CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 marzo 2022, n. 7805

Tributi – Accertamento induttivo – Reddito d’impresa – Attività di taxista – Assoluta antieconomicità dell’attività – Presunzione di ricavi non dichiarati – Legittimità

Rilevato che

1. L’Agenzia delle Entrate emetteva, nei confronti di C.B., esercente attività di taxista nella città di Firenze, per l’anno 2005, avviso di accertamento, ai sensi degli artt. 39, primo comma, d.P.R. 29/09/1973 n. 600 e 62 sexies, comma 3, d.l. 30/08/1993 n. 331, con il quale rideterminava i ricavi in euro 39.059,00, e conseguentemente un reddito di impresa di spettanza dell’imprenditore pari ad euro 43.601,00, a fronte di quelli dichiarati di euro 1.812,00, ai fini Irpef ed Irap, oltre interessi e sanzioni. L’Agenzia delle Entrate evidenziava l’inattendibilità del ricavo giornaliero tenendo in considerazione alcuni elementi, tra i quali, il costo di una corsa media sulla base delle tariffe regolamentari, nonché la lunghezza media delle corse di 3,2 Km, oltre che il numero di chilometri dichiarati dal contribuente.

2. Il contribuente impugnava l’avviso di accertamento, contestando in toto l’accertamento dell’Ufficio e chiedendone l’annullamento che veniva rigettato dalla Commissione tributaria provinciale.

3. C.B. proponeva, dunque, appello innanzi alla Commissione tributaria regionale della Toscana che, esaminati i dati emergenti dagli atti, confermava la tesi dell’Ufficio circa l’ “assoluta antieconomicità” dell’attività svolta dal taxista e, quindi, la legittimità dell’accertamento dello Ufficio operato ex art. 39, comma 1, lettera d) del d.P.R. n. 600 del 1973.

4. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione il contribuente affidandosi a cinque motivi ed ha presentato memoria telematica. L’Agenzia delle entrate resite con controricorso.

Considerato che

1. Con il primo motivo di ricorso – così rubricato: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 7, comma 1, L. 212/2000, in relazione all’art. 360, 1 c., n. 3 c.p.c.», il ricorrente denuncia l’error in iudicando della Commissione tributaria regionale che non ha rilevato la mancata allegazione al provvedimento impositivo degli atti in esso richiamati.

Con il secondo motivo – così rubricato: «omessa pronuncia su motivi di gravame, in relazione all’articolo 360, 1 c., n. 4, c.p.c.» – denuncia, sotto il diverso profilo dell’omessa motivazione, la circostanza relativa alla mancata allegazione degli atti richiamati dall’avviso di accertamento.

Con il terzo, rubricato come «violazione e/o falsa applicazione art. 5 d.Lgs. 19/06/1997 n. 218 e artt. 5, 6, 7,10,12 l. 212/2000, in relazione all’articolo 360 c.p.c., 1 c., n. 3», denuncia l’omessa instaurazione del preventivo contraddittorio, avendo egli contribuente, precedentemente alla notifica dell’avviso di accertamento, ricevuto soltanto la richiesta di fornire i documenti, ex art. 32 d.P.R. n. 600/73, ma non l’invito al contraddittorio.

Con il quarto mezzo, rubricato come «violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 62 sexies d.l. 331/1993, conv. in l. 427/1993, in relazione all’art. 360, 1. co, n. 3, c.p.c.», il ricorrente deduce l’erroneità della sentenza impugnata per aver violato le regole di riparto dell’onere probatorio là dove non ha tenuto conto del fatto che i ricavi dichiarati erano congrui e coerenti rispetto allo studio di settore per l’anno 2005 e, dunque, che esistesse a favore del taxista un «parametro estremamente rilevante di verifica dei dati dichiarati e una presunzione di normalità reddituale» (v. ricorso pag. 13). Secondo l’assunto del ricorrente, cioè, poiché i redditi del contribuente rientravano nello studio di settore, la CTR avrebbe dovuto porre l’onere della prova a carico dell’ente impositore circa la specifica realtà economica difforme da quella risultante dalla dichiarazione del contribuente, conforme, invece, allo studio di settore.

Col quinto mezzo deduce la «violazione dell’art. 39, 1 comma, lett. d), d.P.R. n. 600/73 e degli artt. 2727 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360,1 comma, n. 3, c.p.c.», laddove la CTR non ha considerato che i dati su cui l’ufficio ha fondato la deduzione presuntiva dei ricavi, non costituiscono presunzioni gravi, precise e concordanti idonee a contrastare la congruità del ricorrente agli studi di settore e la regolarità della sua contabilità.

1.1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile, non avendo il ricorrente assolto all’onere di specifica allegazione e localizzazione della relativa eccezione (mancata allegazione degli atti richiamati dall’avviso di accertamento) nelle precedenti fasi di merito. Come più volte chiarito da questa Corte, qualora una questione giuridica – implicante un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimità, al fine di non incorrere nell’ inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso in Cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto per consentire alla Corte di controllare, ex actis, la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la censura stessa (ex multis, cfr., Sez 6-5, 13/12/2019, n. 32804).

1.2. Il secondo motivo è inammissibile, considerato che il paradigma di censura evocato (oggetto di impugnazione è una sentenza pubblicata in epoca successiva al 12 settembre 2012, data dalla quale è entrato in vigore il nuovo testo del n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ.) consente l’impugnazione per la diversa ipotesi di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti mentre nella specie si fa questione del mancato esame di un’eccezione riguardante la legittimità formale dell’accertamento.

1.3. Anche la censura riguardante il difetto del contraddittorio preventivo è inammissibile, non avendo il contribuente dato dimostrazione, assolvendo l’onere della specifica allegazione e localizzazione, di avere sollevato tale eccezione nei giudizi di merito.

1.4. Il quarto ed il quinto motivo di ricorso si esaminano congiuntamente in quanto connessi; essi sono infondati.

1.5. La sentenza impugnata ha ritenuto che la ricostruzione con metodo analitico-induttivo del maggior reddito del tassista C.B., fosse sorretta da presunzioni gravi, precise e concordanti «a proposito delle evidenti incongruenze emerse relativamente ai ricavi dichiarati, tali da far ritenere l’inattendibilità della dichiarazione resa dal contribuente». Ha suffragato tale convincimento sulla base delle risultanze della documentazione in atti, affermando che da essa «appare evidente che l’ufficio pure in presenza di un’attività congrua e coerente agli studi di settore ha ritenuto esigui, incongruenti e inattendibili i ricavi dichiarati sulla base dei dati indicati dal contribuente nel modello degli studi di settore oltre ad alcuni dati».

All’uopo ha evidenziato i dati emersi dal controllo contabile del “Registro dei corrispettivi” e delle “schede carburanti” (analiticamente riportati alla pagina tre della sentenza impugnata) ed in particolare il fatto che i costi dei carburanti erano attestati trimestralmente ad una cifra piuttosto costante, di circa € 700,00 al trimestre, costo che rimaneva costante in contabilità a prescindere dalla quantità di chilometri percorsi nei vari trimestri. Tali dati (analizzati trimestre per trimestre così come risulta dalla motivazione della sentenza) hanno convinto i giudici di secondo grado della inattendibilità della contabilità e del fatto che la «congruità e la coerenza gli studi di settore è stata preparata all’inizio dell’anno stabilendo a priori il costo dei carburanti e conseguentemente corrispettivi finali», con la conseguenza di ritenere legittimo l’operato dell’ufficio che sulla base di tali elementi ha ricostruito i ricavi del servizio taxi attraverso l’elaborazione logica di elementi presuntivi fondati su atti ufficiali e dati certi e, quindi, dotati di valore indiziario “forte” (comparazione tra prezzo della corsa e kilometri giornalieri percorsi sulla base del regolamento unificato per il servizio taxi allegato alla delibera del consiglio comunale n. 432/295 del 28/05/2003 e del relativo tariffario obbligatorio, territorio assegnato, fascia oraria assegnata, corsa media di chilometri 3,2, determinazione di euro 7,23 di costo medio della corsa, etc.).

1.6. Le conclusioni dei giudici di appello si allineano alla giurisprudenza di questa Corte, la quale ha più volte chiarito (vedi Sez. 5, 05/12/2019, n., 31814; Sez. 5, 19/03/2019, n. 15344) che il fatto che l’accertamento tragga spunto da uno studio di settore non esclude che esso possa fondarsi anche su altri elementi significativi aventi i caratteri della gravità, precisione e concordanza. In particolare, l’accertamento tributario può ritenersi basato sugli studi di settore soltanto quando trovi in questi fondamento prevalente, situazione questa, non ricorrente quando, come nella specie, all’esito dell’accertamento mediante studi di settore siano emerse incongruenze nella contabilità d’impresa che abbiano indotto l’ente accertatore ad approfondire l’analisi e quindi a individuare elementi (prevalenti) dell’esistenza di una operatività economica non dichiarata (Sez. 5, 06/06/2019, n. 15344). Ne consegue, che una volta che l’Amministrazione abbia contestato l’anti-economicità di un’operazione posta in essere dal contribuente perché basata su una contabilità complessivamente inattendibile in quanto contrastante con i criteri di ragionevolezza, diviene onere dello stesso contribuente dimostrare la liceità fiscale dell’operazione e quindi di dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate a fronte della contestata antieconomicità (Sez. 5, 14/06/2013, n. 14941; Sez. 5, 25/10/2017 n. 25257).

1.7. Alla stregua di tali principi, i giudici d’appello non sono incorsi nella violazione di legge denunciata dal ricorrente, avendo condiviso il ragionamento presuntivo condotto dall’Amministrazione finanziaria dando conto di una serie di elementi indiziari, aventi il carattere della gravità precisione e concordanza, sui i quali ha ritenuto legittimo l’accertamento dell’Ufficio, senza che il contribuente abbia fornito il benché minimo elemento – se non la congruità con gli studi di settore disvelata come apparente dalla CTR – da cui desumere la liceità delle operazioni poste in essere.

2. In conclusione, il ricorso va rigettato.

3. Per il principio della soccombenza le spese di lite si pongono a carico del ricorrente e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna B.C. al pagamento delle spese del presente giudizio in favore dell’Agenzia delle entrate, liquidate, in euro 2.300,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art.13, comma 1 – quater, d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dell’art. 13 citato, se dovuto.