CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 ottobre 2018, n. 25012
Tributi – Accertamento – Riscossione – Contributi in conto capitale – Reddito imponibile – Principio di cassa
Ritenuto in fatto
1. TRA.IN Spa, con sede legale in Siena, propone ricorso, affidato a sei motivi, per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana (hinc: CTR), indicata in epigrafe, che – in controversia avente a oggetto l’impugnazione di un avviso di accertamento emesso, per l’anno d’imposta 2002, che recuperava a tassazione, ai fini IRPEG e IRAP, somme erogate, nel 2002, dalla Regione Toscana, nella misura di euro 345.987,97, per la copertura di disavanzi nel settore del trasporto pubblico, in applicazione delle leggi n. 204/95, n. 194/98 e n. 472/99, qualificate (nell’atto impositivo) come «contributi in conto capitale» che avrebbero dovuto concorrere alla formazione del reddito imponibile, secondo il principio di cassa – in parziale accoglimento dell’appello della contribuente, dichiarava che le stesse somme erano escluse dall’imposizione diretta (IRPEG), ma concorrevano alla formazione della base imponibile dell’IRAP e, ancora, che, nella specie, era applicabile la sanzione prevista dall’art. 32, del d.l. n. 446/1997.
Il giudice d’appello disattendeva l’eccezione della contribuente di carenza di motivazione della sentenza di primo grado e, quanto al merito, stabiliva che i contributi erano esclusi dall’imposizione diretta, ai sensi dell’art. 3, primo comma, del d.l. n. 833/1986 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 18/1987), con conseguente assorbimento delle questioni sollevate dalla società circa la natura dei contributi e l’individuazione dei soggetti beneficiari.
Riteneva, invece, che dette somme fossero assoggettabili all’IRAP secondo l’orientamento costante della giurisprudenza di legittimità e in base a quanto stabilito dall’art. 5, terzo comma, della legge n. 289/2002, quale norma interpretativa.
Non aderiva, inoltre, alla tesi subordinata della società, circa l’esclusione parziale dei contributi dalla tassazione ai fini dell’IRAP (trattandosi, ad avviso della contribuente, di somme volte a coprire spese «correlate», per prestazioni di lavoro dipendente), sul presupposto – che, nella fattispecie, la CTR reputava insussistente – che una simile correlazione, tra contributi e costi indeducibili, dovesse essere espressamente prevista dalla legge regionale istitutiva della misura di sovvenzione pubblica. In punto di sanzioni, infine, affermava l’applicabilità dell’art. 32, del d.l. n. 446/1997, in tema di IRAP, posto che i contributi in discorso erano, per legge, esentati dall’imposizione diretta.
2. L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso, nel quale propone altresì ricorso incidentale, con un motivo.
3. Entrambe le parti hanno depositato una memoria ex art. 380-bis cod. proc. civ.
Considerato in diritto
1. Primo motivo del ricorso principale: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. – Vizio di ultrapetizione – Questioni erroneamente dichiarate assorbite (art. 62 del D.Lgs n. 546/92 e art. 360 n. 3 e n. 4 c.p.c.).».
La ricorrente lamenta l’omessa pronuncia della sentenza impugnata che, accolto il quinto motivo d’appello della società e dichiarato, quindi, che i contributi in esame sono esclusi dall’IRPEG, ha poi ritenuto assorbiti il secondo motivo d’appello, con il quale la società censurava la sentenza di primo grado per: «errata individuazione del soggetto destinatario dei contributi», il terzo motivo d’appello, con il quale la società censurava la sentenza di primo grado per avere: «omesso di considerare la natura, comunque, patrimoniale» dei contributi in esame, e il quarto motivo d’appello, con il quale la società censurava la sentenza di primo grado: «nella parte in cui ha ritenuto che le somme in esame avessero natura di contributi in conto capitale».
Difatti, secondo la prospettazione difensiva dell’Ente, con il quinto motivo d’appello (accolto dalla CTR), la società aveva chiesto l’esclusione dei contributi dall’IRPEG, mentre con gli altri motivi suindicati aveva chiesto l’esclusione dei contributi sia dall’IRPEG che dall’IRAP, sicché l’accoglimento del quinto motivo (comportante l’annullamento parziale dell’avviso di accertamento, limitatamente alla parte relativa all’IRPEG), non poteva determinare l’assorbimento degli altri tre motivi, volti ad ottenere un risultato più ampio, ossia l’annullamento dell’intero avviso d’accertamento, sia ai fini dell’IRPEG che ai fini dell’IRAP.
2. Secondo motivo: «Omesso esame di questioni controverse e decisive ai fini della presente controversia (art. 62 del D.Lgs. n. 546/92 e art. 360 n. 5 c.p.c.).».
La ricorrente si duole che la sentenza impugnata, per effetto dell’assorbimento dei suindicati tre motivi, abbia omesso il vaglio di una «serie di questioni che erano state riproposte in sede di gravame dalla Società contribuente.» (cfr. pag. 19 del ricorso per cassazione), e segnatamente: a) l’individuazione, in punto di diritto, del soggetto destinatario delle somme; b) l’individuazione, in punto di fatto, del soggetto destinatario delle somme; c) la natura patrimoniale e non reddituale di esse; d) che – anche ammesso che le somme si dovessero ritenere di spettanza della contribuente (e non degli enti proprietari e soci della società di trasporto pubblico locale) e che esse dovessero qualificarsi come contributi – gli stessi importi, in quanto diretti a ripianare i disavanzi di gestione e, dunque, ad integrare i ricavi di esercizio, come i contributi ex lege n. 151/1981, essendo qualificabili come «contributi in conto esercizio», non avrebbero dovuto essere assoggettati ad imposta.
Denuncia che se la CTR avesse esaminato la documentazione prodotta dalla società fin dal primo grado del giudizio avrebbe qualificato i contributi come non assoggettabili all’IRPEG e all’IRAP, in capo a TRA.IN Spa, per la loro natura di «versamenti soci», effettuati dagli Enti locali proprietari-soci della società esercente il trasporto pubblico locale, riconducibili, al più, alla nozione di «contributi in conto esercizio».
2.1. I due motivi, da esaminare congiuntamente per la loro stretta connessione, sono infondati.
Le censure di omessa pronuncia e di omesso esame di alcune questioni rilevanti per l’esatta definizione della controversia, non sono ravvisabili in virtù del costante indirizzo della Corte, al quale il Collegio ritiene di aderire, secondo cui: «Ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia.» (Cass. 13/10/2017, n. 24155).
Giova rilevare che, nella specie, la decisione della CTR esiste e si sostanzia dell’affermazione secondo cui i contributi pubblici diretti a coprire le perdite d’esercizio delle imprese esercenti il trasporto pubblico locale non sono assoggettabili all’IRPEG, mentre sono assoggettabili all’IRAP.
Del pari, non ricorre l’asserito vizio di motivazione.
Costituisce ius reception che il vizio ex art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., vigente ratione temporis, di: «omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione» attiene necessariamente a un: «fatto controverso e decisivo per il giudizio», ossia a un fatto storico-naturalistico, principale o secondario, risultante dalla sentenza o dagli atti processuali, dedotto con un’esposizione chiara e sintetica, in relazione al quale si assume un vuoto argomentativo (omessa motivazione), oppure la carenza della trama argomentativa che la renda inidonea a dare conto delle ragioni della decisione (insufficiente motivazione) o, infine, un percorso argomentativo incomprensibile per l’insuperabile contrasto tra asserzioni inconciliabili (motivazione contraddittoria) (ex multis: Cass. 13/12/2017, n. 29883; Cass. 29/07/2011, n. 16655).
Nella specie, si osserva che oggetto di contestazione non è l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, bensì la (mera) carenza di analisi di alcune questioni, delle quali, a giudizio di questa Corte, la CTR ha correttamente ritenuto superfluo il vaglio, dopo avere riconosciuto che i contributi in esame sono esclusi dall’imposizione diretta (IRPEG).
3. Terzo motivo: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 11, co. 3, del D.Lgs. n. (446/97) circa la parziale esclusione dei contributi dalla base imponibile IRAP (art. 62 del D.Lgs. n. 546/92 e art. 360 n. 3 c.p.c.).».
Si deduce che la sentenza impugnata, nell’assoggettare a IRAP i contributi, abbia disatteso l’art. 11, terzo comma, d.lgs. n. 446/1997, che va interpretata nel senso che sono esclusi dalla base imponibile dell’imposta regionale sulle attività produttive i contributi concessi alle imprese, per la parte di essi per cui sia dimostrabile, sotto un profilo sostanziale, la correlazione a componenti negativi di reddito non ammessi in deduzione, indipendentemente dalla presenza nella legge istitutiva o di riferimento, di espresse indicazioni in merito alla qualificazione o alla destinazione del contributo.
3.1. Il motivo è infondato.
La ragione di critica in esso contenuta è distonica rispetto al quadro dell’intero sistema dei contributi pubblici alle imprese di trasporto, che questa Corte, in passato, ha avuto modo di comporre nei seguenti termini: «[…] i contributi erogati, dapprima dallo Stato, poi dalle Regioni (queste ultime mediante un apposito Fondo destinato ai trasporti, costituito con il D.Lgs. n. 422 del 1997), a ripiano dei disavanzi di esercizio degli enti e delle aziende di trasporto pubblico locale, non costituiscono, ai fini IRPEG, componenti positivi del reddito e quindi sono sottratti ad imposizione diretta, ai sensi del D.L. n. 833 del 1986, art. 3, comma 1, n. 3), convertito in L. n. 18 del 1987, (Cass. 26264/10). Tuttavia, va rilevato che a diversa conclusione deve pervenirsi per quanto concerne la computabilità di tali contributi nella determinazione della base imponibile ai fini dell’IRAP. Per quanto concerne tale ultima imposta, infatti, detti contributi – in forza del disposto del D.L. n. 209 del 2002, art. 3, comma 2 quinquies, introdotto dalla legge di conversione n. 265/02 – a decorrere dal 1°.01.03, sono inclusi nella base imponibile a fini dell’IRAP, sebbene non assoggettati alle imposte sui redditi. Anche per quanto concerne gli anni precedenti il 2003, la L. n. 289 del 2002, art. 5, comma 3, ha fornito un’interpretazione autentica del disposto della L. n. 446 del 1997, art. 11, comma 3, (nel testo risultante dalle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 506 del 1999, art. 1, comma 1, lett. b), nel senso che sono soggetti ad IRAP pure i contributi esclusi dalla base imponibile delle imposte sui redditi, fatte salve diverse disposizioni delle leggi istitutive dei singoli contributi o altre disposizioni speciali in materia. Se ne deve dedurre che il D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 11, comma 3, nel prevedere che i contributi erogati a norma di legge – pur se corrisposti in epoca anteriore al 31.12.02 – non concorrano alla base imponibile ai fini IRAP, esclusivamente nel caso in cui essi siano correlati a componenti negativi non ammessi a deduzione, viene ad escludere l’imponibilità di tali voci attive, nella sola ipotesi in cui vi sia una specifica previsione, nella legge istitutiva, della correlazione tra il contributo ed un componente negativo indeducibile. E tale specifica indicazione normativa non può essere neppure surrogata dalla mera affermazione dell’imprenditore di avere utilizzato il contributo per coprire spese non deducibili (cfr. Cass. S.U. 21749/09). Resta ferma, peraltro, l’esclusione dalla base imponibile IRAP di quei contributi erogati a norma di legge che siano “correlati a componenti negativi non ammessi in deduzione”. Si è più volte affermato che non possa darsi rilevanza ad una correlazione che non sia specificamente e immediatamente rilevabile e sia ricavata indirettamente mediante operazioni di proporzionalità tra contributi percepiti e costi (Cass. n. 4838 del 2007, cit.). Occorre, si è ulteriormente precisato, con orientamento dal quale il Collegio non ravvisa motivi per discostarsi – che la legge regionale prescriva una specifica destinazione dei contributi alla copertura di componenti negativi non deducibili (quali le spese per il personale), che preveda, cioè, che il contributo sia, anche solo in parte, precisamente vincolato a tale funzione (cfr. Cass. n. 13155 del 2010 […]), senza che possa valere una semplice dichiarazione circa l’utilizzo dei contributi da parte delle imprese di trasporto, proveniente dall’Amministrazione erogatrice, che non trovi riscontro in una previsione di fonte legislativa (Cass. n. 13160 del 2010, cit.). Da quanto suesposto discende, secondo il costante orientamento di questa Corte (cfr. Cass. 4838/07, Cass. S.U. 21749/09, 14415/10, 13160/10, 29590/11), che anche i contributi versati, prima dal Fondo nazionale dei trasporti (soppresso ad opera della L. n. 549 del 1995), poi dalle Regioni (tramite l’apposito Fondo costituito con il D.Lgs. n. 422 del 1997), alle imprese esercenti […] il trasporto pubblico locale, al fine di ripianare i disavanzi di esercizio, debbono essere inclusi nel calcolo per la determinazione della base imponibile dell’ IRAP, anche se erogati in epoca anteriore al 31.12.2002.» (Cass. 27/02/2015, n. 4057).
4. Quarto motivo: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 42 del DPR n. 600/73 (art. 62 del D.Lgs. n. 546/92 e art. 360 n. 3 c.p.c.).».
Si fa valere il vizio della sentenza impugnata che ha respinto l’eccezione della ricorrente d’illegittimità dell’avviso di accertamento per carenza di motivazione, poiché l’Amministrazione finanziaria si era limitata a recepire, acriticamente, i rilievi mossi dalla Guardia di Finanza alla società verificata.
4.1. Il motivo è infondato.
La CTR, nel dichiarare la legittimità dell’atto impositivo motivato per relationem tramite il richiamo del contenuto del PVC redatto dalla Guardia di finanza, si è uniformata al consolidato indirizzo della Corte che, in più occasioni, ha risolto, in modo condivisibile, la questione affermando che: «In tema di atto amministrativo finale di imposizione tributaria, nella specie avviso di rettifica di modello unico, la motivazione “per relationem”, con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza nell’esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima, per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’Ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l’Ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare un’economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio.» (Cass. 20/12/2017, n. 30560).
5. Quinto motivo: «Contraddittorietà della motivazione in merito alla legittimità (o meno) delle sanzioni irrogate dall’Ufficio (art. 62 del D.Lgs. n. 546/92 e art. 360 n. 5 c.p.c.).».
Un altro rilievo critico attiene alla contraddittorietà della sentenza impugnata che, da un lato, ha affermato che, in punto di sanzioni, si applica l’art. 32, del d.l. n. 446/1997, in tema di IRAP e, dall’altro, disattendendo un’eccezione della ricorrente, ha (contraddittoriamente) riconosciuto la legittimità del riferimento, nell’avviso di accertamento, all’art. 1, secondo comma, del d.l. n. 471/1997, per violazioni riguardanti le imposte dirette.
5.1. Il motivo è inammissibile.
Richiamati i caratteri essenziali del vizio di motivazione (cfr. § 2.1.), nel caso in esame è evidente che la contribuente – che, per altro, non contesta la sanzione irrogata sotto il profilo del quantum – prospetta, inammissibilmente, come vizio motivazionale, un (asserito) errore di diritto in cui sarebbe incorsa la CTR nell’individuazione della norma sanzionatoria da applicare in seguito del recupero a tassazione, ai fini IRAP, dei menzionati contributi.
6. Sesto motivo: «Nullità della sentenza per error in procedendo – Violazione dell’art. 112 c.p.c. – Omessa pronuncia sulla domanda di disapplicazione delle sanzioni per obiettive condizioni di incertezza (art. 62 del D.Lgs. n. 546/92 e art. 360 n. 3 e n. 4 c.p.c.).».
Si addebita alla sentenza impugnata di non avere esaminato l’eccezione della contribuente diretta ad ottenere la disapplicazione delle sanzioni amministrative per obiettive condizioni d’incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferisce la violazione della norma tributaria.
6.1. Il motivo è infondato.
In tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, la Corte ha già avuto modo di affermare il principio di diritto in virtù del quale: «l’incertezza normativa oggettiva che — ai sensi degli artt. 8 d.lgs. n. 546 del 1992; 6, comma 2, d.lgs. 18 dicembre 1997, n, 472; 10, comma 3, legge 2 luglio 2000, n. 212 — costituisce causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, richiede una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria, ovverosia l’insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento d’interpretazione normativa, riferibile non già ad un generico contribuente, o a quei contribuenti che per la loro perizia professionale siano capaci di interpretazione normativa qualificata (studiosi, professionisti legali, operatori giuridici di elevato livello professionale), e tanto meno all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione (cfr. Cass. 28/11/2007, n. 24670; 16/02/2012, n. 2192; 26/10/2012, n. 18434; 11/02/2013, n. 3245; 22/02/2013, n. 4522). In altre parole, come è stato detto, «l’incertezza normativa oggettiva tributaria», che consente di non applicare le sanzioni, «è la situazione giuridica oggettiva, che si crea nella normazione per effetto dell’azione di tutti i formanti del diritto, tra cui in primo luogo, ma non esclusivamente, la produzione normativa, e che è caratterizzata dall’impossibilità, esistente in sé ed accertala dal giudice, d’individuare con sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica sotto la quale effettuare la sussunzione di un caso di specie ultima o, se si tratta del giudice di legittimità, del fatto di genere già categorizzato dal giudice di merito», quindi in «senso oggettivo» (con conseguente esclusione di «qualsiasi rilevanza sia delle condizioni soggettive individuali sia delle condizioni soggettive categoriali» atteso che «l’incertezza normativa, in quanto esiste in sé, opera nei confronti di tutti»): «l’incertezza normativa oggettiva», pertanto, «non ha il suo fondamento nell’ignoranza giustificata, ma nell’impossibilità, abbandonato lo stato d’ignoranza, di pervenire comunque allo stato di conoscenza sicura della norma giuridica tributaria» (Cass. 11/09/2009, n. 19638). Inoltre, trattandosi di un’esimente prevista dalla legge a favore del contribuente, l’onere di allegare la ricorrenza di siffatti elementi di confusione, qualora effettivamente esistenti, grava sul contribuente secondo le regole generali in materia di onere della prova (art. 2697cod. civ.).» (Cass. 7/12/2017, n. 29368).
Nella fattispecie non è ravvisabile una simile incertezza normativa oggettiva, atteso che la ricorrente non fa nemmeno menzione di specifici e rilevanti contrasti giurisprudenziali sull’oggetto del contendere.
7. In definitiva, il ricorso della contribuente va rigettato.
8. Si deve passare all’esame del ricorso incidentale dell’Agenzia delle entrate, affidato ad un unico motivo, così rubricato: «Violazione e falsa applicazione dell’articolo 3 del D.L. n. 833/1986 (convertito con Legge n. 18/1987), dell’art. 1 del D.L. n. 98/1995 (convertito con Legge n. 204/1995), dell’art. 2 della Legge n. 194/1998 e dell’articolo 12 della Legge n. 472/1999, dell’art. 9 della legge n. 151/1981, nonché dell’art. 55 del “vecchio” T.U.I.R. n. 817/1986, in relazione all’articolo 360, n. 3) cod. proc. civ.».
L’Ufficio addebita alla sentenza d’appello di avere contra legem l annullato l’avviso di accertamento – nella parte in cui esso rettificava, ai fini IRPEG, la perdita della società contribuente – escludendo erroneamente l’assoggettabilità dei contributi percepiti dalla TRA.IN Spa (in base alle surrichiamate leggi n. 204/1995, n. 194/1998 e n. 472/1999), ad imposizione diretta, quali sopravvenienze attive (ai sensi dell’art. 55 TUIR, applicabile ratione temporis) e riconducendoli nella fattispecie astratta prevista dall’art. 3, primo comma, d.l. n. 833/1986.
A sostegno di tale linea difensiva deduce che l’articolo esclude che siano «componenti positive del reddito», per le aziende di trasporto pubblico, esclusivamente le seguenti somme: 1) i contributi regionali finalizzati alla copertura dei disavanzi per gli anni 1982-1986, assunti a carico dei bilanci regionali; 2) le somme che gli enti proprietari o soci hanno versato o versano per il ripiano delle perdite di esercizio dell’azienda o del consorzio di trasporto pubblico, ancorché riferite ad esercizi precedenti al 1982; 3) le somme provenienti dal fondo nazionale per il ripiano dei disavanzi di esercizio di cui all’art. 9, della legge n. 151/1981.
Rileva che i contributi in esame sono privi di queste caratteristiche e hanno natura di contributi straordinari, stabiliti ex novo, non previsti dai precedenti strumenti normativi.
8.1. Il motivo è infondato.
Il thema decidendum si colloca all’interno del sistema unitario di sovvenzionamento delle imprese di trasporto pubblico (che, in ragione dei riflessi sociali dell’attività svolta, sono vincolate a determinate tariffe, talvolta non pienamente remunerative), mediante contributi, prima statali (tramite il fondo nazionale per il ripiano dei disavanzi d’esercizio) e, poi, direttamente, regionali (tramite un apposito fondo destinato ai trasposti), esentati da imposizione diretta, in quanto non considerati, ex lege, componenti positivi di reddito.
Si appalesa, pertanto, conforme a diritto la soluzione prescelta dalla CTR, che ha escluso l’assoggettabilità a IRPEG dei menzionati contributi, in tal modo mantenendosi nel solco giurisprudenziale tracciato dalla Corte, al quale il Collegio intende aderire, secondo cui: «I contributi erogati dallo Stato, a ripiano dei disavanzi di esercizio degli enti e delle aziende di trasporto pubblico locale, e distribuiti dalle Regioni tramite il Fondo nazionale ripartito tra le stesse sulla base di parametri prefissati, di cui agli artt. 6 e 9 della legge 10 aprile 1981, n. 151, non costituiscono componenti positivi del reddito e, quindi, sono sottratti ad imposizione diretta, a norma dell’art. 3, comma 1, n. 3, del d.l. 9 dicembre 1986, n. 833, conv. in legge 6 febbraio 1987, n. 18 (tuttora in vigore come si evince dalla norma interpretativa di cui all’art. 1, comma 310, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 che ad esso fa riferimento), anche dopo la soppressione del predetto Fondo ad opera della legge 28 dicembre 1995, n. 549 e l’assunzione dei contributi a carico delle regioni tramite un apposito Fondo destinato ai trasporti, costituito con d.lgs. 19 novembre 1997, n. 422. (Principio enunciato in fattispecie riguardante la Regione Sicilia).» (Cass. 17/12/2010, n. 25624; 15/02/2013, n. 3771).
9. Ne consegue il rigetto del ricorso incidentale.
10. Le spese del giudizio di legittimità vanno compensate, tra le parti, per la loro soccombenza reciproca.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso ed il ricorso incidentale; compensa, tra le parti, le spese del giudizio di legittimità.
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