CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 ottobre 2019, n. 25591
Sgravio totale per incremento occupazionale – Accertamento ispettivo – Imprese aventi ad oggetto il trasporto di persone o cose – Regime degli aiuti de minimis
Rilevato che
1. con sentenza del 20 gennaio 2014, la Corte d’appello di L’Aquila, per quanto in questa sede rileva, ha confermato la decisione di primo grado che, premesso l’accoglimento dell’eccezione preliminare di decadenza dal potere di iscrizione a ruolo del credito contributivo accertato in sede ispettiva, aveva accolto l’opposizione proposta dall’attuale parte ricorrente avverso la cartella esattoriale emessa a titolo di indebita fruizione di sgravi, sanzioni e oneri accessori, per la complessiva somma di euro 539.590,60;
2. per la Corte di merito, in considerazione dell’attività principale svolta dalla società – raccolta e smaltimento di rifiuti rispetto alla quale l’attività di trasporto era sussidiaria – trovavano applicazione, nella specie, il regolamento CE n. 69/2001 (dal cui ambito di applicabilità andavano escluse, invece, le imprese aventi ad oggetto il trasporto di persone o cose) e la regola del de minimis, regola con la quale era compatibile lo sgravio contributivo totale, per il periodo 2002-2005, previsto dall’art. 44, comma secondo, legge n. 448 del 2001, per i datori di lavoro che assumono nuovi lavoratori nel corso del 2002;
3. quanto allo sgravio contributivo per le assunzioni effettuate attingendo dalle liste di mobilità, la Corte distrettuale riteneva acquisita in giudizio la dimostrazione, fornita dall’INPS con allegazione documentale, dell’esistenza del controllo e di un collegamento tra la società beneficiaria dell’agevolazione (l’attuale parte ricorrente) e le società che avevano licenziato i lavoratori in riferimento ai quali l’INPS contestava l’omissione contributiva;
4. rilevava, in particolare, la Corte del gravame che, al momento del licenziamento dei lavoratori per i quali la C. aveva fruito delle agevolazioni di cui all’art. 8, commi 2 e 4 legge n. 223 del 1991, il 51 per cento delle quote C. era detenuto dal Consorzio comprensoriale del Chietino per lo smaltimento di rifiuti solidi urbani, ed il rimanente 49 per cento dalla G. soc.cons. a r.l. le cui quote erano detenute, al 51 per cento, dalla G.R., per il 39 per cento dalla S. s.r.l. e per il 10 per cento dalla E. soc. coop. a r.l., sicché la C. aveva rapporti di collegamento diretto, con G. soc.cons. a r.l. e indiretto con S. s.r.l. e che, a fronte delle predette risultanze, l’attuale ricorrente nessun elemento aveva fornito per superare quanto stabilito dal comma 4-bis del citato articolo 8;
5. ancora, quanto al recupero, per l’intero, del beneficio contributivo indebitamente goduto, per la Corte di merito, alla stregua del regolamento CE 69/01, oggetto di recupero erano gli aiuti, intesi nella loro interezza, che superavano il massimale di 100.000 euro su un periodo di tre anni;
6. infine, quanto alle sanzioni civili, la Corte territoriale riteneva le sanzioni conseguenza automatica dell’inadempienza contributiva;
7. avverso tale sentenza C. s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, cui ha resistito, con controricorso, l’INPS, anche quale procuratore speciale della S.C.C.I. s.p.a.;
Considerato che
8. con il primo motivo, dedotto per violazione dell’art. 112 cod.proc.civ. e nullità della sentenza, la parte ricorrente si duole che la Corte di merito abbia ritenuto la maturata decadenza non preclusiva della delibazione nel merito della controversia;
9. il motivo è da rigettare in continuità con numerosi precedenti di questa Corte (v., fra le tante, Cass. n. 5963 del 2018, Cass. nn. 19708 e 15211 del 2017) che, in ordine alla natura ed alla funzione della decadenza prevista dall’art. 25 d.lgs. n. 46 del 1999, all’interno del complessivo sistema di riscossione dei crediti contributivi previdenziali, con orientamento consolidato hanno affermato che la richiamata disposizione prevede una decadenza processuale e non sostanziale, che l’iscrizione a ruolo è solo uno dei meccanismi che la legge accorda all’INPS per il recupero dei crediti contributivi, ferma restando la possibilità che l’istituto agisca nelle forme ordinarie e, coerentemente, che un eventuale vizio formale della cartella o il mancato rispetto del termine di decadenza previsto ai fini dell’iscrizione a ruolo comporta soltanto l’impossibilità, per l’istituto, di avvalersi del titolo esecutivo, ma non lo fa decadere dal diritto di chiedere l’accertamento, in sede giudiziaria, dell’esistenza e dell’ammontare del proprio credito;
10. depongono nel senso dei richiamati principi: il tenore testuale della norma, che parla di decadenza dall’iscrizione a ruolo del credito e non di decadenza dal diritto di credito o dalla possibilità di azionarlo nelle forme ordinarie; l’impossibilità di estendere, in via analogica, una decadenza dal piano processuale anche a quello sostanziale (posto che per principio generale le norme in tema di decadenza sono di stretta interpretazione); la non conformità all’art. 24 Cost. di un’opzione interpretativa che negasse all’istituto la possibilità di agire in giudizio nelle forme ordinarie; la ratio dell’introduzione del meccanismo di riscossione coattiva dei crediti previdenziali a mezzo iscrizione a ruolo, intesa a fornire all’ente un più agile strumento di realizzazione dei crediti (v. Corte cost. ord., n. 111 del 2007), non già a renderne più difficoltosa l’esazione imponendo brevi termini di decadenza; il rilievo che la scissione fra titolarità del credito previdenziale e titolarità della relativa azione esecutiva (quest’ultima in capo all’agente della riscossione) mal si concilierebbe con un’ipotesi di decadenza sostanziale;
11. con il secondo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione delle norme di diritto in tema di qualificazione dell’attività imprenditoriale;
12. il mezzo d’impugnazione, che per vero non esplicita le norme che si assumono violate, risulta comunque incentrato sull’inapplicabilità del regolamento CE n. 69/2001 muovendo dalla premessa dell’attività prevalente svolta nel settore trasporti, pretendendo di rimettere in discussione la statuizione della Corte di merito in ordine all’attività principale svolta dall’attuale parte ricorrente – di raccolta e smaltimento dei rifiuti – e alla connotazione dell’attività di trasporto come sussidiaria alla predetta attività, costituente apprezzamento di merito non più sindacabile in questa sede;
13. è da rigettare anche il terzo motivo, con il quale è dedotta la violazione di norme e principi in tema di concessione di aiuti di Stato ed identificazione del c.d. de minimis per un asserito difetto di coordinamento tra lo sgravio contributivo totale, di cui alla legge n.448 del 2001, e la disciplina comunitaria degli aiuti di importanza minore;
14. questa Corte ha già avuto modo di statuire, in riferimento al regime proprio degli aiuti de minimis, che questi in tanto possono costituire una deroga al divieto degli aiuti di Stato previsto dall’art. 87 Trattato CE (ora art. 107 TFUE) in quanto siano contenuti entro la soglia fissata dall’art. 2, comma 2, Regolamento (CE) n. 69/2001 e che non si tratta di una franchigia, di cui si possa comunque beneficiare, sibbene di una soglia al di sotto della quale si presume che l’aiuto di Stato non possa comportare alcuna alterazione della concorrenza, per modo che, superata detta soglia, riacquista pieno vigore la disciplina del divieto che investe, di necessità, l’intera somma e non soltanto la parte eccedente la soglia di tolleranza a prescindere dalla circostanza che l’aiuto sia stato erogato in epoca precedente al Regolamento n. 2001/69/CE (cfr., fra le tante, Cass. nn. 17910 e 16999 del 2017);
15. del tutto correttamente, dunque, la Corte di merito ha riconosciuto la rifusione per intero dello sgravio contributivo totale e la mutata natura dello sgravio, per effetto del superamento della soglia, non più considerabile come aiuto di importanza minore ai fini dell’applicazione della disciplina concernente gli aiuti de minimis;
16. con il quarto motivo è dedotta violazione di norme, di principi in tema di rapporti e controlli societari, e in materia di onere probatorio, e si assume la violazione dell’onere probatorio in ordine all’esistenza dei requisiti che precludono, in capo alla società, la fruizione del diritto allo sgravio contributivo di cui alla legge n.223 del 1991, per avere la Corte di merito fondato la decisione su presunzione di sussistenza di collegamento societario in presenza di quantità minime di quote senza cercare un minimo di prova in ordine alla sussistenza delle ipotizzate sovrapposizioni di assetti patrimoniali e, in mancanza, escludere il predetto collegamento;
17. il motivo è da rigettare;
18. costituisce principio consolidato che sul datore di lavoro insiste l’onere probatorio dei fatti che giustificano la fattispecie totalmente o parzialmente esonerativa dell’obbligazione contributiva (v., fra le tante, da ultimo, Cass. n. 9662 del 2019 ed i precedenti ivi richiamati) e, in riferimento allo sgravio totale per incremento occupazionale, l’I.N.P.S. è onerato della contestazione e dimostrazione della sussistenza dei collegamenti societari in senso stretto o delle altre fattispecie del controllo di fatto e, una volta raggiunta tale prova, spetta però all’impresa che ha beneficiato degli sgravi addurre e dimostrare gli elementi idonei ad escludere che gli assetti di fatto consentissero, comunque, un controllo di diritto o di fatto (Cass. n. 20504 del 2018);
19. la Corte territoriale ha ritenuto dimostrata, evocando documentazione allegata dall’INPS, l’esistenza del controllo e del collegamento societario (nei termini già riportati nel paragrafo 4 che precede), tra la società beneficiaria dell’agevolazione e le società che avevano licenziato i lavoratori e, al contempo, ha ritenuto non assolto, dalla società, l’onere di fornire la prova di elementi per superare il disposto del comma 4-bis dell’art. 8 della legge n.223 del 1991, con proposizione non attinta specificamente dal motivo svolto, genericamente incentrato sull’erronea ripartizione dell’onere probatorio anziché sulla ritenuta documentata esistenza, introdotta in giudizio dall’INPS, del controllo e collegamento societario e sulla inottemperanza dell’onere probatorio a carico della parte aspirante all’esonero dall’obbligazione contributiva (v., sull’art. 8, co. 4- bis, legge n. 223 del 1991, ora abrogato per effetto della sostituzione del sistema della mobilità con quello della c.d. Aspi e poi della c.d. Naspi, Cass. n. 9662 del 2019 cit.);
20. inoltre va rilevato, in continuità con i principi ripetutamente affermati da questa Corte, che spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, come tale, non è deducibile come vizio di violazione di norme di diritto bensì solo ai sensi e nei limiti del novellato art. 360, primo comma, n. 5 cod.proc.civ. (v., fra le altre, Cass. n. 17720 del 2018);
21. è da rigettare anche il quinto mezzo con il quale, dedotta genericamente violazione di norme di diritto e di ogni principio in tema di nullità delle domande giudiziali, si assume l’indeterminatezza della pretesa dell’INPS quanto alle sanzioni civili;
22. per costante giurisprudenza di questa Corte, l’obbligazione relativa alle somme aggiuntive, che il datore di lavoro è tenuto a versare in caso di omesso o ritardato pagamento dei contributi assicurativi, ha natura di sanzione civile e non amministrativa, costituendo una conseguenza automatica dell’inadempimento o del ritardo, legalmente predeterminata, introdotta nell’ordinamento al fine di rafforzare l’obbligazione contributiva e risarcire, in misura predeterminata dalla legge, con una presunzione juris et de jure, il danno cagionato all’istituto assicuratore (cfr., ex multis, Cass. n. 12533 del 2019 e i precedenti ivi richiamati);
23. la funzione essenzialmente risarcitoria, volta a quantificare, in via preventiva e forfettaria, il danno subito dall’ente previdenziale, è stata ribadita anche dal Giudice delle leggi (v. Corte Cost. n. 254 del 2014);
24. questa Corte di legittimità, sia pure per delibare il regime prescrizionale applicabile, ha affermato, con indirizzo prevalente, che le sanzioni civili hanno la stessa natura giuridica dell’obbligazione principale e restano soggette al medesimo regime prescrizionale (cfr., fra le altre, Cass. n.16262 del 2018);
25. l’opzione interpretativa (come già rilevato da Cass. n.30363 del 2017) volta a valorizzare la natura diversa delle sanzioni rispetto ai crediti contributivi, in ragione della diversità di disciplina, dei diversi presupposti, delle disposizioni di legge regolatrici (si pensi alle norme del codice civile in materia di privilegi: artt. 2754 e 2788 cod.civ.), non elimina il fondamentale carattere di accessorietà, evocato dalla disciplina legislativa che obbliga il contribuente inadempiente al pagamento di una somma aggiuntiva a titolo di sanzione civile in ragione d’anno;
26. anche le Sezioni unite della Corte (sentenza n. 5076 del 2015), intervenendo in tema di estensione al credito per sanzioni civili degli effetti degli atti interruttivi posti in essere con riferimento al credito contributivo, hanno precisato che, sotto il profilo normativo, le somme aggiuntive appartengono alla categoria delle sanzioni civili, si applicano automaticamente in caso di mancato o ritardato pagamento di contributi o premi assicurativi e consistono in una somma ex lege predeterminata il cui credito sorge de jure alla scadenza del termine legale per il pagamento del debito contributivo, in relazione al periodo di contribuzione;
27. tra sanzione civile e omissione contributiva, cui la sanzione civile inerisce, vi è, pertanto, un vincolo di dipendenza funzionale, contrassegnato dall’automatismo della sanzione civile rispetto all’omesso o ritardato pagamento e come tale incidente non solo geneticamente sul rapporto dell’uria rispetto all’altra ma anche dopo l’irrogazione della sanzione, sì che le vicende che attengono all’omesso o ritardato pagamento dei contributi non possono non riguardare, stante il legame di automaticità funzionale, anche le somme aggiuntive che, sorgendo automaticamente alla scadenza del termine legale per il pagamento del debito contributivo, rimangono a questo debito continuativamente collegate in via giuridica;
28. in conclusione, il ricorso è da rigettare;
29. le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;
30. ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ex art. 13, comma 1 – bis.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 12.000,00 per compensi professionali, oltre quindici per cento spese generali e altri accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ex art. 13, comma 1 – bis.
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