CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 novembre 2021, n. 32978
Tributi – Dazi, IVA ed accise – Importazione di tabacchi lavorati – Furto – Obbligo di pagamento delle imposte
Fatti di causa
Con la sentenza impugnata la Commissione tributaria regionale della Lombardia accoglieva l’appello principale proposto dall’Agenzia delle dogane, ufficio locale, e respingeva quello incidentale proposto da M.I. srl ed Erede di M.R. di R.M.M.P., avverso la sentenza n. 62/03/10 della Commissione tributaria provinciale di Sondrio che aveva parzialmente accolto i ricorsi dei contribuenti avverso l’avviso di pagamento per dazi, IVA ed accise 2009.
La CTR osservava in particolare che le pretese erariali erano fondate in relazione a tutti i titoli impositivi portati nell’atto impugnato, non potendosi considerare quale “fatto impeditivo/estintivo” delle obbligazioni tributarie de quibus il furto della merce in questione (tabacchi lavorati esteri, TLE).
Avverso tale decisione propongono ricorso per cassazione i contribuenti deducendo cinque motivi, poi illustrati con una memoria.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle dogane e dei monopoli.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo -ex art. 360, primo comma, nn. 3-5, cod. proc. civ.- i ricorrenti lamentano vizio motivazionale e violazione/falsa applicazione dell’art. 4, d.lgs. 504/1995, poiché la CTR ha escluso che la sottrazione (furto) del quantitativo di TLE oggetto della causa possa considerarsi causa di abbuono dell’accisa (caso fortuito/forza maggiore).
Il primo profilo di censura (vizio motivazionale) è infondato.
Va anzitutto ribadito che «La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità, non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione» (Cass., n. 19547 del 04/08/2017, Rv. 645292 – 01). Certamente la sentenza impugnata non evidenzia carenze argomentative sussumibili nel parametro di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (versione previgente, applicabile ratione temporis), posto che la CTR ha esposto in modo sintetico, ma lineare e coerente, le ragioni di fatto e di diritto per le quali riteneva non applicabile I’ “abbuono” dell’accisa nel caso di specie, pacificamente consistito in un ammanco di TLE dovuto ad un fatto illecito di soggetti terzi (furto).
Del pari infondato risulta essere il secondo profilo della censura.
In primo luogo bisogna rilevare che, pacifico che l’ammanco de quo è avvenuto l’8 aprile 2009, in questo giudizio non è applicabile l’art. 4, d.lgs. 504/1995 (TUA), per la semplice e dirimente ragione che tale fonte normativa risulta applicabile alle accise sui tabacchi lavorati, a decorrere dall’l aprile 2010, solamente a seguito delle modifiche introdotte con il d.lgs. 48/2010.
Il caso in esame va perciò sussunto nella previgente disciplina di cui al d.l. 331/1993 e, trattandosi di accisa “armonizzata”, tale normativa interna deve essere interpretata sulla base della Direttiva 92/12/CEE, ancora in vigore alla data del fatto oggetto della lite (8 aprile 2009), poiché la successiva Direttiva 2008/118/CE, pur entrata in vigore il 17 dicembre 2008 (art. 49), tuttavia ha dilazionato l’effetto abrogativo della prima all’ 1 aprile 2010 (art. 47). Ciò posto, bisogna rilevare ulteriormente in base alla richiamata normativa interna ed unionale:
– che il presupposto dell’imposta in questione è costituito dalla produzione/importazione nel territorio comunitario di tabacchi lavorati (art. 5, comma 1, Dir. 12/1992);
– che tuttavia il collocamento dei prodotti in un deposito autorizzato implica un regime sospensivo (art. 4, lett. c), Dir. cit.), il quale cessa all’atto dell’immissione al consumo, anche a causa di “svincolo irregolare” (art. 6, comma 1, Dir. cit.);
– che al verificarsi di “caso fortuito o forza maggiore”, accertati dalle Autorità interne, è consentito l’abbuono dell’imposta (id est, estinzione dell’obbligazione tributaria; art. 14, comma 1, Dir. cit.). Questi principi comunitari sono stati recepiti dagli artt. 2, 5, d.l. 331/1993.
In particolare il comma 1 di quest’ultima disposizione legislativa prevede(va) che «In caso di perdita o distruzione di prodotti soggetti ad accisa che si trovano in regime sospensivo, è concesso l’abbuono dell’imposta quando è provato che la perdita o la distruzione dei prodotti è avvenuta per caso fortuito o per forza maggiore. Salvo che per i tabacchi lavorati, i fatti imputabili a terzi o allo stesso soggetto passivo a titolo di colpa non grave sono equiparati al caso fortuito ed alla forza maggiore».
Dunque, quest’ultima parte della norma, di per sé, esclude che il “fatto illecito del terzo” possa avere effetto di “abbuono”, come “caso fortuito/forza maggiore”, per i tabacchi lavorati.
Peraltro, il plesso normativo de quo è già stato oggetto di analisi ermeneutica da parte di questa Corte, che ha statuito il principio di diritto secondo il quale «In tema di accise, l’abbuono dell’imposta non è previsto nell’ipotesi di svincolo irregolare della merce dal regime di sospensione, ma solo in quella di ammanchi, riconducibili a caso fortuito o a forza maggiore, che abbiano determinato la perdita o distruzione del bene in senso oggettivo, ossia in riferimento alla sua esistenza ed alla sua idoneità al consumo, situazione che non ricorre ove il prodotto sia stato sottratto ad opera di terzi, trattandosi di circostanza che non rie esclude l’immissione nel circuito commerciale» (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 16966 del 11/08/2016, Rv. 640957 – 01).
Il Collegio ritiene di dover dare seguito a tale arresto giurisprudenziale, anche nella considerazione dell’evoluzione giurisprudenziale unionale.
In particolare la Corte di giustizia UE ha osservato che il legislatore dell’Unione ha conferito un ruolo centrale al depositario autorizzato (v., in tal senso, Corte giust. 2 giugno 2016, causa C-81/15, Kapnoviomichania Karelia, punti 31 e 32), in virtù del quale il regime di responsabilità nell’ambito della procedura di circolazione dei prodotti soggetti ad accisa e sottoposti a un regime sospensivo si traduce in un regime di responsabilità per tutti i rischi inerenti a tale circolazione.
Soltanto in relazione a responsabilità diverse da quella concernente il pagamento dei diritti di accisa, il depositario autorizzato può sottrarvisi provando di aver adottato tutte le misure che gli si possono ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che l’operazione effettuata non lo conduca a essere partecipe di un’evasione fiscale: è in questo caso, estraneo e ulteriore all’ipotesi di responsabilità per il pagamento dei diritti di accisa, che la giurisprudenza unionale (Corte giust:. in causa C-81/15, cit., a proposito di sanzioni scaturenti da attività di contrabbando) ha disposto che occorre considerare che detta responsabilità aggravata del depositario autorizzato implica che costui possa essere dichiarato responsabile in solido per il pagamento delle somme corrispondenti alle sanzioni pecuniarie inflitte, anche se l’atto di contrabbando è stato commesso da persone con cui egli non ha scelto di collaborare e che essa dà origine, de facto, ad un sistema di responsabilità solidale oggettiva, che deve essere considerata come sproporzionata.
In questa cornice, quindi, va inquadrata la nozione di forza maggiore che la Corte di giustizia (con la sentenza 18 dicembre 2007, causa C-314/06, Société Pipeline Méditerranée et Rhóne) riferisce a circostanze estranee al depositario autorizzato, anormali e imprevedibili, le cui conseguenze non avrebbero potuto essere evitate malgrado l’adozione di tutte le precauzioni del caso da parte sua, che possono anche oggettivamente sfuggire al suo controllo o situarsi al di fuori del suo ambito di responsabilità.
La norma interna va quindi interpretata in modo conforme a quella unionale; il che comunque conduce ad escludere che di per sé il furto o la rapina esonerino il soggetto passivo dal pagamento dei diritti di accisa, anche se questi risulti del tutto estraneo alla condotta dei terzi, qualora non abbia determinato la distruzione o la perdita irrimediabile dei prodotti.
Una tale interpretazione non si pone,, d’altronde, in contrasto col principio di uguaglianza stabilito dall’art. 3 Cost., né con quello di capacità contributiva fissato dall’art. 53 Cost.
La Corte costituzionale (sentenza n. 373/1988), difatti, ha già avuto occasione di escludere, con riguardo all’art. 37, t. u. 23 gennaio 1973, n. 43, interpretato autenticamente dall’art. 23 ter del d.l. 31 ottobre 1980, n. 693 convertito con I. 22 dicembre 1980, n. 891, la violazione dell’art. 3 cost., nella parte in cui dispone che l’obbligazione tributaria doganale è esclusa solo nel caso di perdita della merce, da intendere come dispersione e non come sottrazione della disponibilità della cosa; e, quanto al principio di capacità contributiva, ha rimarcato che la capacità contributiva consiste nell’idoneità ad eseguire la prestazione coattivamente imposta, correlata non già alla concreta capacità del singolo contribuente, bensì al presupposto economico al quale l’obbligazione è collegata. Sicché quando tale presupposto sussista e sia, come nella specie, non irragionevolmente definito dal legislatore, l’imposizione della prestazione tributaria è certamente legittima, e gli accadimenti successivi non sono idonei, salvo diversa disposizione di legge, ad escluderne la sussistenza.
Da ultimo, sul punto, vi è da prendere in esame la disposizione legislativa di cui all’art. 59, legge 342/2000, novellante gli artt. 4-7, TUA, secondo la quale « 1. Al testo unico approvato con decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’articolo 4, comma 1, il secondo periodo è sostituito dai seguenti: i fatti compiuti da terzi non imputabili al soggetto passivo a titolo di dolo o colpa grave e quelli imputabili allo stesso soggetto passivo a titolo di colpa non grave sono equiparati al caso fortuito ed alla forza maggiore. Qualora, a seguito del verificarsi di reati ad opera di terzi, si instauri procedimento penale, la procedura di riscossione dei diritti di accisa resta sospesa sino a che non sia intervenuto decreto di archiviazione o sentenza irrevocabile ai sensi dell’articolo 648 del codice di procedura penale. Ove non risulti il coinvolgimento nel fatti del soggetto passivo e siano individuati gli effettivi responsabili, o i medesimi siano ignoti, è concesso l’abbuono dell’imposta a favore del soggetto passivo e si procede all’eventuale recupero nei confronti dell’effettivo responsabile”; b) all’articolo 7, comma 1, all’alinea, le parole: “che comporti l’esigibilità dell’imposta”, sono sostituite dalle seguenti: “per la quale non sia previsto un abbuono d’imposta ai sensi dell’articolo 4”. 2. Per i furti e le irregolarità nella circolazione dell’alcole nonché dei tabacchi lavorati compiuti sino alla data di entrata in vigore della presente legge, ove l’azienda italiana garante risulti estranea al fatto criminoso, viene disposto lo sgravio dell’accisa. 3. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano anche ai procedimenti in corso».
In realtà queste norme sono solo apparentemente configgenti con il quadro normativo di diritto interno che sopra si e delineato.
Infatti l’unico “punto di tangenza” tra le due discipline è quello di cui al comma 2 dell’art. 59, legge 342/2000, poiché in esso si fa riferimento ai «tabacchi lavorati».
E’ tuttavia chiara la non rilevanza di tale disposizione legislativa nel caso di specie, trattandosi di norma palesemente con natura intertemporale, come tale riferita ai fatti precendenti l’entrata in vigore della fonte normativa che la contiene e che quindi non può essere applicata al fatto oggetto del presente giudizio, di molto successivo.
In ogni caso va comunque dato seguito al principio di diritto che «In materia di accise, il furto del prodotto .. ad opera di terzi e senza coinvolgimento nei fatti del soggetto passivo di per sé non esime, ai sensi dell’art. 4, comma 1, del d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, come modificato dall’art. 59 della legge 21 novembre 2000, n. 342, dal pagamento dell’imposta, che resta abbuonata solo nell’ipotesi – la cui prova deve essere fornita dall’obbligato – di dispersione o distruzione del prodotto atteso che solo in questo caso ne resta impedita l’immissione nel consumo, laddove la sottrazione determina soltanto il venir meno della disponibilità del bene da parte del soggetto per effetto dello spossessamento, ma non ne impedisce l’ingresso nel circuito commerciale» (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 27825 del 12/12/2013, Rv. 629639 – 01).
Con il secondo motivo -ex art. 360, primo comma, nn. 3-5, cod. proc. civ.- i ricorrenti si dolgono di vizio motivazionale e della violazione/falsa applicazione degli artt. 53, dPR 633/1972, 37 TULD, poiché la CTR ha affermato la sussistenza delle loro obbligazioni per IVA e dazi.
La censura è infondata in ordine ad entrambi i profili.
Quanto al primo (vizio motivazionale), non può che ribadirsi quanto in diritto affermato in ordine al primo profilo del primo mezzo, sicuramente non meritando cassazione la sentenza impugnata per tale asserito vizio di attività.
In relazione alle violazioni/false applicazioni di legge denunciate, in primo luogo vi è da osservare che questa Corte è ormai ferma nell’affermare che l’IVA all’importazione (doganale) abbia la stessa natura di quella “interna”, differenziandosene solo per il “modulo attuativo” ed il regime sanzionatorio (cfr. Cass., Sez. 5 – , Sentenza n. 7951 del 21/03/2019, Rv. 653332 – 01; Cass., Sez. 5 – , Sentenza n. 4384 del 14/02/2019, Rv. 652717 – 01).
Tuttavia va anche riaffermato il principio che «La sottrazione della disponibilità della merce importata, che non si sia risolta nella dispersione del prodotto e/o nella sua inutilizzabilità per chiunque, non fa venir meno l’obbligo di pagamento dell’IVA all’importazione, stante la sua configurazione quale diritto doganale, ai sensi dell’art. 70 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, come sostituito dall’art. 25 d. P.R. n. 897 del 1980, e considerato che relativa obbligazione tributaria sorge al momento dell’ingresso della merce nel territorio nazionale e non si estingue con la sottrazione della merce ad opera di terzi, neppure se il debitore è incolpevole» (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 14307 del 19/06/2009, Rv. 608880 – 01; conf. Cass. n. 20763/2013).
Tale giurisprudenza trova peraltro conforto in quella della Corte di giustizia UE, secondo la quale «.. in conformità con l’articolo 203 del codice doganale, un’obbligazione doganale è sorta al momento della sottrazione delle merci, detenute in regime di deposito doganale, alla sorveglianza doganale, ovvero al momento del furto delle stesse, occorre constatare che l’IVA è diventata esigibile nello stesso momento, in applicazione dell’articolo 71, paragrafo 1, secondo comma, della direttiva IVA», essendosi precisato altresì che «..la sentenza British American Tobacco e Newman Shipping non può mettere in discussione tale risposta. In effetti, mentre nella causa all’origine di tale sentenza il fatto generatore esaminato era la cessione di beni a titolo oneroso, nella causa principale il fatto generatore di cui si prevale l’amministrazione doganale è l’importazione delle merci. Pertanto, la risposta data dalla Corte, nella citata sentenza British American Tobacco e Newman Shipping, secondo cui il furto di merci non può essere considerato come una cessione di merci a titolo oneroso e non può essere pertanto soggetto all’IVA, non può essere applicata al caso di specie» ed ancora che «.. la base imponibile dell’imposta ha potuto essere identificata perché l’importazione delle merci costituiva il fatto generatore dell’IVA. Il furto di merci ha fatto sorgere un’obbligazione doganale all’importazione e l’esigibilità dei dazi doganali ha automaticamente comportato l’esigibilità dell’imposta», quindi conclusivamente che «.. l’articolo 71, paragrafo 1, secondo comma, della direttiva IVA deve essere interpretato nel senso che il furto di merci detenute in regime di deposito doganale fa sorgere il fatto generatore e l’esigibilità dell’IVA» (C. giust., 11 luglio 2013, C-273/12, Harry Winston, punti 42/45).
Queste statuizioni della Corte di giustizia UE evidentemente elidono la fondatezza delle argomentazioni delle ricorrenti basate in particolare su precedente della medesima Corte in C-435/03 del 14 luglio 2005, British American Tobacco e Newman Shipping.
Dati questi principi di diritto, di per sé sufficienti ad affermare l’infondatezza del profilo di censura de quo, bisogna peraltro rimarcare l’inammissibilità, per palese difetto di autosufficienza, dell’ulteriore argomentazione basata sulla particolare tipologia di IVA oggetto dell’atto impositivo impugnato (IVA su merce/IVA su accisa). Sul punto il ricorso non osserva il principio di diritto secondo il quale «Il ricorso per cassazione – per il principio di autosufficienza – deve contenere in sé tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito, sicché il ricorrente ha l’onere di indicarne specificamente, a pena di inammissibilità, oltre al luogo in cui ne è avvenuta la produzione, gli atti processuali ed i documenti su cui il ricorso è fondato mediante la riproduzione diretta del contenuto che sorregge la censura oppure attraverso la riproduzione indiretta di esso con specificazione della parte del documento cui corrisponde l’indiretta riproduzione» (Cass., n. 14784 del 15/07/2015, Rv. 636120 – 01).
In particolare le ricorrenti non hanno in alcuno specifico modo messo la Corte nelle condizioni di esattamente considerare l’effettiva sussistenza e rilevanza della distinzione giuridica fatta valere, dunque, soltanto in modo avulso dal contesto di causa, appunto perciò inammissibilmente.
Con il terzo motivo -ex art. 360, primo comma, nn. 3-5, cod. proc. civ.- le ricorrenti denunciano il vizio motivazionale e la violazione/falsa applicazione dell’art. 26, Reg. CEE 29/13/1992, poiché la CTR ha affermato la sufficienza del documento di transito (T1) al fine dell’accertamento dell’origine delle merci oggetto del contenzioso.
La censura è infondata.
Correttamente il giudice tributario di appello ha basato la propria decisione sul modello T1 redatto dallo spedizioniere, essendo evidente che la previsione di cui al secondo comma dell’art. 26, Reg. 2913/1992 (CDC applicabile ratione temporis) assegna all’ufficio doganale una mera facoltà di verifica dell’origine delle merci importate («..può richiedere, in caso di seri dubbi..) e non un obbligo.
Con il quarto motivo -ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.- le ricorrenti lamentano sotto diversi profili la violazione/falsa applicazione degli artt. 7, 10, 12, legge 212/2000 e del principio generale del contraddittorio endoprocedimentale, poiché la CTR non ha accolto le sue correlative eccezioni di invalidità dell’atto impositivo impugnato.
Con il quinto motivo -ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.- le ricorrenti denunciano il vizio motivazionale della sentenza impugnata in ordine a dette eccezioni/motivi di appello incidentale. Le censure, da esaminarsi congiuntamente per connessione, sono inammissibili.
Nel ricorso infatti non è indicato, secondo il principio di diritto sopra citato (Cass., n. 14784 del 15/07/2015,, Rv. 636120 – 01), se e dove nel ricorso introduttivo della lite tali eccezioni siano state proposte, sicché all’evidenza le censure si palesano non autosufficienti.
In conclusione il ricorso va rigettato.
Stante il formarsi della giurisprudenza interna ed unionale lite pendente le spese del presente giudizio possono essere compensate.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; compensa le spese del giudizio di legittimità.
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