CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 novembre 2022, n. 33226
Lavoro – Dipendente del C.N.R. – Rapporti di lavoro a termine – Anzianità di servizio – Ricostruzione della carriera – Differenze retributive – Clausola 4, Accordo quadro sul rapporto a tempo determinato recepito dalla direttiva 99/70/CE – Applicabilità ai rapporti antecedenti
Rilevato che
1. La Corte d’ Appello di Bari, in riforma della sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva accolto il ricorso, ha rigettato le domande proposte nei confronti del C.N.d.R. (in seguito anche CNR) da A.C., la quale aveva agito in giudizio per ottenere il riconoscimento, a fini giuridici ed economici, dell’anzianità di servizio maturata sulla base di rapporti di lavoro a termine intercorsi fra le parti e la condanna dell’amministrazione convenuta a corrispondere, nei limiti della prescrizione quinquennale, le differenze retributive conseguenti alla ricostruzione della carriera;
2. la Corte territoriale ha ritenuto preliminare ed assorbente il motivo d’appello con il quale il CNR aveva dedotto che i rapporti a termine intercorsi fra le parti non potevano essere fatti valere ai fini dell’applicazione della clausola 4 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE perché risalenti ad epoca antecedente il 10 luglio 2001;
3. il giudice d’appello ha richiamato giurisprudenza della Corte di giustizia per sostenere che le norme comunitarie di diritto sostanziale si possono applicare a situazioni createsi anteriormente alla loro entrata in vigore soltanto qualora dalla lettera, dallo scopo o dallo spirito di tali disposizioni risulti con chiarezza che alle stesse debba essere attribuita efficacia retroattiva;
4. ha precisato che tale retroattività non è stata prevista per la direttiva sul lavoro a tempo determinato, che, pertanto, non poteva essere invocata dall’appellata la quale, immessa definitivamente in ruolo il 16 dicembre 1997, pretendeva di far valere contratti a termine risalenti a periodi di gran lunga antecedenti l’entrata in vigore della normativa comunitaria;
5. infine la Corte territoriale ha rilevato che, sebbene l’anzianità di servizio non costituisca uno status né un distinto bene della vita oggetto di autonomo diritto, nel caso di specie non poteva non spiegare effetti la circostanza che i fatti generatori del preteso diritto alla ricostruzione della carriera si collocassero in un momento temporale in cui la disciplina legittimamente escludeva l’effetto utile invocato;
6. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso A.C. sulla base di unico motivo illustrato da memoria, al quale ha opposto difese con tempestivo controricorso il C.N.d.R..
Considerato che
1. è infondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dal controricorrente in relazione all’asserita mancanza o insufficienza dell’esposizione dei fatti di causa;
l’art. 366, comma 1 n. 3 cod. proc. civ. risponde non ad una esigenza di mero formalismo, bensì a quella di consentire una conoscenza chiara dei fatti di causa, in modo da permettere alla Corte di Cassazione di intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato. Il requisito, quindi, è soddisfatto ogniqualvolta l’atto fornisca gli elementi indispensabili per una precisa cognizione della vicenda processuale, sicché la valutazione sulla completezza della esposizione dei fatti contenuta nell’atto introduttivo deve essere effettuata considerando il fine che il requisito stesso mira ad assicurare e contemperando l’esigenza di fornire alla Corte tutti gli elementi necessari ai fini della decisione con quella della necessaria sinteticità degli atti processuali. Ne discende che, come evidenziato dalle Sezioni Unite di questa Corte, la “esposizione sommaria dei fatti di causa” non richiede né la pedissequa riproduzione dell’intero, letterale contenuto degli atti processuali né che “si dia meticoloso conto di tutti i momenti nei quali la vicenda processuale s’è articolata” (così in motivazione Cass. S.U. 11.4.2012 n. 5698), essendo sufficiente una sintesi della vicenda “funzionale alla piena comprensione e valutazione delle censure mosse alla sentenza impugnata”. Le Sezioni Unite nella citata pronuncia hanno anche significativamente aggiunto che “il ricorso non può dirsi inammissibile quand’anche difetti una parte formalmente dedicata all’esposizione sommaria del fatto, se l’esposizione dei motivi sia di per sé autosufficiente e consenta di cogliere gli aspetti funzionalmente utili della vicenda sottostante al ricorso stesso” (in questi stessi termini, fra le più recenti, Cass. n. 17036/2018). Dai richiamati principi discende che nella fattispecie non è ravvisabile l’eccepito difetto del requisito di cui all’art. 366 n. 3 cod. proc. civ. perché la ricorrente, oltre a trascrivere nel ricorso la sintesi della vicenda processuale effettuata dalla Corte territoriale nella sentenza gravata, ha indicato tutti gli elementi di fatto rilevanti, ripercorrendo la sua storia lavorativa, ed ha riassunto gli argomenti sulla base dei quali era stata domandata una ricostruzione della carriera che tenesse conto dell’anzianità pregressa maturata in forza di rapporti a termine, argomenti poi ripresi ed ulteriormente sviluppati nel corpo dei motivi;
2. con l’unico motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., si imputa alla sentenza impugnata la «violazione e falsa applicazione della Direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, 1999/70/CE, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, così come interpretata dalla Corte di Giustizia della Comunità Europea». La ricorrente sostiene, in sintesi, che ha errato la Corte territoriale nell’escludere ogni rilevanza dell’anzianità maturata sulla base di rapporti a termine intercorsi fra le parti in data antecedente all’entrata in vigore della direttiva, innanzitutto perché il contratto a tempo indeterminato, disconoscendo l’anzianità maturata, aveva realizzato una discriminazione ingiustificata, protrattasi ininterrottamente nel tempo.
Richiama le ragioni per le quali la Corte di Giustizia, in plurime decisioni, ha ribadito che, qualora l’anzianità di servizio incida sull’ammontare della retribuzione, occorre tener conto anche della prestazione lavorativa resa sulla base di contratti a tempo determinato, se comparabile all’attività del dipendente a tempo indeterminato, e nel giudizio di comparazione si deve tener conto solo della natura delle mansioni espletate, nella specie rimasta sempre immutata;
3. il motivo è fondato, risolutive ai fini del presente giudizio essendo le considerazioni già svolte da questa Corte nella decisione 16.07.2020 n. 15231, relativa a vicenda sovrapponibile, alla cui motivazione si rinvia anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ.;
questa Corte ha già esaminato la questione inerente al riconoscimento dell’anzianità maturata sulla base di contratti a termine dai dipendenti del C.N.R. e di altri enti di ricerca ed ha affermato, in fattispecie nelle quali venivano in rilievo le procedure di stabilizzazione di cui alla legge n. 296/2006, che al lavoratore «deve essere riconosciuta l’anzianità di servizio maturata precedentemente all’acquisizione dello status di lavoratore a tempo indeterminato, allorché le funzioni svolte siano identiche a quelle precedentemente esercitate nell’ambito del contratto a termine, non potendo ritenersi, in applicazione del principio di non discriminazione, che lo stesso si trovasse in una situazione differente a causa del mancato superamento del concorso pubblico per l’accesso ai ruoli della P.A., mirando le condizioni di stabilizzazione fissate dal legislatore proprio a consentire l’assunzione dei soli lavoratori a tempo determinato la cui situazione poteva essere assimilata a quella dei dipendenti di ruolo» (Cass. n. 27950/2017; negli stessi termini Cass. n. 7118/2018 e Cass. nn. 3473 e 6146 del 2019 queste ultime in tema di personale stabilizzato alle dipendenze dell’Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica);
il principio di diritto è stato fondato sulla giurisprudenza della Corte di Giustizia, la quale, anche nelle pronunce successive agli arresti di questa Corte (Corte di Giustizia 20.6.2019, causa C- 72/18 Ustariz Arostegui; 11.4.2019, causa C- 29/18, Cobra Servizios Auxiliares; 21.11.2018, causa C- 619/17, De Diego Porras; 5.6.2018, causa C – 677/16, Montero Mateos), ha dato continuità alla propria interpretazione della clausola 4 dell’Accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato allegato alla direttiva 1999/70/CE ribadendo che a) la clausola 4 dell’Accordo esclude in generale ed in termini non equivoci qualsiasi disparità di trattamento non obiettivamente giustificata nei confronti dei lavoratori a tempo determinato, sicché la stessa ha carattere incondizionato e può essere fatta valere dal singolo dinanzi al giudice nazionale, che ha l’obbligo di applicare il diritto dell’Unione e di tutelare i diritti che quest’ultimo attribuisce, disapplicando, se necessario, qualsiasi contraria disposizione del diritto interno (Corte Giustizia 15.4.2008, causa C- 268/06, Impact; 13.9.2007, causa C-307/05, Del Cerro Alonso; 8.9.2011, causa C-177/10 Rosado Santana); b) il principio di non discriminazione non può essere interpretato in modo restrittivo, per cui la riserva in materia di retribuzioni contenuta nell’art. 137 n. 5 del Trattato (oggi 153 n. 5), “non può impedire ad un lavoratore a tempo determinato di richiedere, in base al divieto di discriminazione, il beneficio di una condizione di impiego riservata ai soli lavoratori a tempo indeterminato, allorché proprio l’applicazione di tale principio comporta il pagamento di una differenza di retribuzione” (Del Cerro Alonso, cit., punto 42); c) le maggiorazioni retributive che derivano dall’anzianità di servizio del lavoratore, costituiscono condizioni di impiego ai sensi della clausola 4, con la conseguenza che le stesse possono essere legittimamente negate agli assunti a tempo determinato solo in presenza di una giustificazione oggettiva (Corte di Giustizia 9.7.2015, in causa C177/14, Regojo Dans, punto 44, e giurisprudenza ivi richiamata); d) a tal fine non è sufficiente che la diversità di trattamento sia prevista da una norma generale ed astratta, di legge o di contratto, né rilevano la natura pubblica del datore di lavoro e la distinzione fra impiego di ruolo e non di ruolo, perché la diversità di trattamento può essere giustificata solo da elementi precisi e concreti di differenziazione che contraddistinguano le modalità di lavoro e che attengano alla natura ed alle caratteristiche delle mansioni espletate (Regojo Dans, cit., punto 55 e con riferimento ai rapporti non di ruolo degli enti pubblici italiani Corte di Giustizia 18.10.2012, cause C302/11 e C305/11, Valenza; 7.3.2013, causa C393/11, Bertazzi);
la Corte di Giustizia ha precisato, inoltre, ed il principio è stato ripreso da questa Corte con le recenti sentenze nn. 31149 e 31150 del 2019 in tema di ricostruzione della carriera del personale della scuola, che l’applicabilità della clausola 4 dell’Accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato allegato alla direttiva 1999/70/CE non può essere esclusa nei casi in cui il rapporto abbia acquisito stabilità attraverso la definitiva immissione in ruolo. Della disposizione, infatti, si deve fornire un’interpretazione non restrittiva perché l’esigenza di vietare discriminazioni dei lavoratori a termine rispetto a quelli a tempo indeterminato viene in rilievo anche qualora il rapporto a termine, seppure non più in essere, venga fatto valere ai fini dell’anzianità di servizio (cfr. Corte di Giustizia 8.9.2011 in causa C-177/10 Rosado Santana punto 43; Corte di Giustizia 18.10.2012 in cause riunite da C- 302/11 a C-305/11, Valenza ed altri, punto 36);
è stata altresì affrontata la questione della prescrittibilità del diritto alla ricostruzione della carriera e si è affermato, in linea con un orientamento già consolidatosi nell’ambito dell’impiego privato, che l’anzianità di servizio non è uno status né un distinto bene della vita oggetto di un autonomo diritto, rappresentando piuttosto la dimensione temporale del rapporto di lavoro di cui integra il presupposto di fatto di specifici diritti, e, pertanto, «l’effettiva anzianità di servizio può essere sempre accertata anche ai fini del riconoscimento del diritto ad una maggiore retribuzione per effetto del computo di un più alto numero di anni di anzianità salvo, in ordine al quantum della somma dovuta al lavoratore, il limite derivante dalla prescrizione quinquennale cui soggiace il diritto alla retribuzione» (Cass. n. 2232/2020);
i richiamati principi, ai quali il Collegio intende dare continuità, orientano anche nella soluzione della questione che qui viene più specificamente in rilievo, ossia quella della computabilità, ai fini del calcolo dell’anzianità complessiva dell’assunto a tempo indeterminato, dei rapporti a termine che si collocano temporalmente in data antecedente l’entrata in vigore della direttiva 1999/70/CE;
sul punto questa Corte si è già incidentalmente pronunciata (Cass. n. 31149/2019 punto 10 della motivazione) pervenendo alla conclusione che ai fini dell’applicabilità della direttiva, quanto alla rilevanza dell’anzianità pregressa, occorre avere riguardo all’epoca in cui sorge il diritto del quale l’anzianità stessa costituisce un presupposto di fatto. Il principio deve essere qui ribadito, perché non sono condivisibili gli argomenti sui quali la Corte territoriale ha fondato il rigetto della domanda, asserendo che la stessa implicasse un’applicazione retroattiva della direttiva. Va detto subito che la Corte di Giustizia, ai punti 89 e 90 della sentenza 22.10.2010 in cause riunite c – 444/09 e c- 456/09, richiamata dal giudice d’appello, si è limitata ad affermare che «il beneficio delle indennità per anzianità di servizio, come quelle triennali oggetto della causa principale» deve essere riconosciuto, fatta salva l’applicazione delle norme interne sul regime di prescrizione, solo per il periodo successivo alla scadenza del termine fissato per la trasposizione della direttiva. Non è, però, questa la questione che qui viene in rilievo, perché la ricorrente non domanda una modifica delle condizioni di impiego in relazione al periodo antecedente l’entrata in vigore dell’accordo quadro, bensì invoca quest’ultimo per ottenere la parificazione agli assunti ab origine a tempo indeterminato nei successivi sviluppi di carriera;
4. può, pertanto, essere esteso alla fattispecie il medesimo principio affermato dalla Corte di Giustizia con riferimento all’applicazione della clausola 4 dell’accordo quadro 97/81/CE sul lavoro a tempo parziale, principio secondo cui il diritto alla parità di trattamento può essere fatto valere, facendo leva su contratti stipulati in data antecedente l’entrata in vigore della direttiva, per ottenere la parificazione in ordine ad un trattamento spettante in data successiva. Ciò perché «secondo una giurisprudenza costante, una nuova norma si applica, salvo deroghe, immediatamente agli effetti futuri delle situazioni sorte sotto l’impero della vecchia legge (v., in tal senso, in particolare, sentenze 14 aprile 1970, causa 68/69, Brock, Racc. pag. 171, punto 7; 10 luglio 1986, causa 270/84, Licata/CES, Racc. pag. 2305, punto 31; 18 aprile 2002, causa C290/00, Duchon, Racc. pag. 1-3567, punto 21; 11 dicembre 2008, causa C-334/07 P, Commissione/Freistaat Sachsen, Racc. pag. I9465, punto 43, nonché 22 dicembre 2008, causa C-443/07 P, Centeno Mediavilla e a./Commissione, Racc. pag. 1-10945, punto 61)» (Corte di Giustizia 10.6.2010 in cause riunite C-395/08 e C 396/08, INPS, punto 53; negli stessi termini Corte di Giustizia 12.9.2013 in causa C- 614/11, Kuso). Nessuna espressa deroga a detto principio, proprio dell’ordinamento eurounitario, è contenuta nella clausola 4 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 99/10/CE, che sostanzialmente ricalca quella interpretata dalla Corte di Giustizia nei termini sopra indicati. Non occorre, pertanto, fare ricorso allo strumento del rinvio pregiudiziale, perché lo stesso presuppone il dubbio interpretativo su una norma del diritto dell’Unione, dubbio che non ricorre, oltre che nei casi in cui il senso della disposizione sia evidente, qualora sulla stessa, o su norme analoghe, la Corte di Giustizia si sia già pronunciata (Cass. n. 15041/2017 che richiama Cass. S.U. n. 12067/2007);
5. la Corte territoriale ha ritenuto infondata la domanda sul presupposto, assorbente ma erroneo, che la ricorrente in nessun caso potesse fare valere l’anzianità maturata in forza di rapporti a termine stipulati prima dell’entrata in vigore della direttiva. La sentenza, pertanto, deve essere cassata con rinvio al giudice d’appello indicato in dispositivo che procederà ad un nuovo esame, anche delle questioni assorbite e qui riproposte dal CNR, attenendosi ai principi di diritto sopra richiamati nonché a quello che qui si enuncia nei termini che seguono: «La clausola 4 dell’Accordo quadro sul rapporto a tempo determinato recepito dalla direttiva 99/70/CE, di diretta applicazione, impone al datore di lavoro pubblico di riconoscere, ai fini della progressione stipendiale e degli sviluppi di carriera successivi al 10 luglio 2001, l’anzianità di servizio maturata sulla base di contratti a tempo determinato, nella medesima misura prevista per il dipendente comparabile assunto ab origine a tempo indeterminato, fatta salva la ricorrenza di ragioni oggettive che giustifichino la diversità di trattamento. Il principio è applicabile anche nell’ipotesi in cui il rapporto a termine sia antecedente alla data sopra indicata, di entrata in vigore della direttiva, perché, in assenza di espressa deroga, il diritto dell’Unione si applica agli effetti futuri delle situazioni sorte nella vigenza della precedente disciplina»;
6. alla Corte territoriale è demandato anche di provvedere sul regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Bari in diversa composizione, alla quale demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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