CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 marzo 2020, n. 6764
Illegittimità del trasferimento di ramo di azienda – Differenze retributive – Errore materiale del Tribunale nel riportare le somme dovute nel dispositivo – Mero errore di trascrizione – Nessun dubbio d’interpretazione sull’effettivo contenuto della decisione – Inidoneità a riaprire i termini per l’impugnazione
Rilevato che
la Corte d’appello di Roma dichiarava inammissibile per tardività l’appello proposto da V.I. s.p.a. nei confronti di C.M. e S.O. avverso la sentenza del giudice di primo grado che aveva condannato V.I. s.p.a. al pagamento di somme a titolo di differenze retributive per effetto della declaratoria di illegittimità del trasferimento di ramo di azienda intervenuto tra la predetta e C.C. s.p.a.;
era accaduto che il Tribunale, invece di riportare in dispositivo le somme effettivamente dovute, aveva indicato quelle che avrebbero dovuto essere decurtate dal totale dovuto a titolo di premio di risultato, accertato come non dovuto in corso di causa e pari a € 1.259,37 e di € 735,00 e che, a seguito di correzione di errore materiale, gli importi erano stati ricondotti a € 5.631,99 e € 7.962,02;
riteneva la Corte territoriale che nella specie la correzione dell’errore materiale non era stata tale da determinare dubbi sull’effettivo contenuto della decisione, talché il termine previsto dall’art. 327 c.p.c. decorreva dalla data di pubblicazione della sentenza (6/3/2015) e non dalla data di comunicazione alle parti dell’ordinanza di correzione dell’errore materiale (25/8/2015), con la conseguenza che l’appello proposto il 24 febbraio 2016 doveva ritenersi intempestivo;
avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione V.I. s.p.a. sulla base di plurimi motivi;
M. e O. hanno resistito con controricorso;
la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata;
Considerato che
Con il primo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., violazione degli artt. 24 Cost. e 288 c.p.c., osservando che l’errore contenuto nel dispositivo della sentenza era tale da pregiudicare una corretta interpretazione della decisione del Tribunale, trattandosi di importi di ammontare senza alcuna apparente connessione con le domande avversarie, con la conseguenza che il termine per l’impugnazione si sarebbe dovuto computare a decorrere dall’ordinanza di correzione piuttosto che dalla sentenza;
va rilevato preliminarmente che, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, «Il termine per l’impugnazione di una sentenza di cui è stata chiesta la correzione decorre dalla notificazione della relativa ordinanza, ex art. 288, ultimo comma, c.p.c., se con essa sono svelati “errores in iudicando” o “in procedendo” evidenziati solo dal procedimento correttivo, oppure l’errore corretto sia tale da ingenerare un obbiettivo dubbio sull’effettivo contenuto della decisione, interferendo con la sostanza del giudicato ovvero, quando con la correzione sia stata impropriamente riformata la decisione, dando luogo a surrettizia violazione del giudicato; diversamente, l’adozione della misura correttiva non vale a riaprire o prolungare i termini di impugnazione della sentenza che sia stata oggetto di eliminazione di errori di redazione del documento cartaceo, chiaramente percepibili dal contesto della decisione, in quanto risolventisi in una mera discrepanza tra il giudizio e la sua espressione» (Cass. n. 8863 del 10/04/2018);
alla luce dell’esposto principio il primo motivo, avente carattere assorbente rispetto alle altre censure, deve ritenersi infondato;
dalla motivazione della sentenza impugnata, che fa richiamo alla sentenza di primo grado, può desumersi, infatti, che gli importi indicati in dispositivo sono frutto di mero errore di trascrizione, consistente in una discordanza chiaramente percepibile tra il giudizio e la sua espressione, tale da non determinare dubbi d’interpretazione sull’effettivo contenuto della decisione e inidoneo, quindi, a riaprire i termini per l’impugnazione;
in particolare, il Tribunale aveva indicato in dispositivo, in luogo delle somme effettivamente dovute, quelle da decurtare dall’importo richiesto nel ricorso a titolo di premio di risultato, accertato come non dovuto in corso di causa, ed effettivamente sottratte dall’importo finale, e ciò in contrasto con la corretta attribuzione in motivazione e nelle note autorizzate della parte ricorrente, alla quale non poteva non risultare evidente l’erronea discordanza, talché non può ritenersi che l’errore sia stato svelato solo a seguito del procedimento correttivo;
in base alle svolte argomentazioni il ricorso va dichiarato inammissibile, con liquidazione delle spese secondo soccombenza, con distrazione in favore del difensore anticipatario di parte controricorrente;
ricorrono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dell’articolo 13 D.P.R. 115 del 2002;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in complessivi € 2.700,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15 % e accessori di legge, con distrazione in favore del difensore delle controricorrenti.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
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