CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 marzo 2022, n. 7821

Infortunio sul lavoro – Risarcimento danni – Perdita della capacità lavorativa – Criterio di liquidazione

Rilevato che

1. con sentenza n. 253/2016 la Corte di appello di Trieste, in parziale riforma della sentenza di primo grado nel resto confermata, ha rideterminato in € 217.829,58 la somma spettante a T.K. a titolo di risarcimento del danno conseguente all’ infortunio sul lavoro dallo stesso patitolo il 19 maggio 2008 nell’attività espletata alle dipendenze di S.D.;

2. il giudice di appello in relazione alle questioni ancora in questa sede rilevanti ha ritenuto che: a) il danno da incapacità lavorativa, non potendo trovare applicazione i criteri di cui alle tavole di mortalità del 1981 elaborate dall’ISTAT, non aventi natura legislativa e contestate dalle parti, andava riconosciuto e determinato sulla base delle tavole di mortalità di cui al R.D. n. 1403/1922 con esclusione dello scarto, ivi contemplato, del 10% tra vita fisica e vita lavorativa, onde ovviare alle carenze ed alla vetustà del criterio utilizzato; b) nulla era dovuto alla moglie del K., G., non essendo emerso un sicuro pregiudizio a carico di questa in conseguenza dell’infortunio occorso al coniuge;

3. la decisione è stata impugnata con un unico ricorso da T.K. e G. K. ; il primo ne ha chiesto la cassazione sulla base di tre motivi e la seconda sulla base di due motivi; G.I. s.p.a. ha resistito con controricorso; S.D., al quale il ricorso per cassazione risulta notificato in data 3 agosto 2017, non ha svolto attività difensiva; entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis .1. cod. proc. civ.;

Considerato che

1. con il primo motivo di ricorso T.K. deduce violazione del principio dell’integrale risarcimento del danno per avere la Corte d’appello, nella liquidazione del danno patrimoniale da incidenza della lesione sulla capacità lavorativa dell’infortunato, applicato il coefficiente di capitalizzazione previsto dal R.D. n. 1403/1922; tale coefficiente, come chiarito da recenti pronunzie di legittimità, era infatti vetusto in quanto rapportato ad un tasso dei saggi di interesse ed ad una durata della vita media privi di riscontro nell’attualità e non garantiva, pertanto, l’effettivo e pieno ristoro del pregiudizio sofferto; la decisione di appello, laddove non aveva ritenuto di utilizzare un parametro di quantificazione più aggiornato, quale ad esempio quello delle tavole di mortalità attualizzate secondo i parametri ISTAT del 1981, violava il disposto degli artt. 2, 3, 29, 30, 38 e 41 Cost. e degli artt. 2056, 1223, 1226 cod. civ.;

2. con il secondo motivo di ricorso deduce nullità della sentenza per motivazione apparente per avere la Corte d’appello, argomentando dalla natura non legislativa delle tavole di mortalità elaborate dall’ISTAT e dal fatto che le stesse fossero state contestate, escluso, in violazione dell’art. 111, comma 6, Cost. e dell’art. 132, comma 4 cod. proc. civ., la relativa applicabilità; evidenzia inoltre che none ra spiegabile l’applicazione del R.D n. 1403/1922 da ritenersi, come chiarito dalla sentenza del giudice di legittimità n. 20615/2016, non più in vigore stante la soppressione della Cassa nazionale per le assicurazioni sociali e la riforma dei criteri di calcolo per la pensione sociale;

3. con il terzo motivo di ricorso deduce violazione del principio di non contestazione e degli artt. 115, 116, e 416 cod. proc. civ., censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto, in contrasto con le risultanze di causa, che il criterio liquidatorio rappresentato dalle tavole di mortalità ISTAT del 1981 fosse stato oggetto di contestazione;

4. con il quarto motivo di ricorso G.K. deduce violazione del principio dell’integrale risarcimento del danno per avere la Corte di appello negato il proprio diritto, quale coniuge del lavoratore infortunato al risarcimento del danno non patrimoniale, con violazione degli artt. 2, 3, 29, 30, 36 e 41 Cost., degli artt. 2056, 2059, 1226, 2727 e 2729 cod. civ. nonché degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.; si duole in particolare della mancata valorizzazione in via presuntiva di circostanze legate alle intuibili compromissioni del rapporto coniugale e allo sconvolgimento della vita familiare derivanti dalla dolorosa vicenda dell’infortunio;

5. con il quinto motivo deduce omesso esame di un fatto decisivo rappresentato dell’entità del danno biologico, permanente e temporaneo, incidente sulla capacità lavorativa della vittima; assume che tale elemento era rilevante al fine della ricostruzione del danno patrimoniale sofferto quale coniuge dell’infortunato;

6. il primo ed il secondo motivo di ricorso sono meritevoli di accoglimento per quanto di ragione;

6.1. tali motivi, secondo quanto emerge dalla lettura coordinata delle censure con essi articolate, risultano in concreto intesi a denunziare sostanzialmente l’errore di diritto del giudice di merito nel pretendere, in violazione del principio dell’integrale ristoro del danno, di ancorare la determinazione del quantum ad un parametro necessariamente tratto da fonti legislative, escludendo altri parametri in ragione della natura non legislativa della relativa fonte (come per le tavole di mortalità ISTAT del 1981);

6.2. le censure sono condivisibili alla luce di recenti arresti della S.C., ai quali si rimanda anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ., i quali hanno ripetutamente evidenziato la inadeguatezza del criterio di liquidazione rappresentato dalle tavole di mortalità di cui al R.D. n. 1403/1922 e la necessità di garantire l’integrale ristoro del danno attraverso il ricorso a parametri non necessariamente tratti da fonti legislative (Cass. n. 18093/2020, Cass. n. 16913/2019, Cass. n. 20615/2016);

la sentenza impugnata è incorsa, pertanto, in errore di diritto ponendosi in contrasto con il principio affermato da questa Corte secondo il quale <<Il danno patrimoniale futuro da perdita della capacità lavorativa specifica, in applicazione del principio dell’integralità del risarcimento sancito dall’artt. 1223 c.c., deve essere liquidato moltiplicando il reddito perduto per un adeguato coefficiente di capitalizzazione, utilizzando quali termini di raffronto, da un lato, la retribuzione media dell’intera vita lavorativa della categoria di pertinenza, desunta da parametri di rilievo normativi o altrimenti stimata in via equitativa, e, dall’altro, coefficienti di capitalizzazione di maggiore affidamento, in quanto aggiornati e scientificamente corretti, quali, ad esempio, quelli approvati con provvedimenti normativi per la capitalizzazione delle rendite previdenziali o assistenziali oppure quelli elaborati specificamente nella materia del danno aquiliano>> (Cass. n. 16913/2019 cit.);

6.3. si impone pertanto, in accoglimento del primo e del secondo motivo, la cassazione in parte qua della sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Trieste, in diversa composizione, per il riesame della fattispecie alla luce del principio enunciato;

7. l’accoglimento del primo e del secondo motivo assorbe l’esame del terzo motivo;

8. il quarto ed il quinto motivo di ricorso, che investono il rigetto della domanda risarcitoria di G.K., sono da respingere;

8.1. la Corte di merito ha ritenuto essere rimasto indimostrato il pregiudizio sofferto dalla moglie dell’infortunato in conseguenza della menomazione che il K. aveva riportato dall’infortunio (schiacciamento del piede con esiti di amputazione prossimale e difficoltà di deambulazione). Tale accertamento di fatto poteva essere incrinato, ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 5 cod. proc. civ. , solo dalla deduzione di omesso esame di fatto decisivo e controverso oggetto di discussione tra le parti, deduzione in concreto preclusa in base al disposto dell’art. 348 ter ultimo comma cod. proc. civ., dalla esistenza di cd. doppia conforme, non avendo la parte ricorrente indicato, come suo onere, le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 20994/2019, Cass. n. 26774/2016, Cass. n. 5528/2014);

8.2. da tanto deriva la inammissibilità delle censure articolate con il quinto motivo, che peraltro individuano quale fatto il cui esame sarebbe stato omesso la circostanza della percentuale invalidante riportata dall’infortunato, percentuale da ritenersi, viceversa, necessariamente presa in considerazione dalla Corte di merito nel procedimento di quantificazione del danno alla capacità di lavoro sofferto dal K.;

8.3. la deduzione di violazione di norme di diritto di cui al quarto motivo è anch’essa da respingere in quanto non incentrata sull’errore della Corte di merito nella ricostruzione della fattispecie astratta ma intesa in sintesi a censurare il mancato ricorso al ragionamento presuntivo, sindacabile in sede di legittimità solo per vizio di motivazione; la condivisibile giurisprudenza della S.C. ha chiarito che con riferimento agli artt. 2727 e 2729 cod. civ. spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità, puntualizzando che la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi a prospettare l’ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio il quale non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità (Cass. n. 22366/2021, Cass. n. 10847/2007, Cass. n. 5379/2020); le doglianze della ricorrente non sono conformi a tali prescrizioni essendosi limitate a prospettare la necessità di valorizzazione di alcuni elementi senza evidenziare la assoluta illogicità delle diverse conclusioni attinte dal giudice di merito;

8.4. in base alle considerazioni che precedono il ricorso di G.K. deve essere respinto e la ricorrente condannata alla rifusione delle spese di lite come in dispositivo quantificate;

9. nei confronti della predetta G.K. sussistono i presupposti processuali per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso a norma dei comma 1 bis dell’art.13 d. P.R. n. 115/2002 (Cass. Sez. Un. n. 23535/2019).

P.Q.M.

Accoglie il primo ed il secondo motivo per quanto di ragione, assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di appello di Trieste in diversa composizione alla quale demanda il regolamento delle spese del giudizio di legittimità in relazione alla posizione di T.K.

Rigetta il quarto ed il quinto motivo di ricorso e condanna G. K. alla rifusione alla controricorrente delle spese di lite che liquida in € 2.700,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente G. K. dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.