra regola, così falsamente applicando e, quindi, violando la norma in discorso (oltre che quelle che presiedono alla valutazione secondo diverso criterio della prova di cui trattasi). E ciò è quanto appunto avvenuto nel caso in esame in cui la sentenza impugnata ha escluso qualsiasi valore ad una prova espressamente prevista dall’ordinamento, espungendola dal novero delle prove che il giudice avrebbe dovuto invece valutare.

10.4. L’intimato ha rilevato che, con il terzo motivo di ricorso, era stato dedotto un vizio nella specie inammissibile, poiché la pretesa manchevolezza della sentenza impugnata avrebbe eventualmente integrato gli estremi dell’errore di diritto o del vizio di motivazione ai sensi dei numeri 3 e 5 dell’art. 360 cpc. Ed in effetti qualora si deduca che il giudice abbia male esercitato il prudente apprezzamento della prova, il vizio è censurabile solo ai sensi del n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. (v. Cass Sez. 3, Sentenza n. 26965 del 20/12/2007 Rv. 601128 – 01), posto che la deduzione della violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. è ammissibile ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), nonché, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia invece dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è consentita ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (v. Cass. n. 13960 del 19/06/2014 Rv. 631646 – 01). Tuttavia, se la ricorrente avesse seguito tale percorso, il ricorso sarebbe stato inammissibile, poiché in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, mentre la ricorrente ha correttamente articolato la censura ai sensi dell’art. 360 n. 4 del cpc facendo riferimento alla nullità della decisione derivante dalla violazione dell’art. 116 cpc per omessa valutazione degli elementi probatori a disposizione del giudice.

11. Il motivo n. 4 è all’evidenza fondato stante la palese violazione di legge da parte della sentenza impugnata.

11.1. Premesso che, in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto ad accertamenti fiscali, l’Amministrazione finanziaria non ha l’onere di comunicare preventivamente l’oggetto della verifica, atteso che nel procedimento tributario un obbligo di contraddittorio endoprocedimentale a pena d’invalidità dell’atto non sussiste al momento della raccolta delle informazioni e degli elementi di prova, ma solo, eventualmente e ove espressamente sancito, in una fase successiva, quando l’Amministrazione intenda adottare nei confronti di un contribuente, sulla base dei dati raccolti, un atto potenzialmente lesivo (v. per tutte Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 33572 del 28/12/2018 Rv. 651914 – 01), l’art. 12, comma 2, della legge 212/2000 – applicato dalla sentenza impugnata per farne discendere la illegittimità del pvc e la conseguente nullità dell’avviso di pagamento perché fondato su un atto illegittimo – nello stabilire obblighi informativi “quando viene iniziata la verifica”, non li contempla espressamente a pena di nullità e peraltro, anche in materia tributaria, vale la regola della tassatività delle nullità (Cass. Sez. U., n. 3676 del 17/2/2010). L’onere di comunicare preventivamente l’oggetto della verifica fiscale neppure può desumersi, in via interpretativa, sul piano sistematico, poiché l’ordinamento tributario non prevede un generalizzato onere di procedere a preventivo contraddittorio endoprocedimentale al momento della mera raccolta degli elementi di prova, quale condizione della successiva utilizzabilità degli stessi.

11.2. In realtà (v., per tutte, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 16354 del 26/09/2012 Rv. 623835 – 01), in tema di accertamento tributario, le garanzie previste dall’art. 12 della legge 27 luglio 2000, n. 212, che debbono appunto essere giustificati da “esigenze effettive di indagine e controllo sul luogo” (art. 12, comma 1), si riferiscono espressamente agli accessi, ispezioni e verifiche fiscali eseguiti “nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali”, e, quindi, sono assicurate esclusivamente al soggetto sottoposto ad accesso, ispezione o verifica (verificato), ma non si estendono al terzo a carico del quale emergano dati, informazioni o elementi utili per l’emissione di un avviso di accertamento, con la conseguenza che tali garanzie operano esclusivamente nella predetta ipotesi, mentre non rilevano eventuali violazioni delle regole relative alla fase di accertamento perché eventuali irregolarità possono essere fatte valere solo da chi ha subito l’accesso; da altro lato, l’avviso di accertamento, non richiede un’autonoma attività istruttoria, il cui svolgimento contrasterebbe con i principi di economicità ed efficienza dell’attività amministrativa, nonché con le norme specifiche che, in materia tributaria, disciplinano l’istruttoria e la motivazione degli atti impositivi – L. n. 212 del 2000, art. 12 – e consentono all’Amministrazione di avvalersi dell’attività di altri organi (cfr. Corte Cass. 5 sez. 11.6.2009 n. 13486), per cui le dichiarazioni rilasciate da terzi, le risultanze delle indagini condotte nei confronti di altre società, gli atti trasmessi dalla guardia di finanza, risultanti dall’attività di polizia giudiziaria, senza esclusione dei verbali redatti a seguito di specifiche indagini disposte in sede penale, se contenuti negli atti (come il processo verbale di constatazione) allegati all’avviso di rettifica notificato o trascritti essenzialmente nella motivazione dello stesso, costituiscono parte integrante del materiale indiziario e probatorio, che il giudice tributario di merito è tenuto a valutare dandone adeguato conto nella motivazione della sentenza (cfr. Corte Cass. 5^ sez. 23.2.2010 n. 4306).

11.3. Orbene, a tali princìpi, ampiamente consolidati nella giurisprudenza di questa Corte, non si è attenuto il giudice di appello, il quale ha ritenuto che l’avvertimento della facoltà di farsi assistere da un difensore fosse stato violato con riguardo al periodo precedente a quello in cui S.D. era stato convocato, nella fase procedimentale, per dare attuazione al contradittorio davanti alla Guardia di Finanza, mentre invece avrebbe dovuto essere reso edotto di tale facoltà fin dall’inizio della attività di verifica, che peraltro, come risulta dal pvc, trascritto in parte qua a pagina 14 del ricorso, dava atto della circostanza che la verifica, iniziata sulla base di indagini della polizia giudiziaria e della polizia tributaria, era stata attivata nei confronti del deposito fiscale della E. e, solo successivamente, sulla base di quanto emerso da essa, era stata estesa al D.. Le garanzie di cui al comma 2 dell’art 12 della L. n. 212 del 2000 non potevano perciò essere applicate nel caso di attività di accertamento iniziata a seguito di segnalazioni, rapporti, comunicazioni ricevute da altri organismi od autorità, nell’ambito dei rapporti di cooperazione (D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 63 e 66), ovvero direttamente dalla Polizia giudiziaria che ha operato nell’ambito di indagini penali (su autorizzazione della AG: D.P.R. n. 633 del 1972, art. 63, comma 1, ultima parte), ovvero, ancora, nel caso di accertamento effettuato dagli Uffici finanziari in base a documenti ed elementi acquisiti a seguito di richieste, questionari od inviti disposti ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2: in tutti questi casi, infatti, gli elementi posti a fondamento della pretesa tributaria formalizzata nell’avviso di pagamento risultano acquisiti “aliunde” e non comportano accessi, ispezioni e verifiche fiscali presso i locali di esercizio dell’impresa del soggetto interessato dall’atto impugnato, che, al contrario, in base alla sentenza impugnata, non era certamente il titolare dell’impresa, mentre era un soggetto che, insieme ad altri, risultava essersi impossessato, mediante atti fraudolenti, del prodotto petrolifero nell’ambito di un furto aggravato e di altri reati.

12. E’ fondato pure il quinto motivo di ricorso laddove si deduce violazione di legge con riguardo al termine massimo delle operazioni di verifica di cui all’art. 12 comma 5 della legge n. 212 del 2000, la cui violazione, secondo la sentenza impugnata, determinerebbe ugualmente la nullità dell’atto impugnato per illegittimità della verifica.

12.1. Anche in tal caso, a parte tutti i rilievi precedenti, la sentenza impugnata si è infatti posta in contrasto con la interpretazione della disposizione citata derivante dal diritto vivente per cui, in tema di verifiche tributarie, il termine di permanenza degli operatori civili o militari dell’Amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente è meramente ordinatorio, in quanto nessuna disposizione lo dichiara perentorio, o stabilisce la nullità degli atti compiuti dopo il suo decorso, né la nullità di tali atti può ricavarsi dalla “ratio” delle disposizioni in materia, apparendo sproporzionata la sanzione del venir meno del potere accertativo fiscale a fronte del disagio arrecato al contribuente dalla più lunga permanenza degli agenti dell’Amministrazione (v. Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 10481 del 27/04/2017 Rv. 643963 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 17002 del 05/10/2012 Rv. 624025 – 01). Ed, al contrario di quanto sostiene l’intimato, non risultano voci dissonanti sul punto, mentre le controdeduzioni richiamano sentenze non pertinenti.

13. Infine, sussiste la violazione di legge dedotta con l’ultimo motivo di ricorso, per avere la sentenza impugnata ritenuto che “il semplice richiamo al pvc nell’avviso di pagamento, senza alcun altro riferimento, non integra il requisito della motivazione previsto dall’art. 7 della legge n. 212 del 2000”, e quindi la nullità dell’accertamento per difetto di motivazione.

13.1. Correttamente il ricorrente ha infatti sostenuto, da un lato, che non vi era l’obbligo di allegare all’accertamento il pvc, peraltro nella specie già notificato alla parte, bensì solo di richiamarlo nei suoi tratti essenziali, al fine della validità della motivazione per relationem, come peraltro espressamente previsto dall’art. 11, comma 5 bis della legge n. 374 del 1990, completamente ignorata dalla sentenza impugnata, che riguardava specificamente l’accertamento in materia doganale, e, da altro lato, che dall’avviso di pagamento risultava testualmente, in primo luogo, “Recupero accisa sugli oli minerali, a seguito di p.v. di constatazione della Guardia di Finanza Nucleo Regionale Polizia tributaria Sicilia del 31.7.2002, relativamente a oli minerali sottratti negli anni 2000, 2001 e 2002 presso il Deposito Costiero E.I. Srl di Palermo. Sentenza n. 962/02 del 9.11.2002” e quindi una motivazione completa, basata su atti notificati e conosciuti dalla parte.

13.2. E’ principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, cui si ritiene di dare continuità in questa sede, quello per cui, in tema di avviso di accertamento, la motivazione “per relationem” con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza nell’esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’Ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l’Ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio (v, per tutte, da ultimo, Cass. Sez. 5-, Sentenza n. 32957 del 20/12/2018 Rv. 652115 – 01; Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 30560 del 20/12/2017 Rv. 646303 – 01). Così come è consolidato quello per cui non è necessario allegare all’accertamento un atto già notificato alla parte, essendo sufficiente in tal caso richiamarlo, poichè l’art. 7, comma 1, della legge 27 luglio 2000, n. 212, nel prevedere che debba essere allegato all’atto dell’Amministrazione finanziaria ogni documento richiamato nella motivazione di esso, non trova applicazione per gli atti di cui il contribuente abbia già avuto integrale e legale conoscenza per effetto di precedente comunicazione (v. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 407 del 14/01/2015 Rv. 634243 – 01 e precedenti conformi).

13.3. A tali princìpi non si è attenuta la sentenza impugnata la quale ha ritenuto – erroneamente – che il richiamo al pvc non fosse sufficiente ad integrare la motivazione dell’avviso di pagamento, senza peraltro considerare che anche il solo richiamo alla sentenza di patteggiamento sarebbe stato sufficiente ad integrare autonomamente la motivazione dell’accertamento, posto che non si deve confondere la sussistenza della motivazione dell’accertamento con la sua fondatezza, che deve essere verificata alla luce delle prove versate dalle parti nel giudizio, mentre la motivazione di un avviso di accertamento o di pagamento ha solo la funzione di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’Ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa, consentendo al contribuente l’esercizio del diritto di difesa.

14. Alla luce della fondatezza dei plurimi motivi di ricorso che hanno minato tutte le plurimi ragioni giustificatrici della sentenza impugnata, quest’ultima deve essere cassata e la causa rinviata per nuovo esame a diversa sezione della CTR della Sicilia, onde valuti la legittimità e la fondatezza dell’avviso di pagamento alla luce dei criteri di giudizio e di formazione della prova sopra indicati, previa esclusione dei vizi procedimentali ritenuti sussistenti dalla sentenza impugnata ed esclusi con la presente sentenza di annullamento con rinvio.

Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese di questa fase di legittimità.

P.Q.M.

Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi come sopra accolti, e rinvia anche per le spese a diversa sezione della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia.