CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 novembre 2020, n. 25222
Cartelle esattoriali – Contributi previdenziali e premi assicurativi – Insussistenza dell’elemento caratterizzante il rapporto di apprendistato – Addestramento professionale specifico – Sindacato sulla violazione o falsa applicazione di una norma di diritto presuppone la mediazione di una ricostruzione del fatto incontestata
Rilevato che
1. la Corte di Appello di Palermo, con sentenza pubblicata il 9 aprile 2015, in riforma della pronuncia di primo grado, ha respinto le opposizioni proposte da Ignazia R.D.G. avverso le cartelle esattoriali con le quali le veniva intimato il pagamento, nei confronti dell’INPS, di euro 15.820,17 per contributi previdenziali e, nei confronti dell’INAIL, di euro 1.016,29 per premi assicurativi;
2. la Corte ha ritenuto, sulla scorta del materiale probatorio acquisito, che non fosse in alcun modo emerso l’elemento caratterizzante il rapporto di apprendistato con due dipendenti e “cioè l’addestramento professionale specifico, diretto ad assicurare al lavoratore l’insegnamento necessario perché possa conseguire la capacità tecnica per divenire lavoratore qualificato”;
3. per la cassazione di tale pronuncia ha proposto ricorso la D.G. con 2 motivi; non ha svolto attività difensiva l’INPS che ha solo depositato procura; ha resistito con controricorso l’INAIL;
Considerato che
1. con il primo motivo di ricorso si denuncia: “violazione e falsa applicazione degli artt. 2130-2134 c.c., della I. 19.1.55 n. 25 e del d.P.R. 30.12.56 n. 1688”, sostenendo che “l’istruttoria compiuta ha evidenziato che la datrice di lavoro ha adempiuto all’obbligo derivante dallo speciale rapporto di apprendistato”; all’uopo si richiamano le dichiarazioni delle due lavoratrici e si deduce che una era alla prima occupazione e l’altra aveva lavorato come commessa in un girarrosto;
2. la censura è inammissibile perché l’accertamento se sia stato o meno conferito l’addestramento necessario è questione di fatto, rispetto alla quale non hanno attinenza le violazioni di norme di diritto dedotte nel motivo;
come noto, infatti, il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., ricorre o non ricorre per l’esclusivo rilievo che, in relazione al fatto accertato, la norma non sia stata applicata quando doveva esserlo, ovvero che lo sia stata quando non si doveva applicarla, ovvero che sia stata “male” applicata, e cioè applicata a fattispecie non esattamente comprensibile nella norma (tra le molteplici, Cass. n. 26307 del 2014; Cass. n. 22348 del 2007); sicché il sindacato sulla violazione o falsa applicazione di una norma di diritto presuppone la mediazione di una ricostruzione del fatto incontestata perché è quella che è stata operata dai giudici del merito; al contrario, laddove si critichi la ricostruzione della vicenda storica quale risultante dalla sentenza impugnata, si è fuori dall’ambito di operatività dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., e la censura è attratta inevitabilmente nei confini del sindacabile esclusivamente ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., nella formulazione tempo per tempo vigente, vizio che appunto postula un fatto ancora oggetto di contestazione tra le parti; lo sconfinamento nel merito è conclamato nella specie dal riferimento nell’illustrazione del motivo alle dichiarazioni rese dalle lavoratrici così come ai loro trascorsi professionali;
3. parimenti inammissibile il secondo mezzo con cui si denuncia “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia” per non avere la Corte territoriale tenuto in debito conto “che le due dipendenti esaminate dagli ispettori erano alla fine del periodo di apprendistato”;
infatti la formulazione della censura replica sostanzialmente il previgente testo del n. 5) dell’art. 360 c.p.c. e si palesa inammissibile alla luce del nuovo testo della richiamata disposizione, che ha certamente escluso la valutabilità della “insufficienza” della motivazione, limitando il controllo di legittimità all’«omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti», sempre che lo stesso sia denunciato secondo i canoni prescritti da Cass. SS.UU. n. 8053 e n. 8054 del 2014 (con principi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite v. n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici) di cui parte ricorrente non tiene alcun conto;
4. conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile, con spese che seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo in favore dell’INAIL;
nulla va disposto, invece, per le spese in favore dell’INPS in quanto non ha svolto attività difensiva;
ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese liquidate in favore dell’INAIL in euro 2.500,00, oltre euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e spese generali al 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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