CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 ottobre 2022, n. 29413
Rapporto di lavoro – CCNL edilizia e artigianato – Contratti a tempo parziale stipulati in numero superiore alla quota massima – Contribuzione virtuale
Con sentenza del 6.4.16, la Corte d’Appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza del 2012 del tribunale di Verona, ha accertato che dalla parte privata indicata in epigrafe erano dovuti i contributi e premi calcolati secondo il principio della contribuzione virtuale per i contratti a tempo parziale stipulati in numero superiore alla quota massima percentuale fissata dal CCNL edilizia e artigianato.
In particolare, la corte territoriale ha fatto applicazione del minimale contributivo ex articolo 29 DL 244 del 95, convertito in legge 341 del 95, non derogabile da pattuizioni delle parti nemmeno collettive, ed anzi confermato dal sopravvenuto articolo 29 CCNL.
Avverso tale sentenza ricorre il T. per tre motivi, cui resiste con controricorso l’INPS. Il ricorrente si è costituito con nuovo difensore.
Con il primo motivo si deduce violazione dell’articolo 1 commi da 1 a 3 del d.lgs. n. 61 del 2000, per avere la corte territoriale ritenuto che il superamento dei limiti percentuali per la stipula dei contratti part-time implichi la contribuzione su retribuzione virtuale.
Con il secondo motivo si deduce violazione dell’articolo 29 d.l. 244 del 95 e 9 d.lgs. 61 del 2012 nonché 12 preleggi, per non avere la corte territoriale calcolato la contribuzione in relazione alle ore di lavoro pattuite, anche se inferiori a quelle minime contrattuali, equiparando così l’orario normale prestato a quello pieno.
Con il terzo motivo si deduce violazione dell’articolo 1362 codice civile e delle norme indicate nel motivo precedente, per avere la corte territoriale applicato norma.. contrattuale che contrasta con la disciplina del d.lgs. 61 e con la Direttiva Europea sul ricorso al lavoro a tempo parziale, essendo inapplicabile ” ratione temporis” l’accordo integrativo del 16.12.10.
Il ricorso è infondato.
Questa Corte ha già affermato infatti, in vicenda del tutto analoga alla presente (Sez. L – , Sentenza n. 8794 del 12/05/2020, Rv. 657668 – 01), che l’istituto del minimale contributivo, previsto dall’art. 29 del d.l. n. 244 del 1995, conv. in l. n. 341 del 1995, trova applicazione anche nell’ipotesi in cui siano stati conclusi contratti part-time in eccedenza rispetto al limite previsto da una disposizione del contratto collettivo applicabile, poiché la funzione della predetta disposizione è quella di individuare il complessivo valore economico delle retribuzioni imponibili di una data impresa, che, in caso di violazione del divieto di assunzioni a tempo parziale in misura superiore ad una determinata percentuale del totale dei lavoratori occupati a tempo indeterminato, va commisurato alla retribuzione dovuta per l’orario normale di lavoro anche per i lavoratori assunti part-time in violazione del predetto divieto, a prescindere dalla circostanza che tali compensi siano stati effettivamente corrisposti.
La Corte ha ben evidenziato che l’importo della retribuzione da assumere come base di calcolo dei contributi previdenziali non può essere inferiore all’importo del c.d. “minimale contributivo” (cfr. art. 29, d.l. n. 244/1995), ossia all’importo di quella retribuzione che ai lavoratori di un determinato settore dovrebbe essere corrisposta in applicazione dei contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali più rappresentative su base nazionale. Tale regola è infatti espressione del principio di autonomia del rapporto contributivo rispetto all’obbligazione retributiva, in virtù del quale l’obbligo contributivo ben può essere parametrato ad un importo superiore rispetto a quanto effettivamente corrisposto dal datore di lavoro, e la sua operatività concerne non soltanto l’ammontare della retribuzione c.d. contributiva, ma altresì l’orario di lavoro da prendere a parametro, che dev’essere l’orario di lavoro normale stabilito dalla contrattazione collettiva (o dal contratto individuale, se superiore): è infatti evidente che, se ai lavoratori venissero retribuite meno ore di quelle previste dal normale orario di lavoro e la contribuzione dovuta venisse modulata su tale minore retribuzione, non vi potrebbe essere il rispetto del minimale contributivo nei termini dianzi ricordati e ne verrebbe vulnerata la stessa idoneità del prelievo a soddisfare le esigenze previdenziali e assistenziali per le quali è stato istituito (v. in tal senso Corte cost. n. 342 del 1992).
In tale contesto, il valore economico complessivo delle retribuzioni imponibili può essere suscettibile di abbattimento solo nei casi di legittima previsione che incida sull’orario di lavoro, e non anche nei casi in cui -come nella specie- la prestazione di orario in misura inferiore a quello normale (pieno) avviene in violazione dei criteri normativi applicabili, ove la regola del minimale e della tassatività delle ipotesi di esclusione riprende appieno il suo vigore, e ciò proprio per il richiamato principio di autonomia del rapporto contributivo rispetto all’obbligazione retributiva.
Per quanto detto, il ricorso deve essere rigettato. Spese secondo soccombenza.
Sussistono i requisiti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5250 per competenze professionali ed Euro 200 per esborsi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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